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Bimbo da GPA in Ucraina: la “madre” non riesce a raggiungerlo. Quando i figli sono una merce

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Paola Belletti - pubblicato il 20/04/20

"Dei bimbi sono nati o stanno per nascere, soli, senza i loro genitori". Ma è proprio questo che infligge la GPA, per sua stessa natura, cara Sophie Labaune-Parkinson, "madre intenzionale" francese che soffri perché non riesci ad essere vicino al bambino al momento della "consegna". Non c'entrano le frontiere chiuse.

La GPA e i “problemi di consegna” in tempo di Covid19

« Le risque est réel, on le connaît. Un enfant qui n’est pas choyé à la naissance, juste nourri et changé, peut développer de gros troubles émotionnels. Alors, je ne m’explique pas cette lenteur pour traiter nos dossiers. C’est inhumain. » Il rischio è reale, lo si conosce. Un bambino che non viene coccolato alla nascita, solo nutrito e cambiato, può sviluppare dei seri problemi emotivi. Quindi non mi spiego questa lentezza nel gestire la nostra pratica. E’ inumano. (Sophie Labaune-Parkinson, su Le Parisien)

Così si esprimeva il 14 aprile scorso la donna che si autoproclama mamma di un figlio (una bimba) concepito e portato in gestazione da un’altra donna in Ucraina, nella forma nota e sempre abominevole della impossibile ma praticata gestazione per altri.

I fatti noti finora sono questi: una coppia sposata, lei francese lui australiano, per una forma di irrimediabile sterilità (la donna è nata senza utero riporta infatti Le Parisien), ricorre alla GPA, vietata in Francia e in molti altri paesi ma non in Ucraina. Meta apprezzata dalle coppie che vogliono ottenere un bambino che poi chiameranno indebitamente figlio, attraverso una pratica che conserva tutta la sua mostruosa ingiustizia verso l’uomo in quanto tale. Più che di questione di apprezzamento si tratta di una scelta obbligata: l’Ucraina è uno dei pochi mercati accessibili e convenienti, per le coppie (etero o omo) e per i single occidentali. Da quando diversi paesi dell’estremo oriente e del sud est asiatico hanno imposto restrizioni hanno anche smesso di essere i discount della surrogata.

La gravidanza, avviata non sono stata in grado di capire con quali gameti (la donna, priva di grembo materno ha ugualmente ovaie sane? Il marito è fertile? Che ragionamenti invadenti e irrispettosi della vita ci tocca fare), procedeva per il meglio; per quanto possa essere il meglio per un bambino impiantarsi in un utero che non manterrà la sua promessa: “ci sarò anche dopo, mi conoscerai senza lo schermo di questo sacco, della placenta organo che hai ordinato per nutrirti di me, senza questi nostri tessuti che si sono compenetrati”.

Ma si sa, l’emergenza coronavirus è arrivata come un falco in picchiata sulle vite di tutti e ci ha sorpresi esattamente come eravamo.

Attesa, attese

Il 14 aprile mancavano 13 giorni alla data del parto della madre “portatrice” (probabilmente un cesareo programmato?) e la donna che si ritiene la vera mamma e per il cui dolore occorre portare un rispetto intero, ha pianto (a favore di telecamera) tutto lo strazio di non potersi recare in tempo all’evento. E lo sta facendo esponendosi con stupefacente sincerità, certa di essere nel giusto. Così pare, almeno. Questo fatto non smette di stupirmi perché dice del livello di imbarbarimento collettivo raggiunto. Ammettere che si sta comprando un figlio dovrebbe esigere almeno vergogna, sotterfugi e nascondimento. Invece viene urlato e impugnato come un diritto supremo e tanto ingiustamente minacciato.

La partecipazione emotiva alla faccenda da parte di questa donna è indubbia: il desiderio di diventare madre in sé stesso è cosa sacrosanta. Il problema, al solito, è che il desiderio ha fatto piazza pulita di tutto il resto, soprattutto della verità. Desiderare non significa pretendere, a meno che non siamo dei neonati capaci solo di sentire desiderio di latte, attaccamento, soddisfazione.

Il problema è che mancano i padri e manca il Padre.

Ma torniamo a Sophie e a quella che pretende diventi un’epopea sotto gli occhi del mondo perché la Francia smetta di essere tanto ingiusta e permetta la GPA entro i suoi confini o perlomeno ora forzi il blocco delle frontiere e le permetta di prendere in braccio sua figlia, in fretta.

In questo video  pubblicato due giorni fa dal Daily Telegraph la vediamo scompigliata dalle raffiche di vento mentre racconta gli sviluppi più recenti: ci spiega che raggiungere direttamente l’Ucraina dalla Francia è impossibile; quindi per arrivarci ha preso un volo per la Bielorussia per poi fare tre km a piedi e infine usufruire di un autista privato per giungere fino a destinazione.

Questione di logistica

È talmente compresa nel ruolo di “genitore intenzionale” che ha avuto la montata lattea, si legge sempre su Le Parisien.

Sophie vit ses premières montées de lait près de Pont-Audemer, dans l’Eure, à plus de 2000 kilomètres de son futur bébé. Une lactation provoquée, sans être enceinte, qui dit tout l’attachement de la jeune femme pour son enfant sur le point de naître d’une mère porteuse ukrainienne. Sophie ha avuto le sue prime montate lattee a Pont-Audemer, nell’Eure, a più di 2000 km dalla sua futura figlia. Una lattazione provocata, senza essere incinta, che dice tutto l’attaccamento della giovane donna per suo figlio sul punto di nascere da una madre portatrice ucraina.

Lo dico rinunciando del tutto al sarcasmo. Anzi, mi pare che il suo corpo sia tanto più onesto di lei, che è vittima più che complice di questa mentalità del consumo che riduce persino noi ad una dimensione mortificante. Noi stessi che desideriamo e compriamo rischiamo di essere sminuiti al rango di animali desideranti, senza dimensione verticale, trascendente. Sophie, non si è forse schiacciata sulle sue esigenze di cliente rinunciando all’altezza della sua vocazione umana proprio in ordine al suo desiderio di maternità?

Invece come cliente, per quanto particolare, si trova ad avere a che fare com’è naturale con diversi interlocutori lungo la filiera che va dalla produzione alla consegna del prodotto. Più una questione di stelle da mettere in una recensione che caso politico internazionale, a voler ben guardare.

Amazon lo sa, ciò che sbaraglia la concorrenza è soprattutto l’efficienza della logistica. Eppure lo stesso colosso della vendita online si è autolimitato in questo periodo sospendendo acquisti e consegne per beni non di prima necessità. Su questo tema infatti la dileggiano nei commenti al Tweet de Le Parisien dove la donna compare tenendo in mano un minuscolo body giallo davanti alla valigia aperta pronta alla partenza. Alcuni le suggeriscono che oltre alla mamma “portatrice” avrebbe dovuto procurarsene una “trasportatrice”. Altri ricordano le leggi di natura e sollevano il velo di ipocrisia su ciò che è e resta traffico di esseri umani e forma sofisticata di schiavitù. Qualcuno rivendica la liceità di questa pratica, ben comprensibile una volta sciolta la sigla: gestazione per altri, non per sè.

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Feriti, ma incapaci di soffrire

Mancano i padri, manca il riferimento ad un bene che costa sangue, ferite, perdita.

Perché nessun padre, marito o maestro (anche un’altra donna, ma con voce paterna) ha detto a questa povera donna che non avrebbe dovuto imbarcarsi in una simile operazione, perché avrebbe causato dolore ad un sacco di persone, lei compresa? Perché il marito non le ha detto “io amo te, in ogni caso, anche se non potremo mai concepire un figlio insieme”? Perché vietare, porre limiti, infliggere privazioni è parte dell’amore, un amore virile di cui sentiamo oggi una mancanza atroce.

Cara Sophie, di inumano qui non c’è solo lasciare quella povera bimba priva delle coccole che tu desideri tanto offrirle. C’è tutto ciò che sta portando alla sua nascita, che pure resta un bene in sé stessa.

Perché non provi a leggere questa oggettiva disgrazia planetaria del coronavirus anche come un amoroso avvertimento proprio per te, per il tuo bene? Perché non ammetti che forse ti è stato data occasione di vedere la perversione del processo che tu e tuo marito avete messo in piedi con la complicità irresponsabile di altre agenzie e lo sfruttamento di chi è in condizioni di fragilità (economica e non solo)?

Invece no, il governo ucraino ha ricevuto pressioni dall’ambasciata francese e la pratica si è sbloccata. E ora Sophie, che sembra in effetti avere una vocazione al farsi carico delle pene altrui (segno di vocazione materna, inscritta in tutte noi) si chiede come potranno fare tutti gli altri genitori in attesa di abbracciare i propri “figli”, acquisiti con lo stesso sistema.

Tutta questione di tempo

Il problema è il tempo. Se i genitori contraenti non arrivano in tempo i figli ancora di nessuno restano in un limbo di semi abbandono nel reparto maternità, cittadini di nessun paese, figli di una  burocrazia imprecisa. Ma anche arrivando in tempo resta aperto tutto il problema della registrazione di questi bimbi come figli degli acquirenti. Come si regolano in Francia? Pare che una disposizione della CEDU in risposta ad un caso del 2014 proprio di una coppia francese abbia stabilito che il diritto ad avere dei genitori per un bambino debba prevalere sul divieto di maternità surrogata. Un modo meschino di aggirare l’ingiustizia provocata dalla surrogata invocando un principio di per sé condivisibile.

Eppure il tempo si può usare anche altrimenti; si poteva viverlo, prima, per comprendere che una menomazione tanto grande e dolorosa come l’infertilità non è l’ultima parola sulla nostra vita, che siamo figli nel più profondo del nostro essere, che possiamo diventare madri e padri in altri modi e che ogni dolore porterà il suo frutto. Se si ha la forza, che di solito insegnano i padri, di soffrire e di sapersi offrire.

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