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Come distinguere la tristezza buona che ci fa ravvedere da quella che oscura la realtà?

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Evgeny Hmur - Shutterstock

Stile di vita di una folle donna cattolica - pubblicato il 13/05/20

Può essere segno di contrizione e portarci a cambiare un comportamento sbagliato; ma può essere anche una nebbia pericolosa che impedisce di vedere la presenza del bene che c'è.
Gioia e pace, conversione della vita, tempo e luogo per una vera penitenza, grazia e consolazione dello Spirito Santo, perseveranza nel fare il bene doni a noi il Signore onnipotente (Gaudium cum pace tribuat nobis Dominus omnipotens)

Ultimamente cito spesso nei vari post Evagrio Pontico, per molti sconosciuto e onestamente lo era anche per me fino a poco tempo fa.
Evagrio era un monaco vissuto nella metà del 300 d.C, divenuto tale dopo una febbre di origine divina che guarì solo dopo aver promesso l’abbandono della sua vita un po’ troppo libertina per diventare monaco.
La cosa che mi ha colpita è che dobbiamo a lui la classificazione dei sette vizi o peccati capitali (voi lo sapevate? eh, io no!), definiti da lui “pensieri” o “spiriti della cattiveria”, oltre ad essere stato l’ispiratore dell’esicasmo.


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Ora però mi soffermo sui vizi capitali perché in realtà Evagrio non li aveva classificati come 7, bensì 8 e avevano qualche diversità rispetto a quelli attuali.
Non sono stati stravolti ma c’è stata qualche modifica tra cui l’assenza dell’invidia ma l’aggiunta di “vanagloria” e uno che non mi aspettavo… la “tristezza”!
In sintesi: gola, lussuria, avarizia, ira, tristezza, accidia, vanagloria e superbia, gli otto vizi grosso modo della tradizione spirituale e morale greca.

Evagrio li suddivide in tre strati da 3+3+2ovvero: gola-lussuria-avarizia (al piano inferiore), ira-tristezza-accidia (il secondo strato), vanagloria-superbia (il terzo strato).
San Giovanni Cassiano invece li semplifica con due raggruppamenti; il primo è formato da:
gola-lussuria-avarizia-ira-tristezza-accidia (vizi del corpo);
il secondo da: vanagloria-superbia (vizi dell’anima).
La lista attuale invece risale a qualche tempo dopo, per la precisione a Gregorio Magno, (Papa dal 590 al 604).
Da quello che ho letto, le modifiche, fino ad arrivare al settenario della tradizione latina, fanno della tristezza una parte dell’accidia o viceversa, mentre la vanagloria risulta essere un aspetto della superbia, e viene introdotta l’invidia.
Beh, diciamo che hanno accorpato due vizi per evitare di essere ripetitivi e aggiunto l’invidia che tutto sommato va a braccetto con la vanagloria.
Lasciare la tristezza non sarebbe stato così male, probabilmente sarebbe stato utile per cancellare quel (triste) luogo comune secondo cui i cattolici sono tristi, brutti e sfigati.. quando in realtà siamo gioiosi, bellissimi, simpatici e brilliamo della luce di Cristo.
Battute a parte, in realtà San Tommaso d’Aquino aveva fatto qualche obiezione in merito perché secondo lui la tristezza poteva avere cause psicofisiche per cui non volute, il che lo rendeva un vizio capitale opinabile.
L’apostolo Paolo invece dà alla tristezza due origini per cui ci vuole un certo discernimento, una “tristezza secondo il mondo” viziosa e “una secondo Dio” virtuosa (2Cor 7,10):


Perché la tristezza secondo Dio produce un ravvedimento che porta alla salvezza, del quale non c’è mai da pentirsi; ma la tristezza del mondo produce
la morte.
SAD WOMAN, YOUNG WOMAN,
Concept Photo | Shutterstock
Direi che Paolo è stato molto sintetico ma si comprende molto bene ciò che intende dire e soprattutto la differenza tra i due tipi di tristezza.
Diciamo che Evagrio non era uno sprovveduto e aveva giustamente considerato la suddivisione facendo anch’esso una buona analisi della situazione stilando un elenco di situazioni che rendono perfettamente l’idea che la tristezza debba far parte dei vizi capitali.
(La versione completa la trovate un po’ ovunque)
Il monaco triste non conosce la letizia spirituale, come colui che ha una forte febbre non avverte il sapore del miele. Il monaco triste non saprà muovere la mente verso la contemplazione né sgorga da lui una preghiera pura: la tristezza è un impedimento per ogni bene.
Annebbia, fa perdere lucidità, oscura la verità e ciò che conta veramente, la tristezza è un impedimento per ogni bene.
Essa può far parte della vita delle persone, credo sia quasi inevitabile per innumerevoli motivi, il principale riguarda il fatto che siamo umani ma il punto fondamentale è discernere!
Capire quando questa sta prendendo il sopravvento e ci sta dominando.. il peccato è farsi dominare, permetterle di diventare un pensiero persistente.
Ricordo quando ho visto per la prima volta il film Inside out e c’erano Gioia e Tristezza, il quel caso si vedono le grosse differenze tra loro, soprattutto Tristezza fa quasi sorridere ma solo dopo pensi a quanto sia invece parte di molti avvenimenti della nostra vita.

Quando tocca una palla con un bel ricordo Riley cambia umore e in quel ricordo trova qualcosa di negativo e si rattrista nonostante fosse qualcosa di bello, invece quando Gioia vuole recuperare la situazione tocca la sfera e tutto cambia, la prospettiva cambia.

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Quando la tristezza ci tocca, anche nelle cose belle vediamo qualcosa di negativo, per questo va gestita… come?
Con la preghiera! Eh sì, rispondo sempre allo stesso modo, è la medicina per tutti i mali ma ovviamente dobbiamo metterci pure del nostro. Se hai un’allergia alimentare puoi pure prendere il digestivo ma se continui a mangiare ciò che non puoi di certo non ti passerà il dolore allo stomaco e immancabilmente tornerà; il trucco è modificare lo stile di vita.
Ho trovato un esempio molto terra terra che mi ha aiutata a comprendere meglio cosa può fare la tristezza e cosa può compromettere.
L’ho semplificato perché così come l’ho trovato, per capirlo, l’ho dovuto rileggere svariate volte.
Immaginate di andare a messa, avevate pianificato la solita routine ma inaspettatamente vi ritrovate in una messa cantata, più lunga del previsto e iniziate a pensare “ah, non finisce più… pensavo non fosse cantata, a saperlo sarei andata altrove…” e rimuginate, vi guardate in giro… cercate di seguire ma notate solo che la messa è più lunga e non come al solito.
Ecco, quella tristezza che arriva, è quella da cacciare, quella che rende un’azione di gioia e di salvezza (l’andare a messa) qualcosa per cui il sentimento che prevale è tutt’altro.
Esempio banale ma che rende bene l’idea, in questo caso la tristezza non è dovuta a cause psicosomatiche ma a un qualcosa che ci fa sminuire la gioia che dovremmo vivere in quella situazione.
Nel momento in cui la tristezza deriva da un qualcosa che non abbiamo (“vorrei tanto quel vestito”), non possiamo avere (“vorrei andare ad ascoltare quella catechesi ma è troppo lontana”), da un torto subìto (“aveva detto che mi avrebbe aiutata invece non lo ha fatto”), gelosia (“tizia ha un sorriso più bello”). Oppure: avete presente quando pensate che quella persona sta meglio di voi, ha più followers, più interazioni, più visibilità? O quando vi soffermate su ciò che sarebbe potuto essere ma non è stato?
E’ lì che quel sentimento ci annebbia e non ci fa vedere la bellezza di quello che abbiamo (“beh, questo vecchio vestito non è cosi brutto”), possiamo avere (“cercherò qualche catechesi da ascoltare online”), facciamo (“ah, forse posso essere utile a..”), siamo (“ecco, con questo rossetto sembro più solare”) perché di gioia dentro ne abbiamo veramente tanta (ricordate la canzone di chiesa “Io ho una gioia nel cuore”?) dobbiamo solo imparare a vedere la tristezza come Evagrio ovvero come uno spirito cattivo che non viene da Dio, così forse ne staremmo molto alla larga.
L’unica tristezza “buona” è quella citata da Paolo:
la tristezza secondo Dio produce un ravvedimento che porta alla salvezza.
Per essere cattolica oggi bisogna anche essere un po’ folle, talmente folle da non omologarsi al pensiero comune che la tristezza sia una cosa con cui convivere perché lo fanno in molti, (state bene attente che la tristezza e la depressione sono due cose ben diverse) e come dice Evagrio:
Ma colui che disprezza i piaceri del mondo non sarà turbato dai cattivi pensieri della tristezza.

Il trucco è quello di fare un buon uso di questa tristezza in modo che diventi segno concreto della speranza teologale. Mi spiego meglio: dovete fare in modo che diventi quella «tristezza secondo Dio» citata da Paolo che trasforma il rimorso in valutazione, la valutazione in contrizione, la contrizione in pentimento con il fine di essere nella gioia del perdono di Dio.

Vedrete che quella tristezza si muterà in gioia, spirituale e interiore.
Gioite!!!!!
Un abbraccio
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