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Il cristianesimo ha favorito l’emancipazione delle donne?

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By Nady/Shutterstock

Emmanuelle Pastore - pubblicato il 09/07/20

Nel mondo occidentale, la filosofia e la teologia cristiane hanno operato in favore di una vera evoluzione positiva della condizione femminile: è grazie al cristianesimo che grandi vittorie sono state riportare per permettere alla donna di ottenere i medesimi diritti dell’uomo.

Nel corso dei primi secoli della nostra era, il diritto romano considerava la donna come membro della famiglia, in un certo senso monetizzabile nella dote che la doveva accompagnare. Il padre sceglieva lo sposo della figlia e aveva per tutta la vita potere di vita o di morte su di lei (come anche sui figli maschi, va detto). Il cristianesimo introduce un modo nuovo di considerare la donna (e i figli): i segni e le parole di Gesù Cristo si indirizzano agli uomini e alle donne, senza distinzione. Fin dai primordi della Chiesa, i peccati di tutti – uomini o donne – sono perdonati allo stesso modo. Il medesimo paradiso viene promesso loro. Diritti e doveri del cristiano sono identici a prescindere dal sesso.


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Una mentalità discriminatoria

Il contesto che ha visto nascere il cristianesimo era tinto di una mentalità profondamente discriminatoria contro le donne. Gesù non ha esitato a protestare contro tutto quel che offendeva la loro dignità, anzi ha pure stabilito con le donne che trovava sul suo cammino rapporti di libertà e di amicizia (si pensi per esempio a Marta e a Maria). Anche se non ha attribuito loro il medesimo ruolo apostolico che ad alcuni suoi discepoli maschi, egli fece di loro le prime testimoni della sua Resurrezione e le ha valorizzate mediante l’annuncio e la diffusione del Regno di Dio, nel quale giocano un ruolo essenziale (Maria Maddalena in particolare).

Perché Gesù ha stabilito differenze ministeriali tra l’uomo e la donna? Papa Benedetto XVI lo spiegò così:

Troviamo una prima differenza nel fatto che, nella tradizione sotto forma di professione vengono nominati solo uomini come testimoni, mentre nella tradizione sotto forma narrativa sono le donne ad avere un ruolo decisivo, hanno pure la preminenza sugli uomini. Questo può derivare dal fatto che nella tradizione giudaica solo gli uomini potevano essere accettati come testimoni in tribunale, mentre la testimonianza muliebre era giudicata inaffidabile. La tradizione “ufficiale” che, per così dire, si presenta davanti al tribunale di Israele e del mondo, deve quindi attenersi ad alcune norme per poter far fronte al processo a Gesù, che in un certo senso prosegue.

I racconti, invece, non si sentono legati a questa struttura giuridica, ma comunicano l’ampiezza dell’esperienza della Risurrezione. Proprio come ai piedi della Croce, e già allora, a eccezione di san Giovanni solo le donne si trovavano là, e così fu con loro il primo incontro col Risorto. La Chiesa, nella sua struttura giuridica, è fondata su Pietro e sugli Undici, ma nella forma concreta della vita ecclesiale sono sempre e di nuovo le donne che aprono la porta al Signore, che l’accompagnano fino ai piedi della Croce e che così possono pure incontrarlo come Risorto.

Al di là di queste differenze, l’apostolo Paolo stesso – opponendosi ai costumi pagani del suo tempo (che spessissimo disprezzavano insieme schiavi e donne, considerandoli esseri inferiori alla stregua di oggetti inanimati), proclama senza esitazione la loro uguale dignità davanti a Dio: «Non c’è più né uomo né donna, perché tutti voi siete uno in Cristo Gesù» (Gal 3,28).


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La libertà dei primi cristiani

È nel contesto dell’inizio dell’era cristiana che Cecilia e Agnese, a Roma, e numerose altre donne, osano proclamare la loro libertà personale in nome di Gesù Cristo. E lo avrebbero pagato con la vita. Si sarebbero opposte all’ingiusta autorità patriarcale, alle pressioni famigliari e alle abitudini secolari inerenti al matrimonio forzato. Avrebbero scelto di consacrare la loro vita e la loro verginità all’amore di Gesù Cristo. La Chiesa avrebbe preso le loro difese e avrebbe fatto tutto il possibile per far rispettare la loro scelta. Ci vollero però del tempo e molte martiri perché i costumi cambiassero e l’ideale cristiano potesse essere rispettato dalle autorità civili.

Benché non sfuggissero completamente alla mentalità del loro tempo, ancora molto misogina, alcuni gradi uomini di Chiesa difesero tuttavia nei loro scritti e nelle loro predicazioni la libertà delle figlie di Dio, e proclamarono la loro dignità come uguale a quella dell’uomo. Nel IV secolo, san Basilio avrebbe scritto:

La virtù dell’uomo e della donna è umana, poiché la loro venuta al mondo è identica, di modo che la ricompensa è la medesima per l’uno come per l’altra. […] Quanti sono della medesima natura, hanno le medesime opere.

Basilio di Cesarea, Omelie sui Salmi 1,3


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Aspre discussioni

Numerosi sono gli esempi che mostrano tuttavia quanto la Chiesa abbia conosciuto aspre discussioni sulla donna. Alcune questioni del resto si sono protratte per diversi secoli, e non sempre a favore delle donne! Tributaria della mentalità del suo tempo, la Chiesa giunse finalmente, anche se talvolta troppo lentamente, a un giusto riconoscimento della dignità femminile. Nel matrimonio, la Chiesa finì per esigere il libero consenso dell’uomo e della donna come la conditio sine qua non della validità del sacramento. Quale la ragione? Una sola: proteggere la giovane dal matrimonio combinato dai suoi genitori o dallo stupro.

Per non citare che un solo esempio, ecco la discussione a proposito del ministro del battesimo. Tertulliano (150-220) si fondava sulla Prima lettera ai Corinzi (1Co 14,34) per negare alle donne il diritto di battezzare, anche in caso di urgenza. Sarebbe stato seguito da molti altri teologi, i quali si sarebbero espressi in termini poco rispettosi della dignità femminile, fino a Giovanni Calvino (1509-1564). Nel 1094 Papa Urbano II prese posizione in senso contrario, e così avrebbe fatto due secoli dopo Tommaso d’Aquino, il quale avrebbe argomentato che anche se fosse stata una donna a celebrare il rito sempre e comunque il sacramento sarebbe stato impartito da Cristo (cf. STh III q. 67 a. 4). Il Concilio di Firenze (XV secolo) avrebbe chiuso definitivamente il dibattito, tanto più che concretamente erano spesso delle infermiere o delle ostetriche a battezzare in articulo mortis.


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La battaglia del matrimonio

La libertà del consenso richiesta teoricamente dalla Chiesa nel matrimonio avrebbe impiegato del tempo a passare realmente nei costumi. Il primo esempio di riconoscimento di nullità matrimoniale per difetto di libertà fu quello di Radegonda e di Clotario I nel 567. Nel XIII secolo Agnese di Praga, respinse diverse proposte di matrimonio (fra cui quella di Federico II, nel 1235!). Il Papa intervenne in persona in favore di Agnese per permetterle di rispondere al suo desiderio di seguire Cristo entrando in monastero. Dall’Antichità fino al Medio Evo, la condizione della donna resta molto venata di cultura greco-romana e le esigenze del Nuovo Testamento non sono ancora completamente realizzate. Talvolta il matrimonio è accompagnato da una benedizione religiosa, laddove la firma stessa non appariva su un documento scritto.

La completa attuazione di misure concrete e rivoluzionarie per la protezione della donna ha richiesto un tempo importante, ma è stata la Chiesa a ritrovarsene artefice. Si sarebbe dovuto attendere fino al IV Concilio Lateranense (1215) perché esse venissero adottate. Papa Innocenzo III diede vita a un primo statuto legale per la donna. I matrimoni non potevano più celebrarsi clandestinamente. Si tratta di un atto rivoluzionario da parte dei Padri conciliari. Per la prima volta nella storia dell’umanità, un atto ufficiale decreta – sotto minaccia di pene conseguenti – il diritto delle donne a decidere esse stesse della loro vita. Anche dopo la grandiosa novità della proclamazione, ci vollero ancora secoli perché le vecchie abitudini cambiassero.




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Un ruolo culturale

A partire dal XI secolo, cominciò a svilupparsi una devozione specialissima alla Vergine Maria, e una grande parte delle cattedrali gotiche che visitiamo ancora oggi le sono dedicate, a cominciare da Notre-Dame de Paris e dal Duomo di Milano. A quest’epoca, le donne (soprattutto quelle di buona nobiltà) godevano di maggior prestigio e di una libertà che andava fino al poter accompagnare i loro sposi in crociata! Conosciamo i nomi di quelle che accompagnarono la prima crociata: Elvira di Castiglia, che mise al mondo il figlioletto Alfonso e lo fece battezzare nel Giordano; Gothehilde di Tosny, di nobile famiglia inglese, sposa di Baldovino I di Gerusalemme, che morì durante la spedizione. Ma le donne che presero parte alle crociate non sono tutte mogli dei capi: alcune accompagnarono le truppe, come le due converse della collegiale di Serrabone, nei pressi di Perpignan (si chiamavano Richarda ed Estevania). La seconda crociata fu accompagnata dalla regina di Francia Éléonore d’Aquitania (1122-1204), la quale riuscì a convincere parecchie dame di alto rango a partire con lei. Altre donne parteciparono alle crociate e anche ai combattimenti, in particolare durante gli assedi di alcune città in mano saracena.

Alla corte reale di differenti paesi le figlie ricevevano la medesima educazione dei figli. I monasteri femminili divennero autentici centri di cultura: un buon numero di donne sarebbero divenute autrici di opere letterarie, teatrali e spirituali. Sappiamo che nel Medio Evo il concetto di “autore” si riferiva agli scrittori della latinità: è dunque difficile ottenere questo statuto per quanti scrivevano in lingua vernacola, e ancora di più per una donna. Malgrado tutto, un buon numero di loro – come Marie de France (seconda metà del XII secolo) o Christine de Pisan (1346-1430), entrambe poetesse – furono riconosciute nel mondo della letteratura medievale come autentiche autrici.


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La grande influenza delle religiose

Non dimentichiamo di menzionare alcune donne di grande importanza nel circolo della vita religiosa e monastica. Anzitutto Ildegarda di Bingen (1098-1198), badessa benedettina tedesca, medico, musicista e letterata. Tra le opere religiose che ci ha lasciato, tra si fanno notare per il loro nervo teologico: Scivias, su diversi argomenti di teologia dogmatica; Liber vitæ meritorum, su temi di teologia morale; Liber Divinorum Operum, sulla cosmologia, l’antropologia e la teodicea. Ella compose anche opere di carattere scientifico: Liber simplicis medicinæ/Physica, sulle proprietà curative delle piante e degli animali; Liber Compositæ medicinæ/Causæ et curæ, sull’origine delle malattie e sui loro trattamenti. E parecchie delle sue opere si trovano anche in libreeria! Ildegarda è pure all’origine della Lingua ignota, la prima lingua artificiale della storia! Compose poi settantotto opere musicali raggruppate sotto il titolo di Symphonia armoniœ celestium revelationum. Fu proclamata dottore della Chiesa nel 2012 da Benedetto XVI: è la quarta donna ad aver ricevuto questa onorificenza, dopo Caterina da Siena, Teresa d’Avila e Teresa di Lisieux.

Parecchie altre donne, consacrate a Dio, ebbero una grande influenza sulla società del loro tempo. Chiara di Assisi (1193-1253), fondatrice delle Clarisse; Agnese di Praga (1205-1282), “sorella spirituale” della prima; Ermentrude di Bruges (1210-1280); Gertrude di Helfta (1256-1302), nota anche col titolo di Gertrude la Grande, badessa, mistica e scrittrice che faceva studiare alle sue monache la filosofia, la storia, la medicina, la linguistica e altre scienze profane; Mathilde di Magdeburgo (1207-1283), che fu all’origine di un’interessante opera letteraria, notevole sia per l’aspetto linguistico (di grande qualità poetica) sia per l’aspetto storico, dalla quale molto sappiamo sulla donna nel Medio Evo; Brigitta Birgersdotter, nota come Brigida di Svezia (1303-1373), che fu regina, madre, poi religiosa e donna di lettere nonché teologa; Caterina da Siena (1347-1380), che fece tornare da Avignone Papa Gregorio XI; Caterina di Bologna (1413-1463); Caritas Pirckheimer (1462-1532) e molte altre.


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L’impatto della Riforma

A partire dal XVI secolo, nei Paesi che adottarono la Riforma protestante le forme di vita consacrata in cui le donne potevano trovare un’altra via di realizzazione personale che non fosse quella del matrimonio furono eliminate, così come la venerazione alla Vergine Maria, che rappresentava incontestabilmente una valorizzazione della femminilità. La donna tornava a inserirsi in un sistema religioso patriarcale e maschile. La donna non aveva più altro orizzonte che quello del proprio focolare, in una sottomissione totale al padre e al marito. È in questo contesto (cristiano) che nacque il movimento femminista vero e proprio, in piena rivoluzione inglese (1688-1689). Le donne delle comunità ecclesiali anglicana e riformata, fondandosi sul Nuovo Testamento, affermano con forza che se Dio le ama in quanto donne e se non fa preferenza di persone, allora il Parlamento doveva fare altrettanto! Fu dunque nella Santa Scrittura, ovvero nella Parola di Dio, che si trovò il fondamento alla rivendicazione dei diritti della donna.




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Il regresso rivoluzionario

In Francia, la Rivoluzione cercò con tutti i mezzi di escludere dalla visibilità socio-culturale e politica tanto la Chiesa quanto le donne. La secolarizzazione non cessava di crescere come affermazione di modernità, con modelli di realizzazione tipicamente mascolini. I progressi della condizione femminile regredirono proporzionalmente alla ripresa – avanzata fin dal Rinascimento – del diritto romano e quindi della subalternità della donna. Questa recessione sarebbe stata confermata nel Codice Civile di Napoleone, ispirato al Codex Iustinianus, che faceva della donna un essere “perpetuamente inferiore”.

Sarebbe dunque ingenuo pensare che l’emancipazione attuale della donna sia dovuta ai rappresentanti del secolo dei Lumières, è vero il contrario! La loro visione sulla “razza femminile” apparirebbe anzi infame e scandalosa al nostro giudizio, poiché la citano banalmente, svergognatamente, tra gli oggetti di uso e di consumo:

Questo ha principio appunto dallo stato di natura di Rousseau, in cui il selvaggio «ha per soli beni – spiega – il cibo, una femmina e il riposo». […] Diderot stabilisce le sue ambizioni nella misura di «una carrozza, un appartamento comodo, dei lini fini e una ragazza profumata». […] La reificazione strumentalizzante dell’essere femminile va talvolta più in là. Pensiamo per esempio al fratello minore di Mirabeau, che di una delle sue “conquiste” fa scrivere all’eroe della sua Morale des Sens: «È un mobile da notte, del quale non si sa che fare durante il giorno». […] E Sade utilizza questa metafora: «Mi servo di una donna per necessità, come ci si serve di un vaso per altri bisogni». […] Così il famoso e disinvolto verso di Musset: «Che importa la bottiglia: basta che ci si ubriachi». […]. Altri diagnosticano nell’imposizione del rapporto sessuale alla “specie femminile” (come inelegantemente avrebbe scritto Voltaire) un diritto primordiale.

I famosi Diritti dell’uomo e del cittadino, proclamati in Francia nel 1789, non erano stati pensati, allora, che per il maschio.

Paradossalmente, è in questo contesto che la novità dell’apostolato delle religioni fece la sua apparizione. L’implicazione femminile nella Rivoluzione francese – sia sulle barricate, sia nelle opere di carità sia nella difesa dei preti refrattari – fa prendere coscienza del fatto che le donne sono una potenza per la conservazione delle strutture cristiane nella società. Il loro contributo sorpassa quindi largamente il circolo famigliare a cui le si limitava. Le soppressioni e le alienazioni dei beni monastici durante l’epoca napoleonica e nel clima liberale che seguì la Restaurazione contribuirono malgrado tutto a rendere una migliore immagine della vita religiosa. Essa era ormai purificata dai suoi privilegi, tra cui la clausura forzata per le donne.




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Le prime femministe

In questo contesto difficile, alcune donne lottarono fortemente per ottenere di essere ascoltate. Una di esse fu Olympe de Gouges (1748-1793), donna di lettere, drammaturga, pamphlettista e politica francese. Non solo si batté per l’abolizione della tratta dei Neri, ma scrisse anche una Dichiarazione dei diritti della donna e della cittadina (1791) le cui preme parole sono: «Uomo, sei capace di giustizia? È una donna a interrogarti!». [Fu uccisa nel Terrore per ordine di Robespierre perché parlò in difesa di Luigi XVI (secondo lei non doveva essere ghigliottinato). Da fine giugno 2020 circola in Francia un’emissione filatelica in sua commemorazione]. Parallelamente, l’immensa fioritura di congregazioni femminili nel XVIII e XIX secolo testimonia la vitalità in seno alla Chiesa anche per operare al servizio della formazione delle giovanissime, mediante la creazione di scuole.

Contemporanea di Olympe de Gouges, Mary Wollstonecraft (1759-1797) fu filosofa e letterata britannica. Durante la sua breve carriera scrisse romanzi, trattati, un racconto di viaggio e un libro per bambini. La si ricorda però soprattutto per il suo libro Rivendicazione per i Diritti delle donne, nel quale ella spiega che le donne non sono inferiori agli uomini per natura, ma per mancanza di istruzione. Ella sostiene che le donne e gli uomini debbono essere trattati come esseri razionali e propone un ordine sociale fondato sulla ragione. Si oppose a scrittori come James Fordyce e John Gregory, nonché a pedagogisti come Rousseau che, da parte loro, sostenevano la non-necessità di un’educazione razionale per le donne. Wollstonecraft difese energicamente l’idea che le mogli fossero le compagne razionali dei loro mariti. Ella mostrò che, se la società decidesse di affidare l’educazione dei suoi figli alle donne, queste ultime avrebbero necessitato di essere ben istruite per trasmettere conoscenze alla generazione futura.




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Le “suorine” fanno tremare lo status quo

Frattanto, con l’opera attiva, gratuita e dunque disarmante della carità, le “suorine” penetrarono tutti gli interstizi della società. Mentre la pratica religiosa maschile calava, soprattutto nei contesti urbani e industrializzati, le religiose s’inserirono immediatamente tra le persone, nei luoghi di vita quotidiana, lì dove maturavano le trasformazioni sociali, economiche e culturali. Staccandosi dall’antico modello monastico, le fondatrici svilupparono l’apostolato delle loro religiose in ambienti sovente intrisi d’anticlericalismo. Elle anticiparono largamente, anzi ispirarono, i servizi statali che – dal canto loro – non erano in grado di fronteggiare i problemi sociali dell’epoca. Le “suorine” crearono numerosissime istituzioni per l’educazione delle ragazze. Una volta istruite, le donne andavano piano piano a minare lo status quo secolarizzato e post-rivoluzionario della società, nel lavoro, nella famiglia e nella maternità.

Con la Rivoluzione industriale e con la Prima Guerra Mondiale, la partecipazione delle donne al mondo del lavoro conobbe un’accelerazione.




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Il femminismo vittimista

Con la Grande Guerra, le donne assunsero massicciamente lavori fino ad allora riservati agli uomini, e fu allora che molto cambiò grandemente. Essendo gli uomini chiamati al fronte, le donne non ebbero altra scelta che rimpiazzarli ai loro posti di lavoro, e questo fu l’inizio di un grandissimo numero di cambiamenti, destinati ad amplificarsi con la Seconda Guerra Mondiale. Per non citarne che alcuni soltanto, pensiamo al cambio di vestiario (l’ingresso dei pantaloni nella moda femminile), all’accesso massivo agli studi universitari, alla maternità condotta insieme con una carriera professionale, all’accesso alla vita politica e così via.

Negli anni ’90 del XX secolo, la corrente femminista si è irrigidita sulle proprie posizioni: alcuni la qualificano di “vittimismo”. Essa si caratterizza per una visione negativa dell’uomo-maschio e su una ossessiva insistenza sull’oppressione di cui le donne europee e americane dicono di essere vittime. Essa veicola l’idea filosofia secondo la quale uomini e donne sono uguali al punto da non potersi distinguere. Questa determinazione a non riconoscere o a non attribuire forze caratteristiche all’uomo e alla donna porta dritta alla teoria del gender. Il magistero della Chiesa si è abbondantemente espresso sull’argomento mediante gli ultimi Papi.

Secondo questa prospettiva antropologica – è un documento scritto da Ratzinger e firmato davanti a Giovanni Paolo II nel 2004 – la natura umana non avrebbe in se stessa caratteristiche che si imporrebbero in maniera assoluta: ogni persona potrebbe o dovrebbe modellarsi a suo piacimento, dal momento che sarebbe libera da ogni predeterminazione legata alla sua costituzione essenziale.

Questa prospettiva ha molteplici conseguenze. Anzitutto si rafforza l’idea che la liberazione della donna comporti una critica alle Sacre Scritture che trasmetterebbero una concezione patriarcale di Dio, alimentata da una cultura essenzialmente maschilista. In secondo luogo tale tendenza considererebbe privo di importanza e ininfluente il fatto che il Figlio di Dio abbia assunto la natura umana nella sua forma maschile.

Dinanzi a queste correnti di pensiero, la Chiesa, illuminata dalla fede in Gesù Cristo, parla invece di collaborazione attiva, proprio nel riconoscimento della stessa differenza, tra uomo e donna.


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Gli scritti della Chiesa sull’argomento sono numerosissimi. Prova che essa riflette attivamente sulla condizione delle donne, sulla loro dignità e sulla loro vocazione.




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[traduzione dal francese a cura di Giovanni Marcotullio]

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