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La scintilla del lunedì – Rivedere le stelle

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Annalisa Teggi - pubblicato il 27/07/20

La discesa nei nostri momenti di buio è feconda di questa dote, ci pulisce gli occhi e - se lo vogliamo - ci mostra un orizzonte più grande delle nostre paure

Mi accorgo spesso che quando vivo una sconfitta, aspetto – come in apnea – il dopo. Il momento di abbattimento e sconforto mi pare un tempo inutile, da far passare in attesa di giorni migliori. Solo a posteriori mi accorgo che una parte molto buona della mia persona viene forgiata e, addirittura, matura proprio dentro quel tempo che giudico come vuoto o perso nella desolazione.

Nel podcast di questa settimana sono partita dal detto «si chiude una porta e si apre un portone» che mi fa sorgere alcune domande. Chi chiude la porta e chi poi apre il portone? Dov’è l’uomo dentro questo detto? Sembra un pupazzo fuori dalla scena, in attesa. E poi tra la porta e il portone che spazio c’è? Si cammina, si sta fermi, si dorme?

Tra l’urto di una sconfitta, o di una fatica che abbatte, e lo spiraglio fresco di una nuova opportunità c’è il buio. Che non è uno spazio brutto, ma può diventare benedetto. Tutti abbiamo vissuto l’esperienza semplice di entrare in una galleria in autostrada e di uscirne con gli occhi che vengono abbagliati dalla luce. Non c’è una luce più bella e potente fuori dalla penombra della galleria; la luce rimane identica, l’unico reagente che ce la fa percepire più forte è l’essere rimasti al buio per qualche secondo. E ci sarebbe molto da dire sul fatto che più stiamo al buio, più è forte l’impatto con la luce all’uscita. Più siamo lontani dal bene più il suo impatto luminoso ci travolge quando lo ritroviamo e ci pare impossibile di averlo trascurato o giudicato “normale” mentre ci vivevamo dentro, quasi senza accorgercene.

Fuori dalla metafora: la discesa nei nostri momenti di buio è feconda di questa dote, ci pulisce gli occhi così a fondo da renderli di nuovo desiderosi della luce. Le sconfitte, le porte sbattute in faccia, le fatiche che paiono andare a vuoto sono l’ingresso in una stanza in cui stiamo scomodi e viviamo il disagio di non avere soluzioni, ma solo lacrime. Non sono un momento di passaggio da vivere in apnea in attesa di un dopo in cui una nuova porta si aprirà. Sono già la premessa di uno sguardo nuovo, lavato dalle macchie di superbia ed egoismo con cui ci sporchiamo la vista. Non c’è nessuna magia tra la porta piccola che si chiude e il portone più grande che si apre, c’è un unico viaggio dell’anima che può spalancarsi a una chiamata più grande grazie alle prove vissute giorno per giorno. E dunque chi è che chiude e apre le porte del nostro destino?

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