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Come spiegare ai bambini la morte di una persona cara?

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George Rudy | Shutterstock

Alvaro Real - pubblicato il 10/08/20

Suggerimenti per permettere ai più piccoli di partecipare al lutto

La malattia propria o di un familiare, la morte di una persona cara o la separazione dei genitori sono eventi traumatici per bambini e adolescenti. In che modo i genitori possono affrontare questi momenti? Marisa Magaña, direttrice del Centro di Ascolto San Camillo, offre alcuni suggerimenti per accompagnare i propri figli.

Perché abbiamo ancora tante remore a ricorrere allo psicologo, cosa che non accade con altri specialisti?

È curioso come in società mutevoli come la nostra si abbia un’elevata capacità di adattarsi a tutto ciò che arriva di nuovo e si accolga a braccia aperte per quanto sembri diverso e tuttavia ci si trascinino tabù e stigmatizzazioni quasi secolari.

Andare dallo psicologo, per ignoranza, continua ad essere associato al fatto di avere disturbi mentali, o nel peggiore dei casi essere “stupidi”. Non accade lo stesso con altri professionisti come pedagoghi, logopedisti, ecc., che vengono associati ad altri tipi di disturbi che non fanno “vergognare” tanto.

Sappiamo quando una persona deve andare dal medico, ma non sappiamo bene quando si dovrebbe ricorrere allo psicologo. Ce lo può chiarire?

Siamo così abituati a convivere con certe abitudini di pensiero e comportamento malsane che le abbiamo ormai normalizzate, e anche se non ci fanno sentire bene pensiamo che non si possano cambiare.

Non esiste una linea divisoria chiara e non è facile differenziare, di fronte a un malessere personale, se basta il sostegno di famiglia e amici o se serve l’aiuto di un professionista della salute mentale.

Alcuni suggerimenti sull’ipotesi di dover cercare o meno aiuto professionale ce li possono dare questi parametri:

• Si tratta di un problema/circostanza che sta limitando la routine quotidiana, che ne viene pregiudicata?
• Si è cercato di risolvere la questione in qualche modo e per mancanza di capacità o motivazione non si sono ottenuti risultati positivi?
• Il motivo del malessere si mantiene nel tempo e non solo non migliora, ma peggiora?

Se la riflessione su queste domande ci porta a un “Sì” come risposta, non sarebbe sbagliato consultare uno psicologo.

Si dice che i primi sintomi di molti dei problemi collegati alla personalità o anche alla malattia mentale emergano nell’adolescenza e nella giovinezza, o perfino nell’infanzia. È così? In questo caso, quali sono i sintomi che i genitori devono monitorare per vedere se è il caso di portare i figli dallo psicologo?

La maggior parte dei problemi collegati alla personalità ha la sua origine nell’infanzia, ha a che vedere con i tipi di vincoli appresi, il modo di affrontare i problemi, il fatto che si siano verificati o meno eventi traumatici…

La malattia mentale è una questione più complessa e dipende da diverse variabili, tra cui la componente genetica, e può emergere in vari momenti della vita dell’essere umano.

I genitori hanno un istinto che fa sì che davanti a determinate reazioni e a certi comportamenti e atteggiamenti dei figli ci si dica che qualcosa non va.

Comportamenti atipici, bambini che non si relazionano o si relazionano male con altri bambini, giocano soltanto da soli, hanno uno stato d’animo triste, non rispondono all’affetto, sono continuamente ribelli, non sopportano i limiti… Sono tutti comportamenti che dovrebbero far pensare che il figlio ha qualche problema che non si riesce a risolvere.


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Ci sono momenti particolarmente critici nella vita di un bambino o un adolescente: la malattia propria o di un familiare, la morte di un parente stretto, la separazione dei genitori… Come influiscono queste situazioni?

Eventi come la malattia propria o di un familiare, la morte di una persona cara o la separazione dei genitori sono traumatici per bambini e adolescenti. Quando si verificano durante l’infanzia o l’adolescenza, in genere influenzano il minore in tutte le dimensioni della sua persona.

Di fronte a questo, noi genitori dobbiamo essere particolarmente attenti, perché gli adolescenti e soprattutto i bambini non manifestano i propri sentimenti come gli adulti, piuttosto li “mettono in pratica”. Ai minori costa esprimere, costa capire ciò che provano, e ancor di più “tirarlo fuori”.

Per questo, è frequente che proiettino il loro malessere – tristezza, rabbia, colpa – sulle attività e sui comportamenti quotidiani; la mancanza di speranza nei confronti delle cose, il fatto di non voler stare lontani da casa, le reazioni violente ingiustificate…

Ricordo il caso di una bambina di 10 anni che di fronte alla morte della sorellina non esprimeva alcun sentimento, finché una notte è rimasta a dormire a casa della sua migliore amica e ha avuto un accesso di pianto così forte che i genitori sono dovuti andare a prenderla.




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Come devono agire i genitori?

Fondamentalmente in due modi, il primo dei quali è rendendo i minori partecipi di quello che sta accadendo in famiglia, ovvero informandoli, adattando le informazioni al loro livello di comprensione, dicendo loro cosa sta accadendo, in che modo influirà su di loro, i cambiamenti di orari che ci saranno…

Se si tratta di una malattia grave, senza chiudere la porta alla speranza non bisogna mentire sulla gravità e sulla possibilità di una mancata guarigione. Anche i minori devono prepararsi al congedo. Una volta fatto questo, è importantissimo dare loro l’opportunità di esprimere ciò che provano, di far chiedere loro quello che vogliono sapere. Bisogna normalizzare e accogliere il loro pianto e la loro rabbia, con affetto e comprensione, spiegando che è il loro modo di esprimere amore nei confronti della persona cara.

Nella nostra società non si parla in genere della morte, men che meno ai bambini. Quando e come bisogna parlare a un bambino della morte?

Ogni volta che il minore ha subìto una perdita significativa è importante parlare con lui. Cosa dirgli? Come ci sentiamo, che comprendiamo la sua tristezza, che è naturale che provi tristezza o rabbia, che in questa vita non vedremo più la persona defunta.

Bisogna anche tener conto dei timori principali del bambino: ho provocato io la morte? Accadrà anche a me? Chi si prenderà cura di me se muore anche…?

In base alla sua esperienza, quali sono le situazioni che fanno più male, nel corpo e nell’anima, alle persone in quest’epoca in cui viviamo?

In base alla mia esperienza, le situazioni che fanno più male a noi esseri umani sono atemporali, e hanno a che vedere con la paura che gli altri smettano di amarci. Amare ed essere amati è quello che fortunatamente dà senso all’essere umano.

Perdere quell’affetto per morte, abbandono, aggressione, ecc., lascia un vuoto nell’anima che se non si lavoro per affrontarlo finisce per far ammalare anche il corpo. La gran parte dei disturbi di una persona ha origine nel fatto di non aver ricevuto affetto, o di averlo ricevuto in modo non sano.

Lei tratta casi di persone che hanno toccato il fondo. Come le motiva a uscire dal pozzo come apre loro orizzonti di speranza?

Quando si sente che si tocca il fondo, una delle cose di cui c’è più bisogno è che mentre ci si sta lamentando per quanto ciò che si vive fa male ci sia qualcuno al proprio fianco a raccogliere quello che si dice, comprendendo la gravità, validando reazioni e comportamenti come propri della difficile situazione che si vive e perfino incoraggiando a non limitarsi, perché la lamentela è positiva, e lo è perché guarisce.

È la riabilitazione dell’osso rotto, che fa male mentre si verifica ma senza di essa non si torna a camminare bene.

Solo dopo aver accolto l’altro nelle sue debolezze potrà confidare in noi perché lo aiutiamo a scoprire o a riscoprire i suoi punti di forza.

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