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Sondaggio medici belgi: ammissibile eutanasia neonatale, ma si chiama infanticidio

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Di Inez Carter|Shutterstock

Universitari per la Vita - pubblicato il 28/08/20

Il 79% dei professionisti che sono stati contattati per il sondaggio hanno risposto, e di questi il 100% ha risposto di accettare l’aborto tardivo in caso di malattia letale per il feto, ed il 95% in caso di gravi patologie del feto. Per quasi il venti per cento è accettabile anche solo per problemi psicologici della madre.

di Matteo Casarosa

Un sondaggio di 117 medici e paramedici belgi ha trovato che tali professionisti sono in prevalenza favorevoli all’aborto anche quando il feto è già capace di sopravvivere fuori dal grembo della madre, e perfino all’eutanasia su neonati malati.

Per la precisione, il 79% dei professionisti che sono stati contattati per il sondaggio hanno risposto, e di questi il 100% ha risposto di accettare l’aborto tardivo in caso di malattia letale per il feto, ed il 95% in caso di gravi patologie del feto. Parlando invece di un feto sano, il 19% accetta l’aborto tardivo nel caso di problemi psicologici della madre ed il 13% nel caso di difficoltà finanziarie.

Il dato più allarmante è che l’89% degli intervistati ha affermato di accettare la somministrazione di sostanze al fine di uccidere un neonato affetto da gravi patologie.

Questo dato, che per molti è incomprensibile quanto raccapricciante, in realtà sembra la concretizzazione di alcuni tentativi presenti già da anni nella letteratura filosofica di legittimare l’infanticidio che ne ammetterebbero un’applicazione ancora più ampia, ovvero anche in casi in cui il neonato è sano.

Tutto questo per la causa pro-life è da considerarsi un tracollo gravissimo, non solo perché porterà verosimilmente a molte vittime innocenti, ma anche perché rappresenta un ulteriore abbrutimento del senso morale comune. Negli ultimi decenni attivisti ed accademici pro-vita hanno insistito a dire che se per assurdo l’aborto fosse lecito dovrebbe esserlo anche l’infanticidio. Bisogna avere chiaro in mente che se non si riesce ad invertire la tendenza mortifera potremmo ritrovarci un giorno in una situazione in cui la maggior parte degli interlocutori legittima l’uccisione di quelli che sa benissimo essere bambini, senza neanche la necessità di ridefinirli come «grumi di cellule». Questo è ancora più vero se consideriamo che nella società occidentale di oggi alcuni riferimenti morali sono venuti a mancare. La religione non gioca più un ruolo importante nel determinare le convinzioni etiche delle persone, e con la mentalità relativista che dilaga anche la ragione filosofica non viene più tenuta in considerazione come mezzo per giungere a dei principi morali saldi e senza eccezioni.

Infine, la natura umana non viene più considerata un possibile fondamento della morale, perché si ha l’impressione che essa sia mutevole e possa essere stravolta a piacere con l’aiuto della moderna tecnologia. Cosa rimane? Principalmente l’influenza della società, sia attraverso la testimonianza di altri, soprattutto se questi vengono considerati degli esperti ma ancora di più se possono vantare una qualche esperienza personale, ed infine la legge, perché l’orrore suscitato dal pensiero della pena ha davvero il potere di influenzare i meccanismi di pensiero morale di una persona, facendole dire non solo «questo non lo faccio perché ho paura delle conseguenze», ma proprio «questo è sbagliato, e infatti guarda che conseguenze».

Nel momento in cui la maggior parte dei membri di una categoria rispettata come quella dei medici si dichiarasse favorevole all’infanticidio sotto determinate condizioni e la legge lo permettesse, si può immaginare che la maggior parte delle persone finirebbe per accettarlo. E non sarebbe ancora la fine, perché al peggio non c’è fine.

QUI IL LINK ALL’ARTICOLO ORIGINALE PUBBLICATO DA UNIVERSITARI PER LA VITA

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