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Roma, feti seppelliti al Flaminio: non comparirà più il nome della madre

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Marta Loi | Facebook

Paola Belletti - pubblicato il 05/10/20 - aggiornato il 09/11/22

Il caso della sepoltura dei feti abortiti scoppiato due anni fa nella capitale ha registrato uno sviluppo positivo ed equilibrato.
Modificato il Regolamento di polizia cimiteriale perché non compaia più il nome della madre, nessun procedimento penale in corso invece per l'archiviazione stabilita dal GIP.

La giunta della capitale ha deliberato: i nomi delle madri dei feti abortiti e sepolti al Flaminio saranno rimossi.

E’ stata infatti approvata la proposta di modifica di due articoli del Regolamento di polizia cimiteriale per “adeguarlo alle necessità e alle sensibilità” legate al trattamento dei dati personali delle donne che hanno vissuto un aborto.

 La piccola croce bianca verrà contrassegnata da ora in avanti solo con un codice alfanumerico.

E’ decaduto invece il procedimento penale poiché il GIP ha archiviato la causa: non ravvisa infatti un atto doloso ma solo la conseguenza, spiacevole, dovuta ad un vuoto normativo, che ora parrebbe sanato.

Il caso dei feti abortiti seppelliti in un’area del cimitero capitolino

Il caso era scoppiato quando alcune donne avevano scoperto per caso che il loro nome era stato indicato su sepolture delle quali nemmeno sapevano l’esistenza al cimitero Flaminio di Roma. Il caso, dopo le denunce delle donne interessate, era finito anche in tribunale, ma un paio di mesi fa il gip ha archiviato la causa, sostenendo che si sia trattato non di un atto doloso ma semplicemente della conseguenza di una prassi erronea determinata da un vuoto normativo. 

Cinque giorni fa ha iniziato a diventare notizia da testate giornalistiche, ma a sollevare il caso è stato un post su Facebook del 28 settembre del 2020. Ecco come lo riferisce Repubblica:

Una croce dopo l’altra, una per ogni feto. Con sopra, un nome e un cognome. Quello di una donna. Al cimitero Flaminio a Roma vengono seppelliti i corpicini e i dati personali di chi ha abortito sono visibili a tutti. Centinaia le croci, divise in più lotti e si riconoscono perché sono bianche, sbilenche, col nome di famiglia, di colei che ha dovuto o voluto interrompere la gravidanza.
Per prima se n’è accorta una donna, M.L. che un paio di giorni fa si è sfogata con un lungo post su Fb. “Non ne sapevo niente, mi sono trovata il mio nome su una tomba”. Poi un’altra, sempre nello stesso cimitero, che dice: “È come se avessero seppellito me, hanno deciso che io sono già morta” e altre donne lo vengono a sapere dai giornali e si stanno facendo avanti in queste ore. (Rep.)

A Roma è scoppiata una polemica di forte impatto emotivo che coinvolge associazioni delle donne, Garante della Privacy, ospedali e servizi cimiteriali ed è stata annunciata un’interrogazione parlamentare. (Rep)

La reazione emotiva si allarga

La reazione è comprensibile, per larga parte condivisibile. Non si può negare che esporre i nomi delle donne che hanno abortito sia stata una grave indelicatezza. Eppure, con il montare della componente emotiva, se non ci si ferma a riflettere, si rischia di perdere totalmente il punto della vicenda. Si tratta di feti, si tratta di resti umani.

Nemmeno se ci investono il gatto lo buttiamo in un sacco nero tanto facilmente. Allora perché come società accettiamo che migliaia di bambini allo stadio fetale o embrionale vengano trattati come rifiuti? Dovrebbe ribollirci il sangue nelle vene come popolo intero.


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Avere a cuore entrambi: madre e figlio

La Comunità Giovanni XXIII, che dal 1999 si occupa della sepoltura dei feti, ha sottolineato nel comunicato stampa relativo alla triste ma emblematica vicenda la cura che occorre avere in circostanze come queste: anche nel lutto da aborto procurato bisogna salvare entrambi, la madre nel suo orizzonte terreno e il bambino in quello che incontra oltre la morte; e bisogna considerare il loro legame di reciproca appartenenza, non di possesso.

«Sia sempre garantito il rispetto della privacy e della dignità delle mamme che non hanno dato alla luce i loro figli». E’ quanto dichiara Giovanni Paolo Ramonda, presidente della Comunità Papa Giovanni XXIII, in merito alla vicenda delle tombe dei feti con i nomi delle madri in un cimitero romano.
«L’aborto rappresenta un lutto sommerso. Lo confermano anche i racconti ascoltati in questi giorni. Un evento tragico e sottovalutato. Il mancato riconoscimento sociale di questo lutto lascia i genitori nella solitudine, complicando il processo di elaborazione del lutto» spiega Ramonda.

«Insieme alla dignità della madre va garantita anche quella del figlio non nato. – continua Ramonda – Anche loro hanno diritto ad una sepoltura cristiana, come si diceva una volta. Non essere considerati “rifiuti speciali ospedalieri” o ammassati in fosse comuni. È nostra cura fornire ai genitori tutte le informazioni necessarie, nel rispetto della privacy, per poter compiere questo atto che restituisce dignità e rispetto alle spoglie mortali di questi bimbi in qualsiasi età gestazionale siano morti».

La legislazione

La questione della sepoltura dei feti non è un semplice “retaggio fascista” come paiono suggerire alcuni articoli. La legge cui si fa riferimento è un regio decreto, il n.1238/1939 e la sua ratio è quella di regolamentare una pratica di pietà umana prima ancora che cristiana: seppellire degnamente i bambini e i feti nati morti o morti subito dopo la nascita.

Di sicuro, non solo si poteva ma si doveva pensare ad una modalità più rispettosa per le donne e anche per i bimbi che sono la parte più tragicamente lesa. Il motivo per cui è indicato il nome della mamma in mancanza di un nome assegnato al bambino secondo l’Azienda municipale è questo, come riporta da IlPost:

Ama (Azienda Municipale Ambiente) ha semplicemente comunicato che si usa così: il simbolo «è quello tradizionalmente in uso, in mancanza di una diversa volontà, mentre l’epigrafe, in assenza di un nome assegnato, deve in ogni caso riportare alcune indicazioni basilari per individuare la sepoltura da parte di chi ne conosce l’esistenza e la cerca».

Un lutto che va elaborato

Altra riflessione: quanta delicatezza e amorosità hanno mostrato gli operatori dei servizi cimiteriali? Lo si desume dalla telefonata e dai commenti della stessa donna.

Custodire con rispetto piccoli resti che nessuno reclama in attesa di offrire loro una sepoltura degna di una creatura umana è una cosa nobile. Bisognerebbe premiarla più che passarla al terribile vaglio dell’opinione pubblica.

Leggi, decreti e circolari

Sul fronte legislativo nazionale è in vigore anche un decreto del Presidente della Repubblica del 10 settembre del 1990 firmato da Francesco Cossiga che regolamenta la possibilità di seppellire i feti anche al di sotto delle 20 settimane. Prosegue il comunicato della Giovanni XXIII che ne sottolinea il punto debole, se valutato dal punto di vista della coppia che perde il bambino:

Il DPR 285/90, che regolamenta la polizia mortuaria a livello nazionale, prevede che anche al di sotto delle venti settimane i parenti possano chiedere la sepoltura del proprio figlio, ma hanno solo 24 ore per farlo, oltre le quali ne perdono il diritto. La legge non è chiara sul cosa si debba fare in assenza di tale richiesta ma in genere i feti vengono gettati fra i rifiuti speciali dell’ospedale e inceneriti.

Una circolare del ministero della salute ne raccomanda la sepoltura anche in assenza della richiesta dei genitori.

Un piccolo d’uomo è un uomo piccolo

Rifletto sul post della signora Loi: figlio è proprio lo status che lei stessa gli riconosce. Lei, non incursori pro life. E’ lei che denuncia, forse senza rendersene conto, che l’aborto per quanto procurato genera confusione, dolore, debolezza in tutta la persona; è una ferita alla donna, alla madre, ed è la soppressione del figlio. E’ la prima a mostrare quanto ogni gravidanza sia un evento epocale e rivoluzionario e quanto incida definitivamente sulla nostra vita (e persino su quella del mondo, dal quale non basterà mai a isolarci il separé della privacy). Lei racconta quanto le donne, tante altre, si rivolgano a questo servizio e vi trovino ascolto, dolcezza, dimestichezza persino con un dolore che ha le sue secche e le sue alte maree. Che sembra non lasciare traccia e poi torna. Un dolore, quello del lutto perinatale, troppo spesso lasciato orfano nella nostra società.  Per questo reclama più attenzione.

La dignità umana vale più della privacy

Ora, con tutta la comprensione che ho subito provato per questa donna e il dramma enorme del quale rivendica la parte più marginale (la privacy violata), mi faccio una domanda: perché invece che andare dietro alla lepre giornalistica che dà il passo al gruppo non cambiamo ritmo e tragitto?
La notizia vera, dato il numero di persone coinvolte e la gravità della materia, è che dal 2012, a Roma c’è una sorta di filiera che funziona e che si occupa senza clamore di seppellire degnamente dei bambini morti per aborto. Dei resti indubbiamente umani sono trattati come tali. E, se ci pensiamo bene, questa dovrebbe essere la prassi: umana, non cristiana, metodista, musulmana, ebrea, buddista. Non è ancora questione confessionale.

Migliaia di aborti, migliaia di feti smaltiti come rifiuti

E questa è la parte in chiaro di un’immagine in cui prevale il nero: migliaia di bambini passano dal ventre materno, in cui per diversi motivi trovano la morte, ad un contenitore per rifiuti ospedalieri speciali. Davvero meritano di essere inceneriti insieme alle garze sporche di sangue?

E il famoso consenso informato?

A fronte di un numero di aborti spontanei che superano quelli procurati (nel 2018, in Italia, sono state notificate 76.328 interruzioni volontarie di gravidanza, cfr ISS), quante di noi ricevono il civilissimo e tanto a sproposito rivendicato consenso informato? Chi ci dice dove li metteranno una volta espulsi o estratti dalla cavità uterina, cosa ne faranno, come verranno trattati quei piccoli, significanti resti?
Tracciamo pacchi Amazon al metro e non abbiamo idea di che destino abbiano i nostri figli più piccoli.
A me che è capitato parecchio tempo fa, nessuna delle due volte è stato detto nulla. Ho notato solo grande attenzione a chiamare mio figlio “prodotto del concepimento” e altre acrobazie linguistiche, ma della cosa più importante si è taciuto, prima, durante e dopo l’aborto. E me ne faccio una colpa che torna a tormentare insieme al dolore di non averli visti crescere.

Una M.L, tante madri riconoscenti

Dietro la croce del feto abortito di Marta Loi, ce ne sono altre decine: per quante mamme e papà o fratellini sono un luogo di consolazione, uno spazio che rende più evidente e tangibile la realtà di quel figlio che il mondo dimentica tanto in fretta? Penso con gratitudine, invece, a queste persone che si sono occupate dei feti, penso che piacerebbe anche a me e a tante altre poter avere un luogo dove piangere i figli che vedremo in un’altra vita, se sapremo meritarcela.
Aggiornamento del 9/11/2022

Dal 3 novembre i feti sepolti nei cimiteri capitolini non riporteranno più il nome della donna, ma soltanto un codice alfanumerico associato al numero di protocollo, insieme per chi lo voglia ad un nome – anche di fantasia -, un vezzeggiativo, un simbolo o una data, posti sul cippo funerario che ha sostituito la croce (Ansa).

È questa la principale modifica apportata dal Campidoglio al regolamento di Polizia Cimiteriale per l’inumazione di feti, nati morti e prodotti abortivi.

L’elenco dei protocolli sarà custodito nel cimitero e il suo accesso sarà consentito solo alla donna o agli aventi diritto nel caso di decesso dell’interessata. Ad oggi – sottolinea il Campidoglio in una nota – l’inumazione di prodotti abortivi (20/28 settimane) e dei feti (più di 28 settimane) è automatica e viene disposta nelle medesime aree dove vengono sepolti i bambini nati morti. I prodotti del concepimento (sotto le 20 settimane) vengono invece inceneriti d’ufficio. Con questo provvedimento si modificano gli articoli 4 e 28 del Regolamento disponendo che la donna – o gli eventuali aventi diritto – possano scegliere tra l’inumazione o la cremazione dei prodotti del concepimento, dei prodotti abortivi e dei feti.

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