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La scintilla del lunedì – Pura gioia da gregario

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Aurelio Vicente | Flickr

Annalisa Teggi - pubblicato il 05/10/20

Che guadagno c’è se il tuo sforzo resta nell’ombra? Possibile che ci sia vera felicità nel vedere un altro tagliare il traguardo?

La scorsa settimana la mia città è stata invasa dai mondiali di ciclismo; anche i non esperti come me sono stati avvolti dall’entusiasmo di questo sport duro ed esaltante. Nei giorni prima delle gare li vedevo allenarsi, questi campioni delle due ruote, lungo i percorsi della mia vita quotidiana, nei tragitti per portare a scuola i bambini o mentre andavo a fare la spesa.

Nel sudore e nelle smorfie sul loro volto mi sembrava di veder riflessa la mia fatica giornaliera. Ogni sport è un simbolo. Il ciclista in salita è un’immagine potente, anche vedere assembrati (… lo so di questi tempi non si può dire …) i tifosi che incitano, proprio lì nei punti dove le gambe si spezzano e il fiato manca.

E in questi miei giorni, diciamo, ciclistici per osmosi mi è frullata per la testa una parola: gregario. L’origine è legata al termine gregge e può anche significare quel tipo di persona che non prende decisioni, ma va dietro all’onda del gruppo. Ma il ciclismo ci dona questa stessa parola con un valore ben più luminoso.

Il gregario è quello che fa una fatica necessaria che non si vede, inutile al fine del suo successo: il suo compito è far di tutto per far vincere un altro. Queste figure sono anche state definite: «Quelli che corrono sempre, ma il loro lavoro è non vincere mai».

Che gratificazione c’è se la tua fatica porta il risultato a un altro? Che guadagno c’è se il tuo sforzo resta nell’ombra? È questa gioia che non esplode in un applauso a furor di popolo che noi abbiamo dimenticato e ci sembra assurda. Il colpo mortale è arrivato da quando ci sono gli influencer: quelli del mostrarsi molto ed essere presenti poco. Ecco l’abbaglio che può farci perdere il vero centro di gravità. Che è la realtà.

Mentre il virtuale non lascia spazio all’idea dei gregari, la realtà ne è piena. E questo è un conforto immenso. Attorno a noi, facciamoci caso, è pieno di piccole compagnie umane che si reggono in piedi perché, non visti, ciascuno fa da gregario all’altro. All’ombra dei grandi numeri è questa collaborazione umana silenziosa che rende il mondo un luogo ancora vivibile e amabile. Non ci si salva da soli, siamo cordate di uomini sudati e coi crampi ai muscoli che sanno bene che per andare avanti di un metro bisogna guardarsi le spalle a vicenda e mettersi a tirare, per salvare l’amico che vuole mollare. E il traguardo? È lì davanti e ci attende tutti, senza classifiche. Non è forse bello vedere da dietro qualcuno che alza le mani al cielo perché tu lo hai spinto e sostenuto? Non è bello dirgli a voce libera: “Eccomi, arrivo anch’io!”?

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