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La beata coreana Bibiana Mun Yeong-In, decapitata per la sua fede

VIVIANE MUN YEONG

contents.pauline.or.kr-(CC BY-NC-ND 2.0 KR)

Sandra Ferrer - pubblicato il 12/10/20

Insieme a centinaia di cattolici, la convertita subì il martirio e pagò con la vita la difesa della sua religione

Nella primavera del 1801, in Corea si è vissuto uno degli episodi più drammatici contro i cattolici d’Oriente. Fu ordinato dai vertici, visto che furono i re Sunjo e Jeongsun, della dinastia Joseon, a decretare la persecuzione implacabili di tutti i cattolici che vivevano nel Paese. Una persecuzione che costò la vita a più di 300 cattolici e cattoliche che non solo morirono, ma subirono il martirio.

Una delle persone determinate a non rinnegare le proprie convinzioni religiose fu Bibiana Mun Yeong-In, nata verso il 1776 a Seul in una famiglia semplice e senza alcun legame con il cattolicesimo. La sua era una vita normale – imparò a leggere e scrivere e presto spiccò per la sua bellezza. Bellezza e intelligenza richiamarono l’attenzione dei membri della corte, che reclamarono la sua presenza quando aveva appena 7 anni.

Rimase a corte per il resto dell’infanzia e della giovinezza, fino a quando, a 21 anni, abbandonò temporaneamente il palazzo per una malattia. Fu allora che la sua vita cambiò per sempre, perché entrò in contatto con persone affini alla fede cattolica.

Tra loro c’era Colomba Kang Wan-Suk, che avrebbe guidato i suoi passi per convertirsi ed essere battezzata poco tempo dopo. Bibiana fu una dei tanti Coreani che abbracciarono il cattolicesimo, come ha ricordato Papa Francesco nella sua omelia in occasione della beatificazione dei martiri coreani:

“La fede cristiana non giunse ai lidi della Corea attraverso missionari; vi entrò attraverso i cuori e le menti della gente coreana stessa. Essa fu stimolata dalla curiosità intellettuale, dalla ricerca della verità religiosa. Attraverso un iniziale incontro con il Vangelo, i primi cristiani coreani aprirono le loro menti a Gesù”.

Fu un periodo felice per Bibiana, che assisteva alla Messa e partecipava alle riunioni dei cattolici, in cui a poco a poco approfondì la sua fede.

Dovette però tornare a corte, dove non era conveniente per la sua sicurezza esporre pubblicamente le proprie idee sul cattolicesimo, e trascorse quindi gli anni successivi pregando in silenzio e cercando di far sì che nessuno si rendesse conto della sua situazione.

Finì però per essere scoperta, e venne non solo espulsa dal palazzo, ma anche ripudiata dalla sua famiglia quando questa seppe dell’espulsione e della ragione che aveva portato ad essa.

Bibiana soffrì per la perdita della sua famiglia, ma trovò consolazione in un’altra famiglia, quella dei cattolici che la accolsero e la aiutarono ad andare avanti con la sua vita. Una vita che avrebbe finito per essere tristemente breve.

Nel 1801, i cattolici della Corea affrontarono la persecuzione a causa della loro fede. Fu la cosiddetta Persecuzione Shinyu. Era solo questione di tempo perché Bibiana venisse fermata e incarcerata.

Anche se in un primo momento di disperazione cercò di salvare la propria vita rinnegando la sua fede, presto si rese conto che doveva essere fedele al suo cuore e finì per riaffermare le sue convinzioni davanti ai suoi carcerieri, il che fece sì che venisse sottoposta a tortura e forse condannata a morte.

Bibiana Mun Yeong-In appena 25 anni quando venne decapitata insieme ad altri cattolici che avevano rifiutato di rinnegare la propria fede.

Il 16 agosto 2014, Papa Francesco ha beatificato Bibiana e un altro centinaio di martiri coreani, sottolineandone il coraggio e l’importanza come esempio di difensori della fede: “Oggi molto spesso sperimentiamo che la nostra fede viene messa alla prova dal mondo, e in moltissimi modi ci vien chiesto di scendere a compromessi sulla fede, di diluire le esigenze radicali del Vangelo e conformarci allo spirito del tempo. E tuttavia i martiri ci richiamano a mettere Cristo al di sopra di tutto e a vedere tutto il resto in questo mondo in relazione a Lui e al suo Regno eterno. Essi ci provocano a domandarci se vi sia qualcosa per cui saremmo disposti a morire”.

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