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Santi che hanno lottato contro una dipendenza

MARY OF EGYPT

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Meg Hunter-Kilmer - pubblicato il 28/12/20

Qualunque siano i nostri peccati e le nostre dipendenze, non siamo definiti dai nostri fallimenti, ma dall'amore di Dio

Le vacanze sono momenti difficili per chi vive con una dipendenza anche nei momenti migliori, e il 2020 non è certo il periodo più roseo. Può essere scoraggiante trovarsi a ricadere negli stessi comportamenti per i quali ci si è pentiti tante volte, o continuare a lottare contro la tentazione anche anni dopo essersi liberati dalla dipendenza. Per chi è ancora intrappolato in una dipendenza e per chi è costantemente tentato nonostante il suo rifiuto di soccombere, ecco alcuni santi con esperienze simili che ci ricordano che qualunque siano i nostri peccati e le nostre dipendenze non siamo definiti dai nostri fallimenti, ma dall’amore di Dio.

Santa Maria Egiziaca (344-421) è spesso definita prostituta, ma non prendeva denaro per i suoi servizi. Maria era ninfomane, una donna talmente consumata dal desiderio del piacere carnale che a volte costringeva perfino gli uomini contro la loro volontà. È difficile immaginare una redenzione per una ninfomane e stupratrice, ma Dio non definì Maria in base al suo peccato. Dopo aver compiuto un pellegrinaggio in Terra Santa (per la sfida di sedurre tutti i pellegrini lungo il percorso), Maria si convinse improvvisamente della gravità del suo peccato. Si pentì e andò nel deserto, dove continuò a lottare contro il peccato, la vergogna e la tentazione. Per 17 anni aveva vissuto secondo la carne, e per altrettanti lottò per non essere consumata nuovamente dalle sue passioni. Alla fine venne liberata e visse il resto della sua esistenza senza tentazioni, eremita nel deserto. È una delle più grandi sante della Chiesa orientale.


AUGUSTINE;

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San Camillo de Lellis (1550-1614) era figlio di un uomo iroso e negligente. Grande e grosso, divenne un mercenario quando era ancora adolescente, e viaggiò per l’Europa lottando per chiunque potesse pagarlo bene. Era un giovane violento con un temperamento sanguigno e la dipendenza dal gioco d’azzardo, cosa che alla fine lo ridusse in miseria e con una ferita cronica alla gamba che non gli permetteva di trovare lavoro. Quando toccò il fondo, Camillo trovò Gesù e si convertì – finché i vizi della sua vecchia vita lo chiamarono. Ricadde continuamente nel peccato, come la sua gamba ferita lo portò più volte in ospedale, dove si pentì di nuovo. Alla fine ottenne la grazia di allontanarsi dal peccato una volta per tutte. Come San Filippo Neri come direttore spirituale, si lasciò alle spalle la dipendenza dal gioco d’azzardo e il suo amore per la lotta e il bere. Fondò poi l’Ordine camilliano, una comunità di operatori sanitari che ha cambiato il volto dell’assistenza medica.

Sant’Agostino Yi Kwang-hon (1787-1839) apparteneva a una famiglia aristocratica pagana della Corea. In gioventù aveva condotto una vita scapestrata, guidata soprattutto dall’amore per l’alcool. Il suo matrimonio con Santa Barbara Kwon Hui non cambiò la situazione, ma quando Agostino sentì predicare il Vangelo e scelse di essere battezzato guarì dalla sua dipendenza. Se la maggior parte delle persone affette da una dipendenza continuano a lottarci per molto tempo dopo la scelta iniziale di liberarsene, ad Agostino venne concessa una grazia miracolosa e non desiderò mai più del vino. Divenne catechista, e insieme alla moglie aprì la sua casa alla Chiesa perseguitata. I due vennero martirizzati insieme alla figlia Sant’Agata Yi e al fratello di Agostino, San Giovanni Battista Yi Kwang-ryol.


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San Marco Ji TianXiang (1834-1900) era dipendente dall’oppio. Visto che il suo sacerdote non capiva la natura di questa dipendenza, disse a TianXiang che non avrebbe potuto assolverlo finché non l’avesse sconfitta, il che voleva dire che non poteva nemmeno ricevere la Comunione. Per 30 anni, il medico cinese continuò a praticare la fede pur essendogli negati i sacramenti. Non riuscì mai a liberarsi dalla sua dipendenza, ma morì martire insieme alla sua famiglia ed è stato canonizzato non solo per il suo martirio, ma anche per i decenni in cui si è sforzato di seguire Gesù portando al contempo la croce della dipendenza.

Il venerabile Matt Talbot (1856-1925) crebbe in una famiglia di alcolisti a Dublino (Irlanda). Alcolizzato già a 13 anni, trascorse i 15 successivi concentrandosi più sull’alcool che su qualsiasi altra cosa. Un’effusione di grazia quando ne aveva 28 lo fece impegnare a diventare sobrio, e non toccò mai più l’alcool, anche se non smise mai di lottare contro la tentazione che aveva governato la sua vita per tanto tempo. Fino al giorno della sua morte, non portava denaro con sé per non cadere nella tentazione di entrare in un bar a bere una pinta di birra. Single, visse come un umile lavoratore, impegnandosi al massimo nella preghiera e nell’ascetismo. “Non siate mai troppo duri con l’uomo che non riesce a smettere di bere”, ha detto una volta. “Rinunciare a bere è difficile quanto far risorgere i morti, ma sono entrambe cose possibili e perfino facili per nostro Signore. Dobbiamo solo affidarci a Lui”.

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