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Occhio al chiacchiericcio: uccide… anche te

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Giovanni Marcotullio - pubblicato il 26/01/21

Quando si parla della mormorazione ci si concentra soprattutto sulla sua verità e sulla sua utilità, ovvero sulla lesione della fama degli altri. Un aspetto meno considerato delle chiacchiere è che rendono torbido e fragile, inquieto, il cuore di chi le produce e/o le propaga

La nona malattia che papa Francesco diagnosticò negli indimenticabili augurî natalizi alla Curia Romana del 2014 (gli “auguri scomodi” di don Tonino Bello parvero una carezza, a confronto) è piuttosto varia, benché abbia molto a che fare con le parole:

La malattia delle chiacchiere, delle mormorazioni e dei pettegolezzi. Di questa malattia ho già parlato tante volte, ma mai abbastanza. È una malattia grave, che inizia semplicemente, magari solo per fare due chiacchiere, e si impadronisce della persona facendola diventare “seminatrice di zizzania” (come satana), e in tanti casi “omicida a sangue freddo” della fama dei propri colleghi e confratelli. È la malattia delle persone vigliacche, che non avendo il coraggio di parlare direttamente parlano dietro le spalle. San Paolo ci ammonisce: «Fate tutto senza mormorare e senza esitare, per essere irreprensibili e puri» (Fil 2,14-15). Fratelli, guardiamoci dal terrorismo delle chiacchiere!

Una carrellata dal “Magistero pontificio sulla chiacchiera”

È vero che il Santo Padre aveva parlato spesso, già nel 2014, del tema, ma quel che forse non sapeva è che negli anni a venire ne avrebbe parlato ancora molte altre volte. Vale la pena di ricordare altre tre fra le ultime occasioni: la prima nell’udienza del 14 novembre 2018, in cui il papa sarebbe tornato sull’analogia col terrorismo.

Ma cosa significa dire la verità? Significa essere sinceri? Oppure esatti? In realtà, questo non basta, perché si può essere sinceramente in errore, oppure si può essere precisi nel dettaglio ma non cogliere il senso dell’insieme. A volte ci giustifichiamo dicendo: “Ma io ho detto quello che sentivo!”. Sì, ma hai assolutizzato il tuo punto di vista. Oppure: “Ho solamente detto la verità!”. Può darsi, ma hai rivelato dei fatti personali o riservati. Quante chiacchiere distruggono la comunione per inopportunità o mancanza di delicatezza! Anzi, le chiacchiere uccidono, e questo lo disse l’apostolo Giacomo nella sua Lettera. Il chiacchierone, la chiacchierona sono gente che uccide: uccide gli altri, perché la lingua uccide come un coltello. State attenti! Un chiacchierone o una chiacchierona è un terrorista, perché con la sua lingua butta la bomba e se ne va tranquillo, ma la cosa che dice quella bomba buttata distrugge la fama altrui. Non dimenticare: chiacchierare è uccidere.

La seconda è nell’Angelus del 3 marzo 2019, in cui – come si vedrà – è il contesto di Lc 6 a conferire valore aggiunto alla ricorrente immagine:

Come possiamo capire se il nostro occhio è libero o se è impedito da una trave? È ancora Gesù che ce lo dice: «Non vi è albero buono che produca frutto cattivo, né vi è d’altronde albero cattivo che produca un frutto buono. Ogni albero infatti si riconosce dal suo frutto» (vv. 43-44). Il frutto sono le azioni, ma anche le parole. Anche dalle parole si conosce la qualità dell’albero. Infatti, chi è buono trae fuori dal suo cuore e dalla sua bocca il bene e chi è cattivo trae fuori il male, praticando l’esercizio più deleterio fra noi, che è la mormorazione, il chiacchiericcio, parlare male degli altri. Questo distrugge; distrugge la famiglia, distrugge la scuola, distrugge il posto di lavoro, distrugge il quartiere. Dalla lingua incominciano le guerre. Pensiamo un po’, noi, a questo insegnamento di Gesù e facciamoci la domanda: io parlo male degli altri? Io cerco sempre di sporcare gli altri? Per me è più facile vedere i difetti altrui che i miei? E cerchiamo di correggerci almeno un po’: ci farà bene a tutti.

La terza è molto più recente, risalendo all’Angelus del 6 settembre 2020, quando Francesco ha memorabilmente definito il diavolo “grande chiacchierone”:

Questo insegnamento di Gesù ci aiuta tanto, perché – pensiamo ad un esempio – quando noi vediamo uno sbaglio, un difetto, una scivolata, in quel fratello o quella sorella, di solito la prima cosa che facciamo è andare a raccontarlo agli altri, a chiacchierare. E le chiacchiere chiudono il cuore alla comunità, chiudono l’unità della Chiesa. Il grande chiacchierone è il diavolo, che sempre va dicendo le cose brutte degli altri, perché lui è il bugiardo che cerca di disunire la Chiesa, di allontanare i fratelli e non fare comunità. Per favore, fratelli e sorelle, facciamo uno sforzo per non chiacchierare. Il chiacchiericcio è una peste più brutta del Covid! Facciamo uno sforzo: niente chiacchiere. È l’amore di Gesù, che ha accolto pubblicani e pagani, scandalizzando i benpensanti dell’epoca. Non si tratta perciò di una condanna senza appello, ma del riconoscimento che a volte i nostri tentativi umani possono fallire, e che solo il trovarsi davanti a Dio può mettere il fratello di fronte alla propria coscienza e alla responsabilità dei suoi atti. Se la cosa non va, silenzio e preghiera per il fratello e per la sorella che sbagliano, ma mai il chiacchiericcio.

In ultimo, vale la pena ricordare che l’utilissimo diminutivo/dispregiativo “chiacchiericcio” è moneta corrente (e anzi parola nobile) del magistero pontificio dal 28 marzo 2010, quando l’allora regnante Benedetto XVI commentò la decisa ascesa di Gesù da Gerico a Gerusalemme:

Gesù cammina avanti a noi, e va verso l’alto. Egli ci conduce verso ciò che è grande, puro, ci conduce verso l’aria salubre delle altezze: verso la vita secondo verità; verso il coraggio che non si lascia intimidire dal chiacchiericcio delle opinioni dominanti; verso la pazienza che sopporta e sostiene l’altro. Egli conduce verso la disponibilità per i sofferenti, per gli abbandonati; verso la fedeltà che sta dalla parte dell’altro anche quando la situazione si rende difficile. Conduce verso la disponibilità a recare aiuto; verso la bontà che non si lascia disarmare neppure dall’ingratitudine. Egli ci conduce verso l’amore – ci conduce verso Dio.

Le chiacchiere serpeggiano dal mondo, attraverso la Chiesa e nei nostri cuori

Balza agli occhi una differenza evidente tra l’uso della parola in Benedetto XVI e quello nel suo successore: mentre infatti il Tedesco lo usava per stigmatizzare “le opinioni dominanti” l’Argentino lo impiega di preferenza per additare “le mormorazioni”. Il lettore può facilmente essere portato a ritenere che Ratzinger invitasse i cristiani a non lasciarsi intimidire dal mainstream mondano, e che Bergoglio invece li fustighi come spacciatori di monete false; il che può anche darsi, almeno se le due cose non vengono ritenute reciprocamente esclusive. Il chiacchiericcio, infatti, viene da lontano e, anche se non porta lontano, prende lungamente in giro, arrecando danni a chi ne è colpito… e a chi lo lascia esprimersi.

Se Benedetto XVI aveva effettivamente a cuore, tra i molti altri temi, l’importanza di avvertire i cattolici della mortifera inconsistenza del chiacchiericcio mondano, Francesco martella con insistenza sul fatto che quello stesso chiacchiericcio – mondanissimo – è già abbondantemente infiltrato negli ambienti ecclesiali (non solo ecclesiastici): anche questa insistenza del Santo Padre Francesco, tuttavia, rischia (se assolutizzata) di lasciare in ombra qualcosa, perché l’idea che “il terrorista” se ne vada “tranquillo” dopo aver diffamato il prossimo va bene per enfatizzare la relativa impunità di cui sovente gode, ma non considera (presa così) i contraccolpi ecclesiali che immancabilmente si ripercuotono anche sul calunniatore, nonché l’inquietudine che il chiacchiericcio agita nel suo stesso cuore.

Degli effetti ecclesiali Francesco parla pure, in realtà, mentre i riferimenti al “povero mormoratore” restano un poco più in ombra, ovvero impliciti: quando è in corso un omicidio, chiunque cerca anzitutto di sventarlo e di salvare la vittima designata; ma in sede di riflessione etica si capisce che è lo stesso attentatore che va salvato dal diventare un omicida, e ciò tanto più per un moralista cristiano che sa come anche la vita di Caino sia preziosa davanti a Dio.

Quando Francesco parte dal passo lucano della trave nell’occhio, del resto, anch’egli è portato a lasciar intravedere che il mormoratore è un “povero vecchio diavolo” – da biasimare, certo, ma soprattutto da esortare a cambiare vita –, e quando rimanda, senza ulteriore precisazione, alla Lettera di Giacomo, sembra proprio di poter arguire che si riferisca al capitolo terzo:

Se uno non pecca nel parlare, costui è un uomo perfetto, capace di tenere a freno anche tutto il corpo. Se mettiamo il morso in bocca ai cavalli perché ci obbediscano, possiamo dirigere anche tutto il loro corpo. Ecco, anche le navi, benché siano così grandi e spinte da venti gagliardi, con un piccolissimo timone vengono guidate là dove vuole il pilota. Così anche la lingua: è un membro piccolo ma può vantarsi di grandi cose. Ecco: un piccolo fuoco può incendiare una grande foresta! Anche la lingua è un fuoco, il mondo del male! La lingua è inserita nelle nostre membra, contagia tutto il corpo e incendia tutta la nostra vita, traendo la sua fiamma dalla Geènna. Infatti ogni sorta di bestie e di uccelli, di rettili e di esseri marini sono domati e sono stati domati dall’uomo, ma la lingua nessuno la può domare: è un male ribelle, è piena di veleno mortale. Con essa benediciamo il Signore e Padre e con essa malediciamo gli uomini fatti a somiglianza di Dio. Dalla stessa bocca escono benedizione e maledizione. Non dev’essere così, fratelli miei! La sorgente può forse far sgorgare dallo stesso getto acqua dolce e amara? Può forse, miei fratelli, un albero di fichi produrre olive o una vite produrre fichi? Così una sorgente salata non può produrre acqua dolce.

Gc 3,2-12

Custodire la lingua per riguardo a sé prima e più che agli altri

La custodia della lingua è per questo uno dei primi passi (se non il primo) che si muove nella via dello spirito… e resta al contempo una delle vette più ardue da sottomettere al proprio piede: la buona pratica dell’esame della coscienza dovrebbe indugiare lungamente su quel che abbiamo detto e/o taciuto, non solo e non tanto per capire se abbiamo leso la fama di qualcuno (e non vale neppure da attenuante la questione della veridicità), ma ancora di più per capire se abbiamo lasciato infiltrare nel nostro cuore lo spirito dell’amarezza, che ci fa inquieti e dissemina di mine la vita spirituale. O per dirlo con Giovanni Climaco:

La chiacchiera è la cattedra sulla quale la vanagloria sa far mostra di sé sedendo in trionfo. La chiacchiera è indice di ignoranza, porta alla maldicenza, maestra di scherzi, serva della menzogna, rovina della compunzione, artefice e suscitatrice dell’acida, precorritrice del sonno; dissipazione del raccoglimento, eliminazione della vigilanza, raffreddamento del fervore, oscuramento della preghiera.

Giovanni, La Scala XI,2

Suggestivo e sapiente è stato il papa, tra l’altro, nell’additare il diavolo come “il grande chiacchierone”: ben si addice alla scimmia di Dio imitare il Silenzio dell’Eterno con l’ignoranza e la sua Parola con la chiacchiera – ne derivano il rovesciamento della Verità nella menzogna e della Carità nell’invidia. Cose, queste, che tutti conosciamo fin troppo bene, per avvertirne quotidianamente le vibrazioni nell’anima a ogni passo del Nemico, e soprattutto quando cediamo alle sue tentazioni e abbandoniamo la lingua al male.

«La calunnia è un venticello…», suggerisce disgraziatamente don Basilio a don Bartolo, che spera di poter oscurare a mezzo della maldicenza i carismi del Conte travestito. Effettivamente sulle prime sembra in procinto di ottenere quel che brama – cioè la mano (ma non il cuore) di Rosina –, però con lo svolgimento del dramma il suo piano viene non solo scoperto, bensì pure ridicolizzato, e così il tronfio “dottor della sua sorte” si rivela per quel vecchio lubrico e avido che sempre è stato. Così anche il diavolo, così noi: la chiacchiera è “come un colpo di cannone”, sì, ma il rinculo ci colpisce al cuore.




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