Giuseppina Bakhita, figlia del creatore dell’Universo
Santa Giuseppina Bakhita, ca. 1869-1947, Sudan. La prima santa canonizzata del Sudan nacque nel XVIII secolo. Rapita e venduta come schiava per cinque volte, finì in una famiglia italiana e in seguito si unì alle religiose canossiane, dedicando la sua vita a Dio.
Lei, proprio lei che aveva subito le più atroci torture e le più totali umiliazioni, era figlia del padrone dell’Universo? Questa notizia per Bakhita diventa la cosa più importante di tutte, capisce che è la cosa più preziosa della vita e non la vuole più perdere. Un estratto dal libro "Niente di ciò che soffri andrà perduto" di Costanza Miriano.
Bakhita, che poi non si chiamava così, era una bambina nera che viveva in un villaggio africano e che a sei anni venne rapita dai mercanti di schiavi, e portata al mercato. Strappata dalle braccia della mamma e separata dai fratelli e dalle sorelle (aveva anche una gemellina), incatenata e frustata a sangue, è talmente impaurita che dimentica tutto, persino il suo nome e quello della sua mamma.
Assiste a crudeltà inenarrabili, come alla scena di una madre che non riesce a far tacere il suo bambino attaccato al seno svuotato di latte dalla marcia estenuante, e che si vede strappare dalle braccia il piccolo.
Il mercante di schiavi lo prende per i piedi, lo fa roteare in aria e lo lancia contro una roccia, dove la sua testa si sfracella.
La madre, pur stremata, in quel momento diventa una iena e si lancia contro il mercante, che la ammazza a calci, pugni e frustate.
Bakhita, “felice”, un nome assegnato per scherno
Bakhita – che vuol dire “felice”, e che è un nome assegnatole per scherno da un guardiano – ha molte di queste immagini scolpite negli occhi.
Lei stessa subisce percosse di ogni tipo, passando di mano in mano per vari padroni.
La sua pelle viene anche incisa per fare dei disegni decorativi sul corpo che era sempre nudo, come toccava a tutte le schiave, solo per un capriccio della padrona.
Dopo l’incisione, dentro la ferita fatta col rasoio, viene messo e stropicciato del sale, affinché si formino delle cicatrici più grosse e indelebili, poi le schiave vengono buttate sulle stuoie in preda alla febbre per l’infezione, al delirio, sanguinanti.
Molte muoiono. Bakhita si riprende, dopo due mesi, così “decorata”, e si rimette in piedi a servire, subendo molto altro nella casa di un generale turco dove è finita a servizio.
Infine viene comprata dal console italiano: è finalmente in una vera famiglia, le danno per la prima volta in vita sua, a diciotto anni, una tunica per coprirsi (fino ad allora aveva vissuto nuda).
Riceve per la prima volta gesti umani, non viene più picchiata. Non è certo trattata da donna libera, ma almeno da persona, conosce per la prima volta una sorta di dignità.
Così, quando il console rientra nel suo paese, chiede di partire con lui e la moglie e, arrivata in Italia, viene “regalata” a una famiglia di amici.
I nuovi padroni hanno una bambina piccola, la quale si affeziona moltissimo a Bakhita, che dorme con lei nella stessa cameretta, e le fa da mamma.
Dopo tre anni la famiglia decide di trasferirsi in Africa, ma prima sono necessari dei preparativi, e diversi sopralluoghi: per molti mesi Bakhita e la bambina vengono lasciate da alcune suore a Venezia.
La prima volta che sente parlare di Dio
E qui succede il miracolo: per la prima volta sente parlare di Dio, e quando le dicono che attraverso il battesimo anche lei può diventare figlia di Dio, «anche mi, povera negra!», impazzisce di gioia.
Lei, proprio lei che aveva subito le più atroci torture e le più totali umiliazioni, era figlia del padrone dell’Universo?
Se quello era suo padre, lei era dunque una principessa?
Questa notizia per Bakhita diventa la cosa più importante di tutte, capisce che è la cosa più preziosa della vita e non la vuole più perdere.
Quando i suoi padroni tornano in Italia dall’Africa, dove avevano aperto un albergo, per portarci lei e la bambina e assegnarle il ruolo di barista, lei, che pure in qualche modo sarebbe stata “promossa” e avrebbe finalmente avuto un lavoro retribuito, dignitoso, non vuole lasciare le suore che per prime le hanno parlato di suo Padre, il Re dei re, e di sua madre, la Madonna, versione celeste e potenziata di quella mamma per cui aveva tanta nostalgia, pur non ricordando nulla di lei.