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Cara Madame, sarà bello quando sentiremo la voce di Francesca

MADAME, SINGER

MADAME | Youtube

Annalisa Teggi - pubblicato il 18/03/21

Madame ha portato a Sanremo una canzone che parla di abbracciare la sua voce più sincera, qualcosa che non muoia e sia più vero dei rumori del mondo. Eppure fa notizia solo la sua fluidità sessuale.

Cara Madame che ti chiami Francesca e sei la rivelazione di Sanremo e tutti parlano di te. Chi sei?

La selva oscura del successo

Sul palco dell’Ariston ti sei messa i vestiti di Dior (ti hanno fatto mettere?) e i titoli sulla tua fluidità, bisessualità si sprecano. Lo show biz ora ti venera, perché la tua immagine è perfetta da dare in pasto al mostro della fama – cit. Lady Gaga. Vale per tutti gli idoli, gli influencer. E, forse, ti sarai detta che il gioco vale la candela. Non lo vale.

Sulle tue ombre, quelle di un’anima molto giovane e in cerca di sé, è stato cucito l’abito di un personaggio perfetto per il tempo in cui viviamo: confusione, sessualità incerta, rap, parole con il cuore in gola più che cantate.

Madame: «Certe mattine mi sveglio più maschio, altre più femmina»

da corriere della sera

Come funzionano bene questi titoli, oggi. E’ tipo un gioco a chi raccoglie più pedine. Dai, anche Madame è nella squadra dei genderfluid. Ti conoscessi di persona, ti direi: scappa via, a mille miglia da questa palude. Hai scritto una canzone in cui implori di ritrovare la tua “voce”, ma qui – a quanto pare – vogliono farti stare nel bosco dove regna lo smarrimento per partito preso.

In un bosco di me
C’è un rumore incessante
E lo faccio da parte
Tu sei la mia voce

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Francesca dov’è?

Cara Madame che ti chiami Francesca, te lo chiedo di nuovo. Chi sei? Non c’è bisogno di rispondere, anzi più uno vive questa domanda si apre. E’ quando traboccano le risposte, le etichette, le definizioni, gli abiti che fanno il monaco che c’è da insospettirsi e fuggire di corsa. Tu sei Madame per il pubblico. Hai scelto il tuo nome d’arte in un generatore di nomi per drag queen. Ed è perfetto quanto amaro, perché non c’è carnevalata più assurda e patetica del mondo esibito del successo.

C’è fame di drag queen in giro, anime straziate dentro e poi mascherate per essere buttare su qualunque palco. Da applaudire come fenomeni del momento, e un calcio nel sedere alle lacrime che versano di nascosto. Vedi forse qualche traccia di vero essere umano in TV e sui social?

Francesca Calearo è scritto sulla carta d’identità, e forse è sua la voce che si sente nei testi che scrivi. Lì, implori una nudità che parla una lingua opposta ai quei video da milioni di visualizzazioni che non ti assomigliano affatto. Perché assomigliano a tutta quella sarabanda di sesso, disperazione, annichilimento già vista in mille altri video di cantanti stile Billie Eilish. (Sì, ti hanno messo nel folto gruppo delle anti-Barbie).

Sarebbe bello però
Che un ragazzo mi vedesse nuda
Per la prima volta senza precedenti strani

Da 17

Sarebbe bello essere visti nudi da qualcun altro. Non avere nulla da indossare, da dover dimostrare, da esibire, da giustificare. Ma allora, non ti dà un po’ fastidio che sulla scena sia tutto un coprire a suon di finzioni quell’autenticità che rincorri quando scrivi su un foglio bianco?

Un abbraccio

A mio padre chiedevo: “Perché esiste Dio?”. Oppure: “Perché siamo vivi?” – Madame

DA CORRIERE DELLA SERA

Cara Madame che sei Francesca, hai 19 anni e sei l’immagine più simile a me che abbia mai visto.

L’ho capito ascoltando Voce a Sanremo.

E sono tornata a quando avevo la tua età. Non ero parte di nessun gruppo, avevo un fiume di parole dentro, volevo solo essere amata, ed ero arrabbiata perché la mia famiglia era andata in pezzi (e io mi sentivo a pezzi). Tagliavo i capelli cortissimi e non mi truccavo, gonne neanche per idea.

Forse qualcuno avrebbe potuto dirmi che volevo essere maschio e io ero così fragile che ci avrei potuto pure credere. Fluidità? Potevo cascarci in questa trappola tiepida, che blandisce e tradisce. Oggi ci si guadagna le copertine con questa dichiarazione di confusione spacciata per libertà.

Le mie azioni e le mie parole a 19 anni dicevano tutto e il contrario di tutto, detetastavo appartenere a qualcosa che non fosse il mio istinto inquieto. Ma poi ho creduto a chi ha alzato la posta in gioco e mi ha detto che quelle acque agitate erano proprio il mare in tempesta dell’anima. Ed ecco cosa ho ritrovato nella tua canzone: l’opposto della fluidità, l’urgenza di un abbraccio permanente. Sarà bello abbracciarti – lo ripeti più volte, a chi lo dici?

Dove sei finita, amore?

In mezzo ai nostri urli e pianti e risate noi cerchiamo una voce, più nostra di quella che usiamo per parlare. Sta dentro, più giù dello stomaco. La ascoltiamo, a volte. Dice qualcosa di più sincero e vivo di tutte le parole che sprechiamo e di cui ci vantiamo. Ci sbatte di fronte a uno specchio che non mente.

Dove sei finita amore?
Come non ci sei più?
E ti dico che mi manchi
Se vuoi ti dico cosa mi manca

Mi manca, come manca a te cara Madame, una parola che sappia dire me la vita tutto (senza virgole tra le parole). Vorrei saper dire il dolore senza perdermi a spiegarlo. Vorrei parole che non abbiano paura dei conati delle paure annidate dentro. Che mi faccia godere della gioia. Ci giriamo sempre attorno, e mai che salti fuori una voce che ci metta in pace.

L’unica cosa più viva di me

Adesso è troppo semplice, e io mi sento morta. Prima vivevo a pieno proprio per il fatto che fosse tutto irraggiungibile. La mia vera paura è non provare niente di intenso, gioia dolore, di rimanere così, anestetizzata – Madame

DA CORRIERE DELLA SERA

Dici bene, cara Francesca detta Madame, l’anestesia è da fuggire come la peste. E non c’è cosa più desolante che ritrovarsi a 19 anni talmente pieni di tutto (l’inutile) da aver paura di non sentire più la ferita del dolore e della gioia.

Si rischia proprio di perdere l’unica cosa è più viva di noi, quella che tu hai implorato di abbracciare e chiami ‘voce’. Possiamo osare chiamarla anima? In fondo, tu dici che è qualcosa che durerà più della tua vita,

L’ultimo soffio di fiato darà la voce a quella che è l’unica cosa più viva di me
Voglio che viva a cent’anni da me

Al confronto di questa voce, tutto è passeggero e fragile. Peccato che tutta la fanfara mediatica attorno a te punti su altro, ci rimbabisca di altri discorsi, ci venda l’ennesimo prodotto confezionato per ammiccare alla moda, ai trend e al fluidamente corretto.

Quando invece tu ci avevi messo tra le mani una piccola fiammella da cui tirar fuori un incendio: sì, io credo proprio sia come canti tu. Penso che tutta la vita sia una corsa a togliere il superfluo – aggettivi e appellativi che usiamo come maschere e cappotti pesanti – per andare a stanare un sussurro più prezioso e nascosto.

E non c’è nulla di più paradossale di questo: hai portato a Sanremo l’intuizione che l’anima ha qualcosa di non passeggero da dirci e che vogliamo abbracciare, ed è esattamente questo l’argomento che non trova spazio nei titoli dedicati a te.

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