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5 tradizioni eucaristiche a Messa e il loro significato

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Fabio Lotti | Shutterstock

Philip Kosloski - pubblicato il 02/04/21

Perché Gesù ha scelto il pane e il vino per l'Eucaristia?

Nella Chiesa cattolica, l’Eucaristia non è semplicemente una ripresentazione del pane e del vino benedetti da Gesù nell’Ultima Cena, ma la Presenza Reale di Gesù Cristo sotto le sembianze del pane e del vino.

Una volta compreso questo insegnamento di base della Chiesa cattolica, tutti i vari costumi e le varie tradizioni dei cattolici a Messa hanno molto più senso.

Ecco 5 tradizioni eucaristiche viste a Messa e il loro significato spirituale.

Perché Gesù ha scelto il pane e il vino per l’Eucaristia?

La ragione principale per la quale Dio ha scelto il pane e il vino è legata alle Sue rivelazioni precedenti nell’Antico Testamento e a come ha preparato il Suo popolo per questo momento della storia:

“Nell’Antica Alleanza il pane e il vino sono offerti in sacrificio tra le primizie della terra, in segno di riconoscenza al Creatore. Ma ricevono anche un nuovo significato nel contesto dell’Esodo: i pani azzimi, che Israele mangia ogni anno a Pasqua, commemorano la fretta della partenza liberatrice dall’Egitto; il ricordo della manna del deserto richiamerà sempre a Israele che egli vive del pane della Parola di Dio. Il pane quotidiano, infine, è il frutto della Terra promessa, pegno della fedeltà di Dio alle sue promesse. Il « calice della benedizione » (1 Cor 10,16), al termine della cena pasquale degli Ebrei, aggiunge alla gioia festiva del vino una dimensione escatologica, quella dell’attesa messianica della restaurazione di Gerusalemme. Gesù ha istituito la sua Eucaristia conferendo un significato nuovo e definitivo alla benedizione del pane e del calice” .

(CCC 1334)

Dio ha sempre saputo che avrebbe usato il pane e il vino, e quindi ha iniziato a preparare il popolo di Israele a queste rivelazioni in modo graduale nel tempo. L’Antico Testamento è pieno di precursori simbolici, rendendo le azioni di Gesù nell’Ultima Cena un idoneo compimento di quello che aveva già avuto luogo.

Perché i cattolici si genuflettono in chiesa?

Parlando storicamente, l’atto di genuflettersi su un ginocchio deriva dall’etichetta di corte, e si realizzava alla presenza di un re o di un nobile in epoca medievale. Era un segno di rispetto, come anche un pegno di servizio.

I cristiani hanno adottato questo costume nel corso del tempo, ed è stato pienamente integrato nella liturgia del rito romano nel XVI secolo. Il ginocchio sinistro veniva sempre usato per dare reverenza a un re, e quindi per distinguere l’uso cristiano del costume i cristiani in chiesa si genuflettono sul ginocchio destro a Dio.

Dio è sempre stato noto a ebrei e cristiani come un re ricco di misericordia e con un amore infinito. Per rendere onore a quel “Re d’Amore”, i cristiani hanno pensato che fosse idoneo rispettarlo e onorarlo genuflettendosi ogni volta che entravano nella Sua “corte”.

Ciò voleva dire piegarsi su un un ginocchio ogni volta che passavano davanti al tabernacolo – la piccola casa in ogni chiesa cattolica che custodisce il Santissimo Sacramento.

Come cattolici, crediamo che Gesù sia realmente presente, in Corpo, Sangue, anima e divinità nella Santissima Eucaristia, e quando ci genuflettiamo lo facciamo perché siamo alla presenza di Dio.

Cos’è un tabernacolo?

Il Catechismo spiega anche la storia del tabernacolo e che “la santa riserva (tabernacolo) era inizialmente destinata a custodire in modo degno l’Eucaristia perché potesse essere portata agli infermi e agli assenti, al di fuori della Messa. Approfondendo la fede nella presenza reale di Cristo nell’Eucaristia, la Chiesa ha preso coscienza del significato dell’adorazione silenziosa del Signore presente sotto le specie eucaristiche. Perciò il tabernacolo deve essere situato in un luogo particolarmente degno della chiesa, e deve essere costruito in modo da evidenziare e manifestare la verità della presenza reale di Cristo nel Santissimo Sacramento” (1379).

Perché il sacerdote immerge un pezzo di ostia nel calice?

Secondo Nikolaus Gihr, nel libro The Holy Sacrifice of the Mass, l’atto di porre una particola dell’ostia nel calice risale alla Chiesa delle origini e a un costume che voleva indicare l’unità con il Papa e il vescovo locale.

“La partecipazione allo stesso Santo Sacrificio era considerata un segno e un pegno di Comunione ecclesiastica; per provarla reciprocamente e mantenerla, Papi e vescovi mandavano ad altri vescovi, o anche ai sacerdoti, parti delle Ostie consacrate, che i riceventi immergevano nel calice e consumavano… Questo costume è esistito a Roma fino circa al IX secolo. La domenica e i giorni festivi, il Papa inviava ai sacerdoti incaricati del servizio divino e delle chiese all’interno della città l’Eucaristia come simbolo di comunione con il Capo ecclesiastico, e come segno del fatto che avevano la facoltà di celebrare”.

Era un promemoria visibile e concreto del fatto che ogni volta che celebravano la Messa erano uniti al Papa e ai vescovi.

Il motivo spirituale per il quale i calici sono fatti di metallo prezioso

Se è vero che in occasione dell’Ultima Cena Gesù ha usato probabilmente un’umile tazza di argilla, simile a quella del film Indiana Jones e l’Ultima Crociata, il calice usato a Messa non vuole essere un’imitazione diretta di quel primo calice.

Christopher Carstens spiega nel suo libro Mystical Body, Mystical Voice: Encountering Christ in the Words of the Mass come la Messa sia più un banchetto celeste che una riproposizione di un pasto tipico della Pasqua:

“È importante che Cristo possa non aver usato un calice prezioso all’Ultima Cena? Il fatto che abbia usato un calice è imperativo per la Chiesa e la sua riproposizione di quel sacrificio, e se può darsi che il calice non fosse esternamente prezioso, è stato reso tale dal suo contenuto. Se la Messa e la sua preghiera eucaristica fanno tornare alle azioni di Cristo nella sala superiore duemila anni fa, quell’azione storica esiste attualmente nello splendore celeste, ed è per questo che può essere resa presente a tutti noi. Il calice del primo pasto pasquale del tempo è ora fornito di splendore divino, ed è ‘il calice della vera gioia, della vera festa, alla quale tutti aneliamo‘, ed è questo calice divino che imita il nostro calice sacramentale”.

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