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Donna con la sindrome di Down ricorre in tribunale contro la legge britannica sull’aborto

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Eleonora_os | Shutterstock

John Burger - pubblicato il 10/05/21

La legge sull'aborto del 1967 permette di interrompere la gravidanza di bambini disabili fino al momento della nascita

“Le persone non dovrebbero essere trattate in modo diverso per via delle loro disabilità”. La questione, espressa di recente da una giovane donna con la sindrome di Down, verrà portata a luglio davanti all’Alta Corte di Giustizia a Londra.

Il tribunale deve affrontare un ricorso contro il Governo della Gran Bretagna circa una legge che permette l’aborto fino al momento della nascita nel caso in cui il bambino sia affetto dalla sindrome di Down.

La Sezione 1(1)(d) dell’Abortion Act del 1967 permette di porre fine a una gravidanza in qualsiasi momento se “c’è un rischio sostanziale che se il bambino nasce sia affetto da anormalità fisiche o mentali tali da essere gravemente disabile”.

Secondo laCatholic News Agency, in Inghilterra e Galles nel 2109 sono stati effettuati 3.183 aborti per motivi di disabilità, e 656 di questi sono stati dovuti a una diagnosi prenatale di sindrome di Down.

Con l’aumento delle tecniche di screening prenatale e il loro uso crescente, alcuni sono preoccupati per il fatto che questa disposizione legale verrà sempre più invocata. È per questo che Heidi Crowter, una donna affetta dalla sindrome di Down, e Máire Lea-Wilson, madre il cui figlio di 23 mesi ha la stessa condizione, hanno presentato un’istanza contro di essa.

Il gruppo Don’t Screen Us Outha riferito che la Crowter e il suo team hanno raccolto più di 111.000 sterline per attraverso un sito web di crowdfunding per sostenere la battaglia legale.

“La legge dice che i bambini non dovrebbero essere abortiti fino alla nascita, ma se un bambino ha la sindrome di Down questo può accadere. Questa è la legge in vigore attualmente nel Regno Unito, e credo che non sia giusta”, ha affermato Heidi, che ha 25 anni.

“Le persone come me vengono considerate ‘gravemente disabili’, ma penso che usare questa definizione in una clausola di una legge sull’aborto sia decisamente obsoleto”, ha aggiunto.

La ragazza ha detto anche che la battaglia legale è importante per lei e per il marito, James Carter, anche lui affetto dalla sindrome di Down, perché vogliono “mostrare al mondo che abbiamo una buona qualità di vita”.

Heidi ha sottolineato che il Comitato delle Nazioni Unite sui Diritti delle Persone affette da Disabilità ha affermato di recente che il Regno Unito dovrebbe modificare la sua legislazione “per assicurarsi che le persone come me non vengano tagliate fuori per via delle nostre disabilità”.

Visto che il Governo non ha intrapreso questa azione, i membri della comunità Down “hanno deciso di sbarazzarsi della clausola della legge”, ha dichiarato Heidi. “Spero che vinceremo. Le persone non dovrebbero essere trattate in modo diverso per via delle loro disabilità. È decisamente una discriminazione”.

La Lea-Wilson, 32 anni, ha affermato di essersi voluta coinvolgere nella questione perché la legge non considera alla stessa stregua i suoi due figli, uno dei quali ha la sindrome di Down. Da quando si è unita alla causa, ha detto che le è diventato sempre più chiaro che la Sezione 1(1)(d) dell’Abortion Act, che differenza il termine limite per l’aborto, “crea una base per la discriminazione” nei confronti delle persone Down.

La donna ha aggiunto che le è stato proposto di abortire suo figlio per tre volte dopo che era stata diagnosticata la condizione genetica del piccolo Aidan. Lei ha rifiutato, e lui è nato due settimane dopo la diagnosi.

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