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Imparare dall’ornitorinco l’arte di vivere cattolici e contenti

Giovanni Scifoni, actor,

Teatro Brancaccio

Giovanni Marcotullio - pubblicato il 19/05/21

È da ieri nelle librerie l'opera prima del noto attore Giovanni Scifoni (“Senza offendere nessuno”, Mondadori 2021): oscillando caratteristicamente tra serio e faceto, l'autore descrive (e proscrive) i sottintesi (e malintesi) legati agli stereotipi fondamentali della nostra società. Con un'attenzione particolare per l'essere cristiani.

È da ieri in libreria “Senza offendere nessuno”, primo libro di Giovanni Scifoni, edito da Mondadori – ventuno capitoli in poco meno di duecento pagine e per poco meno di venti euro –; emblematico il sottotitolo “Chi non si schiera è perduto”.  

“Chi non si schiera è perduto”

Dunque nel libro si tratta di schierarsi –  e quali sono gli schieramenti in causa? 

Gli altri sono prevedibili, noi siamo prevedibili, diciamo quello che gli altri prevedono di ascoltare da noi, non siamo mai troppo diversi da quello che si prevede che siamo. Ma è un destino che ci siamo scelti, è una delle prime cose che impariamo per riuscire a stare al mondo senza impazzire: far girare il nostro disco, far suonare le tracce per bene, una dopo l’altra. 

Dobbiamo solo scegliere il nostro genere, classic o pop, e tutte le tracce del nostro disco obbediranno al genere, saranno classic o pop. È prevedibile, forse noioso, ma è anche tanto, tanto riposante. Si fa la scelta una volta sola, classic | o pop, e la modalità rimane impostata, non c’è il rischio di andare in crisi ogni volta che un nuovo tema diventa d’attualità, perché non si può avere un’opinione personale su tutto, sennò si esce pazzi. Tu scegli il tuo genere e il genere che hai scelto sceglierà per te. 

Non devi fare altro che schiacciare “Play” e rilassarti, sapendo che dopo la 6 c’è sempre la 7, che dopo la traccia “compro solo uova allevate a terra” ci sarà sempre la traccia “ma tanto non sai mai quello che te magni”, dopo la traccia “non ho niente contro i gay” ci sarà sempre “fate quello che vi pare ma fatelo a casa vostra”, classic o pop, rilassati, e dopo la traccia “stop omofobia” ci sarà sempre “un bambino non ha bisogno di una mamma e di un papà ma di qualcuno che lo ami”, dopo “qui nessuno è razzista” c’è sempre “ma se ti piacciono tanto gli immigrati perché non te li prendi a casa tua?”, dopo “sono credente ma non credo nelle religioni” c’è sempre “nelle chiese hanno tutto quell’oro e in Africa muoiono di fame”, dopo “piove” c’è sempre “no, ma falle du’ gocce!”…  

Giovanni Scifoni, Senza offendere nessuno, 9-10

Si tratta di cattolicesimo, nel libro, per quanto possa aver senso l’espressione in riferimento a un testo che non è un trattato di teologia o di storia: a più riprese Scifoni tematizza i sottintesi e i malintesi che nella sua vita (soprattutto pubblica) incontra rispetto all’essere cattolico, ma il “cattolicesimo” è in questo libro meno un tema che una coordinata esistenziale maggiore. Scifoni cioè è cattolico (e come tutti i credenti non capisce l’epiteto “molto credente” che si vede affibbiata), ma proprio per questo il cattolicesimo è per lui prima un orizzonte di significato che un oggetto di riflessione. Ci sono nella vita di Scifoni anche altre dimensioni molto intense – benché subordinate alla prima –, che trapelano dalle pagine del libro: quella di marito e padre, ad esempio, come pure quella di figlio e di fratello (tanto per restare sul piano delle relazioni primarie). C’è poi la dimensione professionale di attore, pure molto pervasiva e che interagisce con le altre in modo assai fecondo e sorprendente:

Sono grato a mia moglie che non è gelosa e cerco di meritare questa fiducia, ma forse, ecco… per certi versi direi che stare su un set non è proprio come stare in un call center. È un terreno un tantino più insidioso. Per avanzare senza rimanere invischiati bisogna combattere contro gli scherzi della propria mente. E quella di un attore è una mente particolare. È il tempio del pensiero metacognitivo. | […] La metacognizione per un attore è una funzione vitale. Gli consente di pensare di essere furibondo anche se non lo è, di essere innamorato anche se non è così, di essere allegro anche se non ne ha voglia. Può immaginare di essere chiunque: può bagnare la sua scimitarra nel sangue ne|mico, conquistare la Mongolia e poi tornare a casa la sera stessa a comprare un aspirapolvere su Amazon; può passare una notte d’amore con una spia russa sulla terrazza di un albergo nel porto di Smirne e poi accompagnare la moglie dal podologo, senza nessuno strascico, senza diventare matto, perché sa perfettamente distinguere fra realtà e immaginazione. Una distinzione che si inceppa se ha qualche deficit metacognitivo o se è pigro e non ha voglia di sforzarsi più di tanto. 

Perché gli attori si innamorano così spesso del proprio partner? Perché è più facile. Fare per davvero, non dover fingere è più semplice. 

Ivi, 84.86-87

Non un libro per cattolici complessati

Questo insomma non è il libro atteso da quei cattolici che sperano di essere confortati nel loro (peraltro inconfessato) senso d’inferiorità rispetto al mondo: non carezzerà la pancia a quanti agognano di sentirsi dire che si può essere cristiani e non necessariamente sfigati – e non perché sia vero il contrario. 

Esiste però una “questione cattolica”, che scorre in filigrana nel libro ma che si direbbe un po’ l’elefante nella stanza della vita di Scifoni: mentre infatti i cattolici guardano il personaggio pubblico cattolico e dicono “ecco uno figo, uno accostandomi al quale non devo vergognarmi!”, sul lavoro gli attori guardano al collega, bravo ma cattolico (praticante), e lo evitano perché i normali intercalari del set (le bestemmie) sarebbero causa d’imbarazzo con lui; o lo stigmatizzano a cena perché presumono che un momento di “meditazione zen” lo infastidisca; o ancora lo guardano con durezza perché presumono da un lato che certamente egli escluda che il loro cane (sic!) vada in paradiso, e dall’altro che certamente il loro cane ci andrà. 

Presumere, presunzione… ma non presuntuosi: la riflessione di Scifoni, che verte quasi tutta su episodi concreti, evidenzia spesso come i sottintesi che “gli altri” hanno a suo riguardo “in quanto cattolico” si rivelino infondati… ma la notifica di questi errori, talvolta marchiani e contraddittori, non tracima mai nell’invettiva, nel mantra (diffuso in certi ambienti) “ecco chi sono i veri dogmatici e intolleranti!”. Ci sarà anche del vero, ma quella verità si fonda nel fatto che intolleranti lo siamo tutti perché ciascuno di noi cerca un conforto, una rassicurazione, una tutela – e normalmente a dare queste cose è un gruppo, una cerchia, se si vuole una lobby. 

E poi c’è chi sceglie di stare fuori da questa logica: “Fare lobby non va bene” disse a sorpresa papa Francesco subito dopo l’arcinoto titolo “chi sono io per giudicare?”. Quella volta, come molte altre, il Pontefice si mostrò artefice di una “playlist” nient’affatto prevedibile, e con ciò si candidava anch’egli a ricevere l’assegnazione di un ipotetico Ornitorinco d’Oro (premio tutt’altro che ambito, per come lo si porterebbe: al confronto, il Tapiro di Staffelli e Striscia sarebbe un Oscar). 

L’ornitorinco nell’Ottocento ha messo in crisi il mondo scientifico, rischiava di mandare all’aria la teoria evoluzionista, è diventato l’incubo dei darwinisti: da quale ramo discende? Dagli uccelli? Dai topi? Da quale famiglia proviene, da quale parrocchia, quale sede di partito? 

Gli ornitorinchi sono mammiferi senza capezzoli, hanno i cromosomi incasinatissimi, non ci si capisce niente. Non dovrebbe esistere questa bestiola, è un assurdo biologico. Non puoi fare le uova senza essere un pennuto, non puoi allattare senza mammelle, non puoi salvare i migranti in mare senza il Love is Love Lgbtq+, senza Greta insieme ai No Tav contro i femminicidi che affittano l’utero di Mario Adinolfi appendendo crocifissi nelle scuole pro-vita e parlateci di Bibbiano… devi fare una scelta, porco cane! 

Ivi, 11

“Senza offendere nessuno” è in qualche misura un non-romantico “elogio dell’ornitorinco” (e difatti il lettore si ritrova l’animale anodinamente immortalato in copertina): non-romantico perché non si tratta di parteggiare per i sentimenti contro la ragione (o viceversa), né di esaltare l’individuo sulla collettività (o viceversa), bensì di lasciare spazio all’inevitabile complessità degli incontri (con le relative sorprese). Scifoni scrive infatti dalla posizione di membro di una e più famiglie (la sua e quella di origine), oltre che di una e più comunità (quella ecclesiale, quella civile, quella professionale…): ragione e sentimenti, singoli e collettività sono necessariamente implicati, e insieme, ma le esperienze sono così tante, così tante sono le persone, che nel concreto i processi critici (quando sono onesti) impongono a chi li osserva una certa distanza. Questa a sua volta non è necessariamente marca di estraneità o di ostilità (l’orizzonte hobbesiano), ma può essere anzi distintivo di amicizia civile e di fraternità solidale: ho una posizione differente dalla tua ma se riguardo alla mia storia – a quel che mi c’è voluto per maturare le mie convinzioni attuali, a quel che c’è voluto a quanti conosco – avverto forte l’obbligo di lasciarti lo spazio e il tempo di fare la tua strada (fatto salvo il mio diritto nativo a esprimermi e ad agire conformemente). 

Il coraggio di essere isolati anche in casa propria…

Scifoni suggerisce insomma l’idea che i cattolici, in quanto tali, possano guardare all’ornitorinco con simpatia e quasi eleggerlo ad “animale-simbolo”: ci sarebbero pure fior fiore di pagine patristiche, del resto, per sostanziare l’intuizione… Ma basterebbe un batter d’occhi, a quel punto, per fondare il “Partito dell’Ornitorinco”, che fatalmente riprodurrebbe in sé tutte le dinamiche identitarie ed esclusive che si cercava di scongiurare… Gli ornitorinchi individuati da Scifoni, invece, sono talvolta dei paria anche nelle loro stesse associazioni, e (certo non solo per questo) attraggono quasi insieme la sua simpatia e la sua stima: 

Cristina Gramolini è una professoressa di filosofia, presidentessa nazionale di ArciLesbica, storica e ardimentosa combattente per i diritti delle persone omosessuali. Da sempre si batte contro la maternità surrogata, portando argomentazioni molto complesse, supportate da una solida analisi marxista. Dice che è un ritorno al patriarcato. Il suo ragionamento è più o meno questo: noi donne siamo riuscite faticosamente a riappropriarci di noi stesse, ma siccome il nostro corpo è ancora indispensabile a una precisa categoria di consumatori, ci si chiede di consegnarlo alle logiche di profitto del mercato, e di diventare noi stesse materia prima di un’industria estrattiva. Siamo libere di farlo, nessuno ci obbliga. Ma non somiglia molto alla libertà che sognavamo. […] 

Gli attivisti che hanno seguito Cristina sono stati la minoranza e per uno strano meccanismo di stratificazione del pensiero la sinistra ha messo insieme troppi livelli: c’erano in gioco i diritti civili, c’era in gioco la libertà di autodeterminarsi, c’era in gioco il diritto alla felicità, c’era in gioco che finalmente la sinistra aveva ritrovato nel mondo Lgbtq+ | un sostituto alla classe operai che da tempo aveva cominciato a civettare con altre bandiere, c’era in gioco troppa roba, e per un attimo, solo per un attimo, non ha avuto più chiaro chi fossero gli sfruttatori e chi gli sfruttati. 

Ivi, 146-147 

Ornitorinchi, insomma, lo si è anzitutto vivendo con onestà l’ineliminabile e radicale solitudine esperita da ogni persona: resistendo cioè alla forza centripeta che vorrebbe semplificarci il compito di vivere e pensare lasciando che altri (sindacati, partiti, “chiese”) pensino e vivano per noi. D’altro canto, neanche gli ornitorinchi vivono come delle monadi e per Scifoni è stato motivo di turbamento e messa in discussione la scoperta che il figlio maggiore, valutando se fare o no la Prima Comunione, aveva stilato su un foglio protocollo l’elenco dei “personaggi cattolici famosi”: 

Mai un foglio bianco mi era sembrato così enorme. […] Apro il computer e vado a vedere la cronologia di Google. Voglio capire cosa è andato a leggersi Tommaso per compilare quella lista. Lo schermo viene invaso da interviste su settimanali da parrucchiere, c’è Barbara D’Urso che confessa: «Faccio il presepe tutti gli anni», ci sono dispute televisive da Bruno Vespa per stabilire se le stigmate di Padre Pio siano vere o false, c’è Odifreddi contro Suor Germana, le ex vallette che si convertono appena raggiunta la menopausa, Lele Mora che racconta: «In carcere ho capito che la vita è un dono». Mio figlio si è sottoposto a tutto questo. E io non ho fatto nulla per risparmiarglielo. Se non diventa satanista è già un miracolo. 

Ivi, 156 

…e quello di scoprire un fratello (o un figlio) anche nell’avversario

In quello stesso frangente Scifoni scoprì però che anche sul sito dell’Uaar avevano fatto un elenco – pensato al contrario: «La lista è lunga, c’è un sacco di gente, da Euripide a Paolo Bonolis» (ivi, 158). 

Mi immagino un altro piccolo Tommaso, con le sue foto ritagliate, la sua colla Pritt, le sue stesse paure, un Tommaso ateo che cerca di formare la sua squadra, terrorizzato dalla squadra avversaria. 

Anche lui avrà diviso il foglio protocollo in due, ma l’elenco di chi sta nella sua metà «non è una lista di santi», perché i santi gli giocano contro, nell’altra pagina, che anche il Tommaso Uaar avrà lasciato in bianco; e anche per lui sarà stato un bianco immenso, minaccioso, cosmico, un bianco di duemila anni di cattedrali sparse in tutto il mondo, di liste battesimali importune, di mosaici bizantini, di san Franceschi, di Divine Commedie, di Cappelle Sistine, di Shakespeare, di Manzoni, di Dostoevskij, di crocifissi in cima alle montagne. Una squadra troppo forte, solo la lista ci può salvare, la lista è vita, dobbiamo contarci, quanti siamo? C’è Bonolis, Euripide, Piero Pelù, Corrado Augias, dai che ce la facciamo, dai che siamo tanti! Chi l’ha detto che siamo pochi? […] 

C’è una differenza tra le due liste: Tommaso Uaar immagino sia maggiorenne, il mio ha nove anni. Ma la regola d’ingaggio è la stessa. 

Ibid

L’ornitorinco Scifoni non è e non può essere un altezzoso santone sparasentenze anzitutto perché è un padre, e in quanto tale ha il cuore sospeso su tutti i futuribili dei suoi figli; e in quanto tale gli viene anche da guardare un po’ a tutti gli uomini come ai suoi figli, perché anzitutto anch’egli sa di essere figlio e di averci messo un bel po’ di fatica a tornire le sue convinzioni, sotto il paziente sguardo di un padre (riverbero di un Padre). “Senza offendere nessuno” sarebbe anzi impensabile senza le due famiglie di Scifoni, e in particolare senza la moglie Elisabetta e il fratello Gabriele: sensi semplicissimi e ineffabili sostengono l’autore legandolo all’una e all’altro – dei quali molto è detto ma il più, l’essenziale, è bellamente taciuto – al punto che si può individuare nei due come i fuochi attorno ai quali Scifoni delinea la propria ellittica confessione. 

A ben vedere, in fondo, questo libro è proprio quel che il cattolico paralizzato dal (peraltro inconfessato) senso d’inferiorità rispetto al mondo farebbe bene a leggere: “chi non si schiera è perduto” è certamente quel che la sua tremebonda “coscienza di classe (religiosa)” teme, ma le lunghe confessioni di Scifoni [di]mostrano invece il contrario, che cioè si può serenamente non rientrare nelle tassonomie del darwinismo sociale e continuare ad esistere. Irriducibili e, soprattutto, felici – perfino. 

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Giovanni Scifoni, Senza offendere nessuno, Mondadori 2021 (193 pp. € 18)

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