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Oxford può aspettare, Vincenzo rimane a Scampia come insegnante

CASA ARCOBALENO, SCAMPIA

Occhi Aperti - CasArcobaleno | Facebook

Annalisa Teggi - pubblicato il 08/06/21

Vincenzo Rosati, un giovane latinista che avrebbe potuto insegnare lingua e letteratura latina presso la Oxford Latinitas Project, ha deciso di rimanere a Scampia tra i ragazzi più a rischio di abbandono scolastico.

«Homo sumhumani nihil a me alienum puto» (Sono un uomo, non considero estraneo a me niente di ciò che è umano). Basterebbe questa famosissima intuizione di Terenzio a dimostrare che il latino non è una lingua morta. Però resta chi storce il naso. C’è sempre, annidata tra i pregiudizi, l’idea che fare studi classici sia per gente – intelligente, per carità! – ma che va a perdere tempo con qualcosa di vecchio e inutile.

A chiunque sia capitato di incrociare la storia di Vincenzo Rosati sul Corriere della sera, spero sia passato per la testa ciò che ho pensato subito: forse il latino è una lingua morta, ma chi la studia sul serio diventa molto vivo.

Da Bologna a Oxford per fare … il latinista

A soli 24 anni Vincenzo Rosati aveva davanti a sé un sogno in via di realizzazione: potersi dedicare anima e corpo a ciò che lo appassiona di più, studiare le lingue antiche e il latino in particolare. Il suo breve curriculum è già stracolmo di traguardi e occasioni: liceo classico, laurea specialistica in Lettere classiche all’Università di Bologna e poi due anni trascorsi all’Accademia Vivarium Novum (un luogo in cui gli studenti di tutto il mondo comunicano tra loro solo parlando le lingue antiche!). Appassionato e talentuoso, questo è sicuro.

Trascorre due anni all’Accademia Vivarium Novum, a Frascati, dove la comunicazione tra gli studenti giunti da ogni parte del mondo avviene solo ed esclusivamente in latino e greco. Il latino parlato è la sua passione ma la sua vocazione è un’altra:

È in quel collegio che ha scoperto la sua vocazione: «Non tanto insegnare. Quello che io aspiro a fare nella vita è educare, nel senso di aiutare i ragazzi a diventare più grandi, a esprimere i talenti che hanno dentro». Dopo il periodo a Bologna, Rosati inizia l’esperienza in Gran Bretagna, prima all’Ucl di Londra, dove riporta in vital’antica society «Living Latin», dove si pratica il latino parlato in lezioni, conferenze ma anche feste e gite nei fine settimana. Da lì la chiamata a Oxford, e il progetto di dottorato su Guarino Veronese, «il più grande umanista che sia mai vissuto, il riformatore che nella Ferrara del XV secolo seppe unire politica e cultura, obiettivo che non era riuscito nemmeno a Platone…», si appassiona Vincenzo mentre racconta.

da Corriere

A questo punto, tutto lascia presagire la trama dell’ennesimo cervello in fuga. La storia potrebbe tingersi dei toni polverosi di vecchie biblioteche piene di tomi, aule accademiche, pubblicazioni pregiatissime … e ben poco sapore di realtà. Vincenzo invece cambia copione, perché un’altra ipotesi – davvero coraggiosa – gli è balenata davanti agli occhi e lo ha catapultato ad anni luce dall’ambiente di Oxford.

Tutta colpa della perifrastica attiva

Credo che il latino, proprio come lingua, sia ‘colpevole’ del grande ribaltamento capitato a Vincenzo. E’ una lingua muscolare, proprio nel senso atletico del termine, costringe a pensare tenendo la colonna vertebrale dritta. Un esempio? (… mi scuso ma la breve digressione è attinente al caso). La perifrastica attiva è un particolare costrutto che unisce il presente al futuro, per descrivere quel genere di azione che si ha intenzione di fare: il verbo che nasce è formato da elementi verbali, uno coniugato al futuro e uno al presente. Si potrebbe dire che i latini sapevano esprimere un futuro che scalpita già nel presente.

Solo una gran complicazione grammaticale? Tutt’altro. Se decido di fare qualcosa domani, il senso di quel gesto c’è già qui e ora, nella mia voglia, intenzione di farlo. Questo tipo di futuro non è un sogno disincarnato, ma è presente già nel che dico oggi a un certo progetto. Ecco, in italiano posso dire:”Partirò” sovrappensiero, in latino dicendo profecturus sum sto dicendo: ora sono pronto per il viaggio di domani. La realtà cambia guardata con gli occhi di una lingua che costringe a prendere così sul serio i nostri gesti.
E Vincenzo ha deciso di partire. Ha lasciato Oxford e si è catapultato nel quartiere meno accademico ed erudito del mondo, Scampia. Perché?

Scampia 1

Scampia: qualcosa di meglio di un eterno presente privo di senso

La passione educativa di questo giovane latinista si è messa a fuoco in modo più chiaro proprio in mezzo alla pandemia. Ora siamo ancora nel mezzo di questo tempo di emergenza prolungata, ma quando decanteremo l’esperienza di questi anni segnati dal Covid, costruiremo anche una stanza piena di paradossali casi buoni usciti dai giorni peggiori. Vincenzo Rosati non è l’unico la cui coscienza e buona volontà sono state innescate dall’ombra del virus:

Poi arriva il Covid. E lo spinge a ripensare le sue priorità. «Mi resi conto che non era più il momento di stare fuori dall’Italia. Pensai all’impegno dei nostri medici e infermieri, e conclusi che magari anch’io avrei potuto fare la mia parte». Una sera, all’improvviso, l’idea giusta.

«Mi venne in mente un’esperienza forte che avevo fatto durante il liceo, quando la prof di filosofia ci aveva portato per una settimana a Scampia, in quel quartiere maledetto da tutti, a fare una specie di gemellaggio». Era stata un’esperienza decisiva: «Tornai a Roma pieno di domande: come è possibile una realtà del genere? Perché non interessa a nessuno che in quel posto centinaia di ragazzini non vadano a scuola? Significa avere davanti a sé soltanto la via della delinquenza, nessun’altra prospettiva del futuro, solo un eterno presente privo di senso. Quei miei coetanei mi sembravano alieni, non potevano nemmeno sognare»

Ibid

Per piantare la speranza bisogna costruire una scuola. E non significa portare libri, pianificare le interrogazioni e costruire griglie di valutazione eccellenti. Scuola è mostrare a un bambino e a un ragazzo che il suo valore è così prezioso da meritare l’impegno di tanti per essere educato, cioé nutrito e affiancato affinché la sua voce esca con un timbro chiaro e unico.

Non c’è scuola più sensata di quella che deve andarsi a cercare i suoi studenti, strappandoli alla morsa di schiavitù che non lasciano via d’uscita. A Scampia Vincenzo, e tanti altri, non stanno in cattedra come gli esimi professori di Oxford e non sono neppure eroi al modo di Robin Williams ne L’attimo fuggente. Sono proprio incursori allo sbaraglio oltre le linee nemiche.

Occhi aperti

Chi ha accolto a braccia aperte l’entusiasmo un po’ folle di Vincenzo è stata l’Associazione Occhi Aperti che a Scampia ha fondato la CasArcobaleno, di cui fa parte anche una scuola lasalliana (da San Giovanni Battista de La Salle che nel ‘600 fondò una congregazione religiosa laicale con il fine di dare un’istruzione e un’educazione gratuita ai bambini delle classi più povere della Francia) impegnata con il grande problema della dispersione scolastica in questo quartiere periferico:

[…] il nostro progetto si chiama proprio “Io valgo”. Noi prendiamo questi ragazzi in difficoltà – il 75% ha almeno un genitore in carcere – e diciamo a ciascuno di loro: sei stato bocciato, ribocciato, pensi che la vita sia soltanto buttare via il tempo in piazza e su TikTok? Anche a scuola ti hanno fatto credere che non vali niente, e tu stesso pensi che l’unica cosa che puoi fare è lavorare in nero, rubare, chiedere aiuto alla camorra? Beh, non è vero». Vincenzo insegna storia e musica a una classe di dodici ragazzi (all’inizio erano in sedici, quattro non sono rimasti).

Il pomeriggio fa doposcuola a un gruppo di adolescenti Rom. La prima mattina in classe, quando se li è trovati davanti, ha avuto paura. Così ha pensato di rinviare il programma ministeriale e «partire da cose concrete».

Date le circostanze e il tuffo in acque scolastiche agitate, il latino era proprio il miglior alleato su cui Vincenzo potesse contare. Ma non come materia, bensì come folta squadra di tifosi a bordo campo a sostenerlo. Primo fra tutti quel Terenzio che riesce ancora a ridurre in cenere così tanto intellettualismo e astrattismo con la certezza di chi osa dire: sono uomo e ho a cuore tutto ciò in cui c’è qualcosa di umano.

“Rem tene, verba sequentur”. Valgono anche le parolacce

Alla fine, quando un insegnante si trova di fronte le facce dei suoi studenti va sempre in tilt. Il sogno di discorsi coinvolgenti e pieni di entusiasmo si scontrano con gli sbadigli e risatine. Insegnare è voce del complicato verbo mettersi in rapporto. C’è chi si arma di fronte a questo gigante e costante imprevisto con teorie educative all’avanguardia, chi confida nelle doti personali, chi si rassegna a un modesto tirare a campare.

Dai racconti di Vincenzo Rosati s’intuisce che si sia trovato di fronte a quelli che – nel lungo termine – sono gli studenti a cui ci si affeziona di più, i riottosi e i recalcitranti. Ad esempio, Angela di 8 anni gli ha urlato contro: «Ma che ti credi, che vado ancora a scuola?». A questo punto che si fa? Tiri fuori l’ultimo manuale dello psicologo illuminato che ha parla di educazione empatica? Giri i tacchi e te ne vai? Resti ancorato all’idea di avere un programma da seguire?

Anche qui torna utile il latino. Catone il Censore sfornò una massima che, pur scritta in una lingua morta, può tenere tanti in vita (e belli svegli): rem tene, verba sequentur. Tieni stretto ciò che hai per le mani e le parole verranno da sé. Il coraggio educativo più necessario oggigiorno richiede di partire e stare incollati a quegli occhi stralunati che ti fissano da dietro i banchi (se ci sono). La realtà viva di chi hai di fronte detta il passo, e porta anche a stravolgere i criteri di valutazione. Mi pare di una bellezza straordinaria la sintesi di giudizio a cui è giunto il giovane latinista trapiantato a Scampia che, dopo essersi armato di Pino Daniele e ukulele per fare lezione, è giunto a questa conclusione:

Ho anche capito che se non ricevo un po’ di espressioni volgari, vuol dire che quel giorno in classe non li ho coinvolti abbastanza.

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