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La formula della santità: v=V

Couverture BD Kolbe

Éditions Artège

Francisco Vêneto - pubblicato il 09/06/21

Gli allievi del futuro martire San Massimiliano Kolbe erano inevitabilmente curiosi di sapere cosas significasse

La formula della santità è v=V, e chi l’ha esposta sapeva bene di cosa parlava, perché questa formula è stata presentata da un sacerdote martire, assassinato nel campo di concentramento nazista di Auschwitz dopo essersi offerto volontario per essere punito al posto di un padre di famiglia, salvando così la vita di quell’uomo al prezzo di sacrificare la propria. La Chiesa ha canonizzato quel martire, diventato San Massimiliano Maria Kolbe.

Un volta, il futuro martire e santo stava dando lezioni di catechismo nella Polonia natale e annunciò che quel giorno gli allievi avrebbero imparato una nuova formula matematica:

“La formula è la seguente: v=V. Questa è la formula della santità”.

Gli allievi rimasero inevitabilmente curiosi di capire cosa significasse e che rapporto potesse esserci tra matematica e santità.

San Massimiliano Kolbe, Cavaliere dell’Immacolata

ŚWIĘTY MAKSYMILIAN KOLBE

Prima di proseguire risolvendo questo “mistero”, vale la pena di ricordare alcuni fatti significativi della vita di San Massimiliano Kolbe.

Già sappiamo che venne assassinato in una delle più terribili filiali dell’inferno di cui si ha avuta notizia nel nostro mondo durante il XX secolo: il campo di concentramento di Auschwitz. È stato lì che ha offerto la propria vita in cambio della liberazione di un padre di famiglia anch’egli recluso in quell’inferno, nel 1941. Il santo sacerdote polacco è stato beatificato da Papa San Paolo VI il 17 ottobre 1971 e canonizzato da San Giovanni Paolo II il 10 ottobre 1982.

Ben prima di allora, il giovane padre Massimiliano già operava per combattere la propaganda totalitaria che si estendeva in Europa fin dalla I Guerra Mondiale. Sapeva che era necessario un grande impegno pastorale per diffondere il messaggio cristiano mediante la migliore tecnologia a disposizione all’epoca. Ciò voleva dire, fondamentalmente, riviste e radio. Per questo fondò la piccola rivista “Il Cavaliere dell’Immacolata”, dedicata alla Madonna e alla diffusione della devozione filiale nei suoi confronti in tempi oscuri per il mondo.

Debilitato fin da giovane per via della tubercolosi, Massimiliano aveva limitazioni a predicare e a insegnare, ma era sostenuto dai suoi superiori francescani a concentrarsi sulla sua “Milizia dell’Immacolata”, un gruppo di cattolici che riuniva membri di estrazione molto diversa, da professori a studenti, da agricoltori semianalfabeti a professionisti con una grande formazione accademica.

Con la sua tenacia e l’intercessione dell’Immacolata riuscì ad allestire una stamperia, e nel 1921 uscì il primo numero del “Cavaliere”. Il processo subì una rapida accelerazione. Un conte gli donò il terreno per fondare “Niepokalanów”, la “Città di Maria”, il che permise anche la modernizzazione della tipografia.

Prigioniero dell’odio di Hitler

Entrance to the Auschwitz concentration camp © Jakub.it / Shutterstock

P. Kolbe era motivato a portare i “Cavalieri” della Milizia dell’Immacolata in Giappone e in India, ma la malattia lo riportò in Polonia proprio quando l’esercito di Hitler stava per invadere il Paese. I nazisti distrussero la pubblicazione e perseguitarono i Francescani, che tuttavia riuscirono ad accogliere 2.500 rifugiati, 1.500 dei quali ebrei.

Il 17 febbraio 1941, p. Massimiliano venne arrestato. Il 28 maggio si aprì per lui il tremendo portone di Auschwitz.

In quella succursale dell’inferno, il Cavaliere dell’Immacolata visse con eroismo la sua ultima tappa della sua vita in questo mondo. Perse il nome e si trasformò in un numero: 16670. Sottoposto a molte violenze, ricevette l’incombenza forzata di trasportare i cadaveri fino al forno crematorio. In quel luogo di orrori inimmaginabili, però, la grande dignità del sacerdote brillò come un diamante: “Kolbe era un principe tra noi”, testimoniò in seguito un sopravvissuto.

Il sacerdote applicava sicuramente ogni giorno la formula della santità.

Nel blocco della fame, un martirio lento e sadico

San Maximiliano Kolbe – fr

Alla fine di luglio, p. Kolbe venne trasferito nel famigerato Blocco 14. Uno dei prigionieri era riuscito a fuggire, e per rappresaglia dieci altri vennero portati in quel bunker riservato ai condannati a morire di fame.

Uno dei dieci scelti era il giovane sergente polacco Francesco Gajowniezek: disperato, supplicava di essere risparmiato perché aveva moglie e figli. Fu allora che p. Kolbe si offrì di andare al posto suo nel bunker della fame, per la sorpresa dei soldati.

Il martirio fu lento. Consolati dall’incoraggiamento e dalle preghiere di p. Massimiliano, i prigionieri affievolivano la propria voce una dopo l’altra, fino a spegnersi per sempre. Due settimane dopo ne rimanevano in vita quattro, uno dei quali era p. Kolbe.

I nazisti decisero allora di iniettargli dell’acido fenico per accelerare la morte. Stendendo il braccio al medico che stava per ucciderlo, il sacerdote martire affermò:

“Lei non ha capito niente della vita. L’odio non serve a nulla. Solo l’amore crea”.

Le ultime parole del Cavaliere dell’Immacolata furono dedicate alla Madonna:

“Ave, Maria!”

Era il 14 agosto 1941.

Tra le pile quotridiane dei cadaveri di Auschwitz, il corpo di San Massimiliano Kolbe venne cremato il giorno dopo, festa dell’Assunzione al Cielo della Vergine Maria.

La formula della santità: v=V

Il 14 agosto 2017, l’account ufficiale di Papa Francesco su Twitter ha pubblicato questa frase:

“Il cammino di affidarsi al Signore incomincia tutti i giorni, dal mattino in poi”.

Parlare di donazione personale è particolarmente significativo in quella data, perché il 14 agosto è la memoria liturgica di un santo che ha donato volontariamente la propria vita per salvare quella del prossimo.

San Massimiliano Maria Kolbe ha avuto la forza indicibile di donarsi pienamente perché nel corso di tutta la sua vita ha saputo applicare quella semplice formula che un giorno aveva rivelato ai suoi piccoli allievi della catechesi:

“La formula è la seguente: v=V. Questa è la formula della santità”.

Il futuro martire la svelò ai piccoli dicendo:

“La v minuscola è la mia volontà, la V maiuscola è la Volontà di Dio. Identificate la vostra volontà con la Volontà di Dio. Siate santi. Semplice, no?”

Sì, è semplice. E semplifica la complessità creata inutilmente dall’essere umano, inclusi i suoi lati più perversi e aberranti, come nel caso dello sterminio volontario perpetrato dai nazisti e di cui Massimiliano stesso fu vittima.

Era Volontà di Dio che si verificasse quello sterminio? Ovviamente no. Ma è Volontà di Dio che l’essere umano eserciti il libero arbitrio. Dio rispetterà le decisioni umane, anche quando sono malvagie. La libertà umana è frutto della Volontà di Dio. La libertà umana è positiva. La libertà umana ci permette di partecipare all’opera di Dio e di gestire la Sua creazione. E la libertà umana si volge al male proprio quando dissociamo la nostra volontà dalla Sua. In questi casi, arriviamo all’assurdo di “forzare” Dio a rispettare la nostra volontà, con la v minuscola. Non è Lui che vuole e provoca il male. Siamo noi, quando invertiamo la formula della santità.

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