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Verso una Chiesa senza preti?

ordination 2021

Eva Tisseyre | Eva Tisseyre

Ordination de Ludovic Hernandez pour le diocèse de Montpellier, 16 mai 2021.

Giovanni Marcotullio - pubblicato il 01/07/21

È in edicola da stamane, 1º luglio 2021, un numero del mensile Jesus che ospita un dibattito così ben condotto da sembrare un “mini-sinodo”, dove le divergenze non vengono negate né assolutizzate, bensì avviate verso un processo di composizione il cui compimento è affidato allo Spirito.

Sul numero di luglio di Jesus, in edicola da oggi, leggiamo un dibattito interessante per i temi, intrigante per i partecipanti e sorprendente per lo svolgimento e gli esiti: il titolo infatti è un dubitativo “Verso una Chiesa senza preti?”; gli intervenuti (presentati in ordine rigorosamente alfabetico!) sono mons. Erio Castellucci, arcivescovo di Modena-Nonantola, vescovo di Carpi e da poco vice-presidente CEI; la ricercatrice Paola Lazzarini Orrù, presidente di “Donne per la Chiesa”; il sociologo prof. Marco Marzano, recentemente autore di “La casta dei casti”; e il don Dario Vitali, professore di Dogmatica in Gregoriana. 

Le “poltroncine di destra” e quelle “di sinistra” 

Basta che questi nomi non suonino come puri flatus vocis e chiunque penserà di trovarsi davanti al classico schieramento da talk show, quello che Giovanni Scifoni nel suo libro ha chiamato delle “poltroncine di destra” e delle “poltroncine di sinistra”: i programmi tv (non solo i talk) si fanno così, disponendo campioni di due tesi contrapposte e per nulla sfumate, che infatti non si contempla possano venirsi incontro, «e il pubblico sceglie da che parte stare». Quei programmi sono dunque, a guardarli freddamente nella loro struttura, dei puri esercizi dialettico-retorici: mai essi suppongono che qualcuno (fra gli spettatori o tra i partecipanti) cambi idea, e anzi sembrano costruiti apposta per rafforzare le convinzioni di ciascuno, quali che siano. 

Anche nel dibattito sul numero di Jesus, si diceva, sembrerebbe di poter discernere “le poltroncine di destra” e “le poltroncine di sinistra”: sulle prime (poiché convenzionalmente “i conservatori” vanno a destra) vediamo mons. Castellucci e don Vitali – non a caso i chierici della situazione –; sulle seconde la dott.ssa Lazzarini Orrù e il prof. Marzano – guarda caso i laici, tra cui per di più distinguiamo una donna e un non-cattolico. Insomma, il piatto è ricco e il lettore si avventa sulle pagine, dal tema così caldo che è quasi tabù, convinto di sapere già da che parte schierarsi – innestando il proprio sgabello tra le “poltroncine di destra” o tra quelle “di sinistra”. 

E qui avviene la sorpresa: alle domande si risponde con ordine, senza accavallarsi (la forma scritta aiuta, certamente) e senza scivolare in acrimoniose invettive o, al contrario, in banali irenismi. I quattro partecipanti sanno dirsi d’accordo con “il compagno di poltroncina” e in caso anche con quelli delle poltroncine dirimpetto… e sanno prendere le distanze da cose già dette senza innescare dinamiche polemiche! Immaginatevi insomma un talk su un argomento scottante in cui si parli con intelligenza e pacatezza, esponendo tesi diverse (al punto da non essere perfettamente armonizzabili) senza delegittimare l’altera pars. Già solo per la curiosità di vedere uno spettacolo del genere si leggerebbe con frutto l’impaginato. 

Crisi della Chiesa e numero dei preti 

L’intelligenza e la libertà delle voci interpellate si vede anzitutto dal fatto che, fin dalla prima domanda – sull’efficacia della politica della “riorganizzazione territoriale” delle forze ecclesiastiche in campo – i partecipanti si siano sentiti liberi, in toto vel in parte, di rispondere senza assecondare l’antifona implicita nella questione. Mons. Castellucci ad esempio ha francamente ammesso: 

Una risposta inadeguata sarebbe quella di mantenere la struttura pastorale delle nostre comunità cristiane così com’è e cercare risposte altrove. Non si tratta cioè di trovare “sostituti”, siano essi preti immigrati o altre figure che pur non essendo presbiteri continuano a far dipendere la comunità da un’unica persona. 

Jesus XLIII/7, luglio 2021, 30

Il Vescovo parla della crescente importanza del ruolo dei laici e della necessità di «non perdere troppo tempo ed energie a cercare di conservare ciò che […] non serve più» – e il riferimento va alle strutture (enti amministrativi, immobili, altro tipo di beni che, utili nel contesto originario, finiscono talvolta per diventare fini a sé stessi). 

Il prof. Marzano, dalla “poltroncina dirimpetto” prende la parola anticipando di avere un’opinione “un po’ diversa”: 

Cioè credo che la crisi del reclutamento del clero esista soprattutto nel Sud del mondo (dove il numero di cattolici è cresciuto molto negli ultimi decenni) piuttosto che in Occidente, dove la secolarizzazione è avanzata in modo netto e l’assottigliamento del clero è andato di pari passo con quello dei credenti. 

Ivi, 31 

Le osservazioni del Professore non cattolico sono evidentemente di natura sociologica, e si ritrovano con le valutazioni a cui giunse pochi anni fa il compianto giornalista Jean Mercier dopo aver ultimato l’inchiesta sul celibato sacerdotale: la penuria di preti in termini assoluti sarebbe limitata all’Occidente, dove risulterebbe però commisurata all’assottigliamento della popolazione credente; semmai – aggiunge Marzano – si potrebbe parlare di un’emergenza formativa del clero cattolico nel Sud del mondo, dove la Chiesa è in vigorosa espansione e non sempre la gerarchia riesce ad offrire strumenti pastorali che sappiano seguire e sostenere quella crescita. 

Marzano si ritrova però sul punto di Castellucci: 

[…] il problema in Occidente è soprattutto quello delle strutture e, per dirlo ancora più chiaramente, del numero di parrocchie che vengono tenute aperte quando non c’è più quasi nessuno che le frequenta. Basterebbe chiudere quelle per risolvere buona parte del problema, cioè per evitare di impegnare a vuoto buona parte del personale ecclesiastico. 

Ibid.

Anche Lazzarini (“a sinistra” di Marzano) non sembra affatto preoccupata dall’indebolimento numerico del clero, che anzi vede «come un’enorme opportunità»: 

Il problema non è il numero dei preti, ma il troppo spazio che essi occupano all’interno delle comunità. Quindi immagino una Chiesa che finalmente superi il modello feudale, che non abbia più nella parrocchia l’unico perno su cui va a costruirsi tutta la sua presenza. Ma dirò di più: una Chiesa che deve tenere a mente il fatto che la presenza fisica e territoriale non è l’unica con la quale fare i conti. 

E si spiega poco dopo: 

È chiaro che i sacramenti sono le nostre “prese a terra”, quelle che ci fanno stare fisicamente sul territorio. Però c’è tutta un’altra dimensione della condivisione, della preghiera, del sostegno reciproco, che è sempre più – e probabilmente in parte lo è sempre stata – extraterritoriale e vive anche al di fuori delle parrocchie.

Ibid.

L’osservazione è notevole e merita di essere annotata: se la necessaria sistemazione canonica ha configurato l’implantatio Ecclesiæ quasi tutta a vantaggio della “Ecclesia implantata” (e quindi parliamo di diocesi, di parrocchie, di istituti…), niente ha mai abraso dai codici espressioni come “Chiesa pellegrina”, perché mai la Chiesa perde la sua natura missionaria – ne verrebbero meno, anzi, dietro all’apostolicità, anche le altre tre “note ecclesiali”. 

Proposte per la “valorizzazione del laicato”

Lazzarini sembra velatamente lamentare la sordina a cui sarebbe costretto il laicato: 

Mi sembra che ci sia un laicato pronto, preparato, al maschile e al femminile, che viene da percorsi importanti di formazione, che in parte è già impegnato e in parte ancora deve avere lo spazio che merita. Serve una Chiesa “talent scout”, che permetta ai talenti di emergere, che permetta a chi ha il carisma – non nel senso deleterio – di venire avanti. 

Ivi, 32 

Ha cercato di riequilibrare questi toni da “Church’s got talent” Vitali: 

È del tutto evidente che la fatica nella ricezione del modello conciliare di Chiesa, con tutte le oscillazioni e le tensioni del post-concilio, ha privato il modello di ministero del suo necessario termine di confronto. Non è un caso che fino a oggi si sia cercato di reiterare il modello tridentino di ministero. 

Ibid

Replicando fermamente all’intervistatore – il quale provava a incalzare chiedendo se a questo stato di cose abbia contribuito una presunta fragilità del decreto conciliare Presbyterorum Ordo – prima Castellucci e poi Vitali hanno documentatamente esposto la ricchezza del portato conciliare, probabilmente isterilita (ha osservato il Vescovo) dallo scontro tra fazioni estreme e contrapposte: 

[…] da una parte c’era chi era ritornato alla visione di prima, una visione molto verticale e sacrale – il sacerdos alter Christus, il sacerdote deputato all’Eucaristia – dall’altra, per reazione, c’era chi già diceva: domani avremo una Chiesa senza preti. 

Ivi, 34 

A una nuova domanda dell’intervistatore ha fatto seguito una forte presa di posizione di Marzano: 

La Chiesa è una struttura di potere – per come ci è stata tramandata sino a oggi – basata su tre cardini: il potere degli uomini sulle donne; quello del clero sui laici e quello di Roma sul resto del mondo. 

Ivi, 35 

Il Professore ritiene che le spinte riformiste interne siano insufficienti sia sul versante della gerarchia sia su quello del laicato, ma – pur riconoscendo che la misoginia è spesso un corollario del clericalismo (non del cristianesimo né dell’ecclesiologia cattolica) – il primo dei tre punti appare molto difficile da sostenere con dovizia di argomenti. 

A richiamare al munus plurale della Chiesa è stata Lazzarini: 

[…] dentro ci possono stare dai Legionari di Cristo a noi di Donne per la Chiesa. Ciò mi rende difficile guardarla come si possono studiare altri tipi di organizzazioni: è vero che è una struttura rigidissima ma, essendo un corpo vivente, al suo interno è molto più dinamica di quanto possa sembrare. 

Ibid

Ordinazioni viziate

E Lazzarini Orrù prosegue invitando a porre l’attenzione sullo scarso coinvolgimento delle comunità nella gestione delle loro parrocchie e nella valutazione dei loro preti. È vero che molti canoni antichi ripetono l’adagio canonico “chi deve presiedere su tutti da tutti sia scelto”, e del resto molte agiografie antiche raccontano di “ordinazioni forzate”, letteralmente a furor di popolo, ma la ricercatrice si spinge a una proposta quanto mai radicale: 

[…] in realtà un laicato pronto, preparato, responsabile ci sarebbe. Quindi, per cambiare qualcosa, io vieterei le autocandidature. Invece nella selezione degli aspiranti agli ordini non soltanto si accettano le autocandidature, ma per ansia di vuoti da riempire si accolgono persone estremamente problematiche. 

Ivi, 36 

Malgrado la radicalità della proposta (e forse qualche lettore se ne sorprenderà), Castellucci e Vitali sono intervenuti in sequenza per valorizzarne il buono: 

La formula [dal rituale dell’Ordinazione, N.d.R.] – ha detto il Vescovo – dice: «Dalle informazioni ricevute presso il popolo cristiano e da coloro che ne hanno curata la formazione, posso attestare che ne è degno». Però, mentre coloro che ne hanno curato la formazione sono ben definiti, le informazioni assunte presso il popolo cristiano sono un po’ generiche. 

E il Prete ha raccolto l’allusione di Orrù (purtroppo fondatissima) alle «persone estremamente problematiche»: 

Se i candidati al ministero – giovani e meno giovani – non sono persone mature (e non per colpa loro, ma per non rispettare i tempi della maturazione), saranno incapaci di un servizio vero. Ma chi discerne se un candidato è maturo? Solo il seminario? Solo il vescovo, spesso contro il parere dell’équipe formativa? 

Ivi, 37 

C’è chi ha assistito, in effetti, a scene surreali all’atto di ordinazioni sacerdotali, quando quello stesso Vescovo che – pressato dalla necessità di tenere aperta e attiva la chiesetta di montagna con tre famiglie nel raggio di dieci miglia – s’era impuntato contro il Rettore del Seminario per procedere all’ordinazione di un candidato, nella ieratica atmosfera della cattedrale doveva poi chiedere allo stesso Rettore del Seminario: «Sei certo che ne sia degno?». E il tapino, invece di rispondere “Io? Io no! È lei che lo vuole ordinare contro il nostro parere!” deve pronunciare la (peraltro bella e sensata) formula ricordata da Castellucci. 

Il nodo del celibato

Vitali, Castellucci e Marzano concordano, pur se con significative sfumature, nel giudicare l’obbligo del celibato “uno dei nodi”. Non perché debba cambiare, ma perché 

[…] se manca un pronunciamento preciso – così Vitali –, il rischio è che sia sempre sbandierat[o] come la causa della crisi attuale. 

Il Vescovo: 

[…] se il dibattito venisse impostato come “soluzione” per la riduzione numerica dei presbiteri, a mio parare partirebbe con il piede sbagliato. 

E il Sociologo: 

Per me il celibato è la questione numero uno. È il mattone su cui tutto il pilastro del clericalismo, di un certo modo di funzionare della Chiesa cattolica, si regge. È la pietra che, se asportata, potrebbe provocare l’avvio di un gigantesco cambiamento. 

Ibid.

L’intervento di Lazzarini provoca il consueto brivido di radicalità, ma senza i toni da panacea universale che talvolta si hanno sul tema: 

Poi bisognerà anche affrontare la questione dell’ordinazione delle donne. Fine del celibato obbligatorio e donne prete non fermeranno la secolarizzazione, non serviranno a tenere i fedeli in chiesa, ma l’ordinazione delle donne è una questione di giustizia. Una di quelle cose che si fanno perché sono giuste e non per questioni di tattiche. 

Ivi, 38 

Desta sorpresa che, a fronte della Ordinatio sacerdotalis di Giovanni Paolo II (richiamata e riconfermata dai successori) un cattolico riprenda l’argomento appellandosi a “una questione di giustizia” e col solo puntello della «funzione apostolica delle donne […] in tutte le rappresentazioni del giorno di Pasqua». Uno penserebbe che l’apostolicità della Chiesa e quella dei suoi ministri ordinati, analoghe rispettivamente al sacerdozio comune e a quello ministeriale, sia materia assodata… ma probabilmente serve altro cammino per metabolizzare. 

Metodo e stile ecclesiale (≠clericale)

Potrebbe sembrare riferita a quest’aria revanscista la delicata chiosa di Vitali: 

[…] io credo che non si possano ottenere obiettivi rivendicandoli, perché l’effetto sarebbe solo l’arroccamento da parte di chi detiene il potere. La sola possibilità è quella del confronto, del dialogo, dell’ascolto: questo promette una Chiesa sinodale. […] Qui mi permetto di dire che sarebbe bene insistere sul Popolo di Dio, piuttosto che sui laici, come sento fare da più parti. Perché? Nella relazione preti-laici, giocata inevitabilmente sul registro del potere, il rischio è che i laici finiscano sempre in posizione subordinata. Io preferisco insistere sul Popolo di Dio, nei confronti del quale il ministro è sempre e comunque colui che serve. 

Ivi, 40 

Marzano si spinge oltre a problematizzare la posizione della “compagna di poltroncina”: 

  • da una parte le pressioni riformiste vengono da «settori limitati dell’opinione pubblica di quella parte del mondo, l’Occidente, nella quale la religione sta scomparendo o marginalizzandosi», mentre «in Africa e in Asia prevale l’atteggiamento opposto»; 
  • dall’altra «un’élite in genere non si suicida proponendo un cambiamento che non la metta più al centro, che la spinga ai margini, lontano dal potere». 

Lazzarini prova a ribattere che movimenti come Maria 2.0 lavorano non solo per le «donne bianche e occidentali», ma anzi a fortiori per donne costrette a subire trattamenti inumani «con l’avallo e il silenzio complice della Chiesa locale» (sic!). 

Un’ultima considerazione che ancora si può trarre con frutto dall’ordinato (e ben più ricco!) dibattito ospitato sulle pagine di Jesus viene da mons. Castellucci, ed è una chiosa importante che ben si adatta a fungere da chiusa, perché rimanda alla natura spontanea della Chiesa – la quale anzitutto e perlopiù non è occupata a ragionare su sé stessa, ma ad essere sé stessa e a compiere la propria missione –: 

Noi, giustamente, guardiamo alcuni elementi che emergono e parliamo del potere. Parliamo dei beni e delle strutture – ho introdotto io questo argomento perché lo avverto molto importante –, parliamo delle rivendicazioni. Ma c’è un’azione pastorale quotidiana che non è molto preoccupata di queste categorie. Se penso agli incontri di oggi, per esempio: ho parlato con una suora, tre parroci e una coppia, tutte persone molto impegnate, e non sono mai venuti fuori questi temi. Avevano piuttosto la preoccupazione di come aiutare gli adolescenti che non possono collegarsi con la Dar, di come aiutare alcune famiglie in grave difficoltà economica per la perdita del lavoro, di come ristrutturare il catechismo in modo che sia più aderente alle domande che hanno i ragazzi […]. Ed è forse proprio questa base, quello lavoro quotidiano, questa attenzione agli ultimi, a chi effettivamente esprime delle necessità profonde, materiali, affettive, spirituali, che rappresenta la dimensione più bella della Chiesa. 

Ivi, 41

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