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Attraverso le sue fotografie, capta l’aspetto sacro di ogni essere umano

Monika Bulaj

courtesy of Monika Bulaj

Marzena Wilkanowicz-Devoud - pubblicato il 09/07/21

Fotografa e giornalista di fama internazionale, Monika Bulaj, italiana di origine polacca, viaggia sempre e trasmette con le sue immagini la spiritualità degli abitanti dei luoghi che visita

Monika Bulaj (prima a destra nella fotografia), dice: “Fotografando le persone che pregano, cerco in loro i riflessi di Dio”.

Attraverso l’opera Genti di Dio. Viaggio nell’altra Europa, presentata a maggio al festival Etonnants Voyageurs di Saint-Malo, la Bulaj, fotografa italiana di origine polacca, presenta dei ritratti forti di pellegrini, mistici, nomadi o esclusi.

Macchina fotografica in mano, sa captare la spiritualità nelle sue sfumature, in tutta la sua ricchezza e la sua profondità. Per lei, è proprio attraverso la spiritualità che possiamo “toccare l’anima del Paese e l’anima di ciascuno”. Abbiamo intervistato questa artista, per la quale la sua passione è anche una missione.

Nella galleria fotografica potrete ammirare alcune delle sue splendide immagini:

Molti fotografi o fotogiornalisti cercano di immortalare in immagini eventi concreti. Da parte sua, lei cerca la trascendeza. Perché?

Per me, questo lavoro è una necessità viscerale. Una necessità di incontrare l’altro nella sua interiorità, nel suo mistero, nella sua dignità. Mi sono sempre chiesta come fotografare la spiritualità, qualcosa che non esiste a livello materiale. In fondo, però, la spiritualità accompagna le persone nella loro quotidianità. Quando le osservo, le guardo, cerco di stare molto vicina a loro. Nei luoghi che fotografo, il sacro, il quotidiano e la natura si incontrano e si confondono.

Lei ha attraversato i confini orientali dell’Europa per quasi vent’anni, 7.000 chilometri dall’Oceano Artico al Mar Nero. Cosa l’ha colpita di più degli abitanti di queste terre di passaggio?

Senz’altro il loro legame spirituale, così vivo e multiforme. Alla fin fine, non si sa nulla dei discendenti dei guerrieri tatari, che erano musulmani praticanti e allo stesso tempo patrioti polacchi. Si sa molto poco delle minoranze ortodosse ucraine insediate nei Carpazi, degli addetti alle sepolture del grande tzadik, che attirano ancora oggi ebrei da tutto il mondo…

Il nostro vecchio continente nasconde tesori magnifici! Per me, la frontiera è sempre il luogo di tutte le mescolanze, di tutte le influenze. Di fatto, vicino alle frontiere geografiche appaiono molti territori invisibili, che rivelano innanzitutto l’anima vitale dell’Europa con la sua inimmaginabile ricchezza spirituale.

La religione appartiene alla vita molto personale degli individui. Come reagiscono alla sua “intrusione” in una cosa così intima?

Cerco di scattare fotografie solo quando sento che le persone mi accettano completamente e accettano che mi avvicini a tutto ciò che è intimo per loro: i loro gesti pieni di tenerezza, le loro lacrime accoglienti, la loro fede a volte molto semplice e al contempo molto forte… Si tratta di un universo molto delicato e fragile. È facile distruggerlo.

A volte servono molto tempo e pazienza. Il mio lavoro richiede un’attenzione speciale, un rispetto sincero, e soprattutto una calma interiore che mi risulta piuttosto naturale e che all’improvviso si diffonde intorno. Il mio lavoro è per me come una specie di meditazione.

Cerca Dio dietro l’obiettivo?

Adoro la frase di Charles de Foucauld “In ogni essere umano, dietro i veli e le apparenze, vedere un essere ineffabilmente sacro”. L’atteggiamento di questo santo che mi risulta tanto vicino mi accompagna sempre nel mio lavoro. Fotografando le persone che pregano, cerco in loro i riflessi di Dio. È un modo di esprimere la mia fede cattolica? Sì, certamente.

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