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Texas, il primo Stato USA che difende la vita fin dal primo battito cardiaco

PREGNANT, SCAN

Doro Guzenda | Shutterstock

Annalisa Teggi - pubblicato il 06/09/21

La legge più restrittiva di sempre e contro i diritti delle donne, tuonano gli abortisti. Ma è il tentativo di scardinare un sistema legislativo sbilanciato contro la vita e che spinge la donna all'aborto, non a una vera scelta libera.

Il tema della vita è sembre più orientato alla scelta delle parole adatte. È l’evidenza più amara. Gli abortisti sono i pro-scelta, il feto è un grumo di cellule. Il Texas è il primo stato americano ad avere una legge che tutela il nascituro fin da quando si rintraccia il suo battito cardiaco. Ma è una notizia che abbiamo letto più o meno così: «la legge più restrittiva di sempre, il Texas vieta l’aborto fin dalla sesta settimana di gravidanza».

Scardinando l’uso sibillino delle parole, quali dati vanno evidenziati sul caso scandalosamente pro-vita del Texas?

La legge del Texas è storica. Perché?

Sul tema caldo dell’aborto il nome del Texas non pesa quanto quello di un qualsiasi altro stato. È lì che nacque il caso Roe vs Wade del 1973, la cui sentenza è il pilastro legale su cui si fonda la legislazione sull’aborto negli Stati Uniti.

Da allora si stima che siano stati abortiti circa 62 milioni di bambini in tutti gli USA. Da mercoledì scorso il Texas è anche il primo Stato americano in cui entra in vigore una legge che vieta l’aborto fin dalla registrazione del battito cardiaco, circa alla sesta settimana di gravidanza. Equivale a una dichiarazione di guerra legale tra prolife e prochoice e va letta come una mossa chiave per scardinare l’impianto legale indubbiamente sbilanciato a favore degli abortisti a livello nazionale. Se ne deduce anche che lo scontro non è e non sarà tiepido al di là dell’Atlantico.

Il battito cardiaco in una legge

Si chiama proprio così: Heartbeat law. Il Texas non è stato l’unico promotore di un disegno di legge che tuteli il nascituro dal momento in cui viene registrato il suo battito cardiaco, ma è il primo Stato in cui entra effettivamente in vigore. L’atto decisivo della svolta è accaduto alla Corte Suprema, dove con una votazione molto discussa (5 voti a favore e 4 contro) è stata riconosciuta la validità del testo di legge texano.

Tra le dozzine di Stati in cui la legge del battito cardiaco è passata, il Texas è l’unico a renderla effettiva. Nel corso dell’ultimo anno sono stati registrati in questo Stato più di 53 mila aborti, si stima che verranno ridotti dell’85% ora che è in vigore la legge.

Da USA Today
ABORCJA

Sono 21 gli Stati americani in cui la proposta di legge sul battito cardiaco è stata avanzata, è in corso di discussione o per diversi ostacoli nell’iter legislativo è stata bloccata. In 9 casi è stata la Corte Federale a bloccare i testi già approvati nei singoli Stati, segno di una forte presa di posizione a livello nazionale.

Un muro di opposizioni, Biden in testa

La reazione del Presidente americano Joe Biden sulla legge del Texas non si è fatta attendere e non poteva essere più chiara:

«Questa misura estrema viola apertamente il diritto costituzionale stabilito da “Roe v. Wade” e confermato per quasi mezzo secolo», ha detto il presidente. Il provvedimento, prosegue, «riduce significativamente l’accesso delle donne alle cure sanitarie di cui hanno bisogno, particolarmente per le comunità di colore e di basso reddito. E, oltraggiosamente, impone ai privati cittadini di fare causa a chiunque credano abbia aiutato un’altra persona a praticare l’aborto».

Da Avvenire

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È concesso notare una stonatura? Abbiamo visto le lacrime del Presidente in diretta televisiva nazionale all’indomani della strage all’aeroporto di Kabul. Nel caso del Texas non vediamo una sola parola o accenno di empatia emotiva con una parte in causa presente ma taciuta, il nascituro. Il re è nudo, ancora una volta.

Sfogliando i giornali nazionali ed internazionali esiste una lettura a senso unico sul caso Texas. E i criteri sono lampanti: non usare la parola vita, escludere la presenza del feto, calcare la mano sulla violazione dei diritti delle donne.

Primo settembre 2021: a 48 anni da Roe vs Wade, il celebre parere della Corte suprema che stabiliva il diritto costituzionale all’aborto, uno Stato americano essenzialmente lo mette al bando. Il Senate Bill 8 del Texas proibisce l’interruzione di gravidanza già dalla sesta settimana, quando molte donne non sanno neanche di essere incinta, e anche in caso di stupro e incesto, con pochissime eccezioni.

Da Corriere

Non c’è neppure bisogno di leggere tra le righe, il messaggio arriva forte e chiaro: le donne sono in pericolo, soprattutto quelle abusate. L’uso della parola “feto” o “vita” o “cuore” non è pervenuto, e neppure la completezza di informazione.

Sarebbe doveroso far sapere ai lettori che lo Stato del Texas è così perfido e cattivo nei confronti delle donne da aver investito 100 milioni di dollari in un programma per proporre e incentivare alternative all’aborto.

Una legge che punisce le donne?

E poi ci sono voci che si sono spinte fino al paradosso:

La Corte Suprema non ha posto il suo veto, rendendo di fatto gli Stati Uniti fautori di una delle leggi più restrittive nel panorama occidentale, contraria ai diritti e alla dignità delle donne su più fronti. Avranno incrociato i talebani sulla via del ritorno a casa?

Da Il Fatto Quotidiano
ABORTION

Curiosa questa lettura capace di acrobazie così spericolate sulla realtà. Davvero si può paragonare uno Stato che tutela la vita fin dal grembo a un regime di terrore che a pochi giorni dall’insediamento ha fatto strage di centinaia di persone, bambini compresi? Certo, come non capirlo subito, il tema è la repressione femminile: il Texas ridurrebbe le donne a una condizione di privazione delle libertà essenziali al pari dei Talebani.

Perché si calca tanto la mano su questo spauracchio di donne nuovamente costrette agli aborti clandestini e a fuggire in altri stati per portare a termine un’interruzione di gravidanza? Chi sventola la bandiera della paura lo fa a ragion veduta. La paura è un’emozione primordiale potentissima, è quella che ci fa agire prima di aver ponderato bene. A volte è un istinto salvavita. Ma a volte è proprio la trappola posta da chi ha molto da perdere nel fermarsi a far pensare le persone, ad accompagnarle al discernimento.

Il grande cavallo (di Troia) degli abortisti è gridare che le leggi anti-aborto sono leggi contro le donne. E’ vero il contrario, soprattutto sul suolo americano dove la donna incinta e nel dubbio può diventare una cliente che paga per fare un aborto.

Aborto e minoranze etniche

Un dato messo sul tavolo da Students For Life merita di essere considerato. Il colosso abortista Planned Parenthood ha dislocato l’ 80% delle sue cliniche in quartieri abitati da minoranze etniche. Le frange più emarginate e in difficoltà della popolazione trovano immediatamente un interlocutore quando si tratta di maternità difficile. Ma tu guarda che premura, verrebbe da dire. Leggendo meglio tra le righe, chiediamoci: cosa incontra una donna incinta che entra in questo genere di clinica, un interlocutore disposto a comprendere il suo stato emotivo e a valutare ogni possibilità di scelta per il suo benessere o un operatore che vuole arrivare in fretta a vendere un aborto?

Uno dei dati visibili ma nascosti è che, ad esempio, gli aborti hanno ridotto la popolazione afroamericana del 25% dal 1973 (Roe vs Wade). Siamo sicuri che ciascuna delle madri dietro questi dati sia stata abbracciata nella sua pena e accompagnata alla libera scelta che voleva?

KOBIETA W CIĄŻY

Basta una legge?

Non si può costringere per legge una donna a tenere il suo bambino. Verissimo, la vita non si difende con la coercizione.

La vita è presenza, ed è nella presenza accanto alle donne che il valore di un impegno per la vita va speso. Incontrare e condividere sono i verbi che ci hanno insegnato i CAV in questi molti anni di presenza sul campo. L’accoglienza va sentita sulla propria pelle affinché maturi nei confronti di ciò che c’è nel grembo. Chi ha paura non ha bisogno di una risposta svelta, ha bisogno della lentezza dell’ascolto, del silenzio di vuole comprendere.

Se lo spazio autentico di difesa della vita è questo, perché allora negli USA i sostenitori della vita investono tante energie in campo legale? Per rispondere poniamo altre domande.

Il businness dell’aborto

Perché finora tutte le leggi sul battito cardiaco sono state bloccate o dalle corti federali o dalla Corte Suprema? Perché le leggi sull’aborto tardivo sono arrivate all’approvazione senza problemi? Non è ininfluente notare che il business degli aborti è un colosso da miliardi di dollari.

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C’è un grosso vulnus in seno alla democrazia americana e riguarda l’ingerenza delle lobby abortiste in ambito legislativo. La levata di scudi dei prolife va letta in questa cornice: non è contro le donne, ma contro le mire di chi attraverso l’aborto vuole speculare sulle donne. E’ il tentativo di arginare un fiume già straripato, di portare a galla lo sbilanciamento del sistema di giustizia a sostegno di chi ha un peso economico molto rilevante.

“Quanti anni di prigione?”, questa è la domanda trabocchetto che gli slogan abortisti rovesciano sul mondo prolife. E vuol dire: quanti anni di prigione merita oggi in Texas una donna che abortisce? E basta la risposta data da Dorinda C. Bordlee del BioethicsDefense Fund per ribattere rovesciando i – drammatici – termini della questione:

La domanda “Quanti anni di prigione?” è un tentativo disperato di distrarre la gente dalla consapevolezza di quanto appreso su quei crimini contro l’umanità che sono l’aborto a nascita parziale o il più comune metodo abortivo che implica il fare a pezzi il feto dentro la pancia. La domanda più appropriata è: quanti anni di prigione meritano i venditori di aborto che beneficiano a livello finanziario dei drammi delle donne, abbandonate da chi dovrebbe curarle, e della morte dei loro bambini non ancora nati?

Da National Review
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