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L’Apocalisse e il vino dell’ira di Dio

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© Région Pays de la Loire – Inventaire général - ADAGP – Photo : Patrice Giraud, François Lasa, 1982

La caduta di Babilonia secondo Ap 18,1-20. Arazzo 66 del castello di Angers.


Marc Paitier - pubblicato il 09/09/21

Frutto della vite e del lavoro dell’uomo, il vino occupa un posto importante nella Bibbia. Più di 440 passaggi chiamano in causa il viticoltore, la vigna e/o il vino. In queste settimane che vedranno svolgersi le vendemmie, il generale Marc Paitier ci guiderà attraverso le Sacre Scritture per scoprire la ricchezza di questa immagine, simbolo dell’amore di Dio per il suo popolo, che si compie definitivamente nel sacrificio del Figlio, “vera vite”. Scoprire oggi l’Apocalisse e il vino dell’ira di Dio.

La parola greca “apokalypsis” significa “rivelazione”. Rivelazione della vittoria certissima di Dio su Satana. 

Un’apocalisse è un’opera letteraria che tratta della fine della storia umana. Per millenni apocalissi di ogni sorta sono emerse in giro per il mondo nella vita culturale di numerosi popoli e religioni. Questi poemi, queste epopee, questi racconti fantastici, miti e opere profetiche portano una testimonianza comune sulla condizione passeggera dell’uomo sulla terra. 

L’apocalisse di san Giovanni è un’apocalisse di ordine assai superiore, nella quale non si deve vedere una mera ripresa di alcuni miti preesistenti: 

È un’autentica profezia nel senso in cui non è soltanto un’opera di predizione, ma una comunicazione dello stesso Signore della storia. 

Il suo testo appare molto misterioso, oscuro e conturbante. Esso mette in scena la lotta fra il Bene e il Male, con un linguaggio che non comprendiamo più perché abbiamo perduto l’abitudine di meditare i testi dell’Antico Testamento dai quali l’Apocalisse impronta numerose citazioni. Il messaggio dell’Apocalisse non fa sconti: invita gli uomini a ridestare la propria coscienza, a non compromettersi con Satana, a prendere risolutamente le parti di Cristo. Il diavolo assume le apparenze della bestia. Babilonia rappresenta la città corrotta e corruttrice, la Roma pagana ma anche, in senso più lato, l’umanità peccatrice. Dio riversa su di essa la propria collera. Questo racconto affascinante, grandioso, pieno di fracasso, ci insegna che fino alla fine su questa terra il Bene e il Male non cesseranno di affrontarsi, riducendo così al nulla il mito del progresso al quale la nostra epoca moderna si è legato. 

L’Apocalisse è nondimeno, malgrado le apparenze, un messaggio di speranza – quella data dalla sovranità di Cristo su tutti gli eventi della vita del mondo e dalla sua vittoria finale sul demonio e sui suoi araldi. 

Nell’Apocalisse, il vino ha perduto i suoi effetti benefici ed è invece uno strumento di perdizione. 

«È caduta, caduta Babilonia la Grande, che inebriava tutte le nazioni col vino del furore della sua prostituzione!» (Ap 14,8). Questo vino adulterato è quello dell’idolatria e di tutti i vizî di un impero decadente: false dottrine, falsi insegnamenti, pratiche impure. Tanta è la differenza tra il vino vero, fonte di gioia, e questo vino avvelenato e mortifero, quanta ne passa tra il vero amore e la prostituzione. Questo versetto rimanda all’ebbrezza malsana dei culti idolatrici riportati dal profeta Geremia: 

Babilonia era una coppa d’oro nella mano del Signore,
e inebriava tutta la terra; 

le nazioni hanno bevuto del suo vino
e per questo sono diventate pazze. 

Ger 51,7 

Babele, Babilonia… sempre la stessa lotta: quella dell’orgoglio umano che tenta di rigettare Dio. 

Poi, un terzo angelo li seguì gridando a gran voce: «Chiunque adora la bestia e la sua statua e ne riceve il marchio sulla fronte o sulla mano, berrà il vino dell’ira di Dio che è versato puro nella coppa della sua ira e sarà torturato con fuoco e zolfo al cospetto degli angeli santi e dell’Agnello. Il fumo del loro tormento salirà per i secoli dei secoli, e non avranno riposo né giorno né notte quanti adorano la bestia e la sua statua e chiunque riceve il marchio del suo nome». 

Ap 14,9-11

Al furore di Babilonia risponde quello di Dio. Egli è il creatore dell’universo e dalle sue creature si aspetta un minimo di rispetto, come il figlio onora il padre o il discepolo il maestro. Non si sfida Dio impunemente. Con la voce dell’angelo, Egli mette in guardia gli adoratori di Satana annunciando il loro castigo. Si tratta di un avvertimento che suona come un appello alla conversione. L’immagine della coppa della collera di Dio non è nuova, la si ritrova nel libro di Geremia: 

Prendi dalla mia mano la coppa del vino della mia collera e falla bere a tutte le nazioni alle quali io ti manderò. Esse ne berranno, barcolleranno e saranno prese dal panico davanti alla spada che manderò in mezzo ad esse. 

Questo vino è chiamato “vino della collera di Dio” per distinguerlo dal vino della coppa di Benedizione che rallegra il cuore e che non turba i sensi. 

Questo vivo veniva sistematicamente allungato con l’acqua per temperare il suo ardore. Il secondo libro dei Maccabei, nell’epilogo, insiste sul punto: 

Non serve bere solo vino o solo acqua, perché è il vino mescolato all’acqua ad essere buono e a produrre una gioia gradevole. 

Questo consiglio fa sobbalzare il degustatore moderno, ma non dimentichiamo che nessuno nell’antichità beveva il vino puro, tanto doveva essere denso e forte. Ecco la ragione per cui il vino del furore di Dio è un vino che nessuna goccia d’acqua viene ad addolcire: esso è troppo forte e denso per essere sopportato dall’uomo peccatore; produce gli effetti devastanti del fuoco e dello zolfo, attributi dell’inferno. 

Allora un altro angelo uscì dal tempio che è nel cielo, anch’egli tenendo una falce affilata. Un altro angelo, che ha potere sul fuoco, uscì dall’altare e gridò a gran voce a quello che aveva la falce affilata: «Getta la tua falce affilata e vendemmia i grappoli della vigna della terra, perché le sue uve sono mature». L’angelo gettò la sua falce sulla terra, vendemmiò la vigna della terra e gettò l’uva nel grande tino dell’ira di Dio. Il tino fu pigiato fuori della città e dal tino uscì sangue fino al morso dei cavalli, per una distanza di duecento miglia.

Ap 14,17-20

La vendemmia operata dall’angelo è l’immagine del giudizio di Dio. Il torchio è lo strumento della sua giustizia. Si trovava quest’immagine già nel libro di Isaia, a proposito del castigo di Edom, popolo nemico di Israele (Is 63,2-4): 

Ma perché questi abiti scarlatti, questi vestiti di pigiatore nel torchio? 

«Nel tino, ero da solo a pressare: non c’era con me alcuno del mio popolo! E allora li ho pigiati nella mia collera, li ho torchiati nel mio furore. Il loro sangue ha grondato sui miei vestiti, tutti i miei abiti se ne sono sporcati». 

In quel giorno di vendemmia il mio cuore pensava: l’anno delle redenzioni era venuto. 

Nell’Antichità, l’abbiamo visto, si collocavano i grappoli d’uva in grandi tini di pietra. Degli uomini pigiavano per lunghe ore l’uva per estrarne il succo, il quale colava in un altro tino per essere vinificato. Qui invece sono degli esseri umani ad essere vendemmiati, gettati nel tino dell’ira di Dio e torchiati. Il loro sangue si spande per uno spazio di 1.600 stadi, ossia 300 km (uno stadio equivale a circa 185,25 metri). È una cifra simbolica, vuole significare il grande numero dei dannati gettati nel tino per l’Eternità. Bisogna aver contemplato la spettacolare ebollizione del mosto che fermenta in un tino, per comprendere l’immagine di cui qui si serve l’autore dell’Apocalisse. La fermentazione sprigiona alte concentrazioni di anidride carbonica, e chi si affaccia imprudentemente sopra il tino vi perde coscienza, cade e vi annega. 

Il capitolo 14 dell’Apocalisse è uno dei più terrificanti. Dio è un buon pedagogo, Egli vuole farci comprendere che il disprezzo della sua grazia ci lascia soli davanti alle conseguenze dei nostri atti. Non sta che a noi il tornare a lui per ottenere la salvezza. La redenzione del peccatore è possibile dal momento che, per amore degli uomini, Cristo si è offerto come vittima espiatoria prendendo il nostro posto nel tino dell’ira di Dio. E questo ci porta a considerare la paradossale immagine del torchio mistico. 

[traduzione dal francese a cura di Giovanni Marcotullio] 

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