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Perché Dio non ha impedito che Adamo ed Eva mangiassero il frutto proibito?

ADAM, EWA, JABŁKO

Wikipedia | Domena publiczna

Catholic Link - pubblicato il 14/09/21

Questo articolo potrebbe essere di aiuto per coloro che si interrogano sul peccato originale

di Pablo Perazzo

Se Dio conosceva le conseguenze del peccato originale, perché ha permesso che Adamo ed Eva venissero ingannati dal serpente? In genere ci chiediamo perché Dio permetta tanta sofferenza.

Perché non ha creato un mondo diverso, se sapeva che in quello in cui viviamo ci sarebbe stata tanta sofferenza? Molti dubitano anche della Sua esistenza, perché non possono concepire un mondo con tanto dolore se il Dio che predichiamo è buono e ci ama.

Dobbiamo tuttavia riconoscere che non ci poniamo spesso la domanda che presentiamo in questo articolo. Credo che sia dovuto fondamentalmente al fatto che assume con trasparenza la colpa originale – in altri parole, il fatto che tutto il male che soffriamo è colpa dell’uomo e non ha nulla a che vedere con Dio.

Al numero 412, il Catechismo della Chiesa Cattolica ci dice, per bocca di due grandi santi e con le parole di San Paolo, quanto segue: “L’ineffabile grazia di Cristo ci ha dato beni migliori di quelli di cui l’invidia del demonio ci aveva privati” (San Leone Magno), e “Nulla si oppone al fatto che la natura umana sia stata destinata ad un fine più alto dopo il peccato” (San Tommaso).

San Paolo, in Romani 5, 20, dice “Laddove è abbondato il peccato, ha sovrabbondato la grazia”, e nella benedizione del cero pasquale si dice “O felice colpa, che ha meritato un tale e così grande Redentore!” (San Tommaso).

La prova della libertà

L’uomo non potrebbe essere amico di Dio e amarLo se non fosse stato creato con libertà, ma il giusto ordine in Paradiso, perché prevalesse l’armonia, aveva come condizione la libera sottomissione dell’uomo a Dio.

Una sottomissione che non lo rendeva inferiore, ma semplicemente consapevole della sua condizione di creatura. Non dimentichiamo che la libertà ha come condizione fondamentale la verità e la ricerca della bontà.

Mi chiedo perché ci costi tanto riconoscere che siamo creature e che non possiamo essere più di Dio. Credo che in questo risieda il tarlo della tentazione originaria.

L’inizio del peccato originale è stato la sfiducia seminata dal diavolo dell’uomo nei confronti del suo Creatore (cfr. Genesi 3, 1-11). Come frutto della sfiducia, l’uomo ha disobbedito al comandamento di Dio di non mangiare dell’albero della conoscenza del bene e del male, perché altrimenti sarebbe morto “certamente” (Genesi 2, 17).

Il peccato dell’uomo ha consistito in questo (Romani 5, 19). Tutti i nostri peccati, come quello originale, sono frutto della sfiducia nei confronti di Dio, e della conseguente disobbedienza. Non confidiamo più nel Suo amore, e quindi ci reggiamo sui nostri desideri, perché crediamo erroneamente che Dio non voglia il meglio per noi.

Vogliamo “essere come dèi” senza Dio, prima di Dio e separati da Lui

Risiede in questo il “pungiglione” dell’inganno di Satana. Dio ci ha creati a Sua immagine divina, ma nella condizione di creature. In realtà siamo di condizione divina, ma nella Sua gloria, non separati da Lui.

In questo modo, possiamo notare come Dio non sia affatto la causa del male o del peccato. Lo permette – misteriosamente – avendo due presupposti: il rispetto della nostra libertà e la capacità di trarre sempre un bene maggiore.

“Dal più grande male morale che mai sia stato commesso… Dio, con la sovrabbondanza della sua grazia, ha tratto i più grandi beni: la glorificazione di Cristo e la nostra redenzione” .

(CCC 311, 312)

Conseguenze sulla nostra vita spirituale

Come conseguenza di quel peccato originale, l’uomo ha un’inclinazione al peccato. Siamo feriti nella nostra natura, ma non totalmente corrotti. Sottomessi all’ignoranza, alla sofferenza e perfino al dominio della morte.

Grazie al Battesimo, però, partecipiamo alla grazia di Cristo, che cancella l’eredità del peccato originale e restituisce la nostra vita a Dio. Persiste tuttavia nella nostra esistenza l’inclinazione al peccato (concupiscenza), e siamo chiamati a una lotta spirituale per scegliere il cammino di Dio.

In quel cammino lottiamo contro la nostra tendenza peccaminosa, frutto della natura disordinata, per assomigliare sempre di più a Cristo.

Amore e dovere

Vorrei ricordare due passi in cui possiamo apprezzare chiaramente questo “binomio”, cominciando dalla parabola del figliol prodigo (Luca 15, 11-32), che mostra in modo evidente la differenza di atteggiamento tra i due figli.

Il minore, che dopo aver sperperato tutta la sua eredità torna alla casa del Padre, ha dimenticato la sua condizione di figlio, e quindi l’amore che si nutriva per lui, mentre il fratello maggiore non riesce a comprendere la ragione per la quale il Padre misericordioso celebra una festa per il fratello libertino.

Di fronte a quella reazione, il Padre dice che tutto ciò che è Suo è sempre stato anche del figlio maggiore. In entrambi i fratelli vediamo un modo sbagliato di vivere il binomio. Un compimento del dovere per il dovere, senza la consapevolezza dell’amore paterno (il fratello maggiore), e un libertinaggio che nasce dall’errata comprensione di quella che conosciamo come “libertà dei figli di Dio”, frutto dell’amore del Padre.

Il secondo passo che richiamo e mostra il modo giusto di vivere il binomio è quello che riporta le parole pronunciate da Gesù nell’Ultima Cena (Luca 22, 7-20): “Se uno mi ama, osserverà la mia parola” (Giovanni 14, 15-31).

In altri termini, il vero amore nei confronti di Dio deve portarci al rispetto delle norme morali. Dobbiamo basarci ovviamente sui comandamenti, ma avendo chiaro che la prospettiva per avvicinarci a Dio dev’essere sempre quella dell’amore. L’amore prevale, e questo si riflette nel senso del dovere, se lo abbiamo interiorizzato nel modo corretto.

Libertà e grazia

Il Signore ci chiede di sforzarci di vivere la santità, prendendo la nostra croce sulle spalle per essere Suoi discepoli, ma tutti i nostri sforzi sono inutili se non sono nutriti dalla grazia di Dio.

Non si può essere un altro Cristo e vivere in questa vita segnata dalla nostra fragilità peccaminosa se non si è rafforzati e stimolati dalla grazia.

Serve la nostra libera cooperazione con la grazia di Dio. La possibilità di arrivare in Cielo non è frutto dei possibili meriti delle nostre buone azioni, ma dell’amore misericordioso di Dio e dell’adesione amorevole a Gesù Cristo nostro Signore. Il nostro agire è la manifestazione del fatto che amiamo davvero Cristo, e per questo vogliamo essere obbedienti.

Mettiamoci nelle mani di Maria Santissima, che ha saputo sempre dire Fiat all’azione di Dio nella sua vita e non ha mai diffidato dell’amore di Dio, anche se la realtà si mostrava spesso decisamente avversa.

Come Lei, non lasciamoci confondere, e chiediamo – come facciamo sempre nel Padre Nostro – di non cadere in tentazione per mantenere la nostra fedeltà e obbedienza a Dio sempre più intatta.

Qui l’articolo originale pubblicato su Catholic Link.

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