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Che dire a un parente o a un amico in fin di vita? Ecco 7 piste per vivere questo tempo in verità

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Marzena Wilkanowicz-Devoud - pubblicato il 24/09/21

Cosa si può condividere con una persona che vive i suoi ultimi giorni su questa terra? Che si può dire, laddove talvolta si è paralizzati dalla paura di essere maldestri? Sette consigli per andare (con delicatezza) all’essenziale.

Come aiutare un parente o un amico in fin di vita? Come accompagnarlo nei suoi ultimi giorni? Don Paul Denizot – rettore del santuario di Notre-Dame de Montligeon (nella regione francese dell’Orne), un centro mondiale di preghiera per i defunti, la cui vocazione è dare conforto a persone in lutto o in agonia – dà questo suggerimento: 

È impossibile mettersi al suo posto, e si sa che una delle più grandi paure di chi muore è quella di ritrovarsi in solitudine al momento del trapasso. Per la persona in fin di vita ogni sicurezza si sgretola: non può fondarsi né sui suoi talenti né sulla sua esperienza né sul suo conto in banca. Questa vera solitudine provoca in lei una angoscia estrema. 

Che cosa dire a una persona cara che vive gli ultimi giorni terreni della sua vita? Sette piste per vivere questo momento in verità. 

1Non fare finta di niente

È molto importante non dissimulare la situazione dicendo alla persona che sta per morire frasi come “Andrà tutto bene”, “Sicuramente ti rimetterai”. Se la morte è veramente all’orizzonte, un linguaggio falsamente confortante può essere molto duro per il malato. Il più delle volte, anche se quest’ultimo vede che i suoi cari evitano l’argomento, pure non è abbastanza forte per rompere il ghiaccio. Se avete l’impressione che il vostro amico sia pronto a parlare della sua morte, non abbiate paura di avviare una discussione in tutta sincerità, finché resta del tempo per toccare argomenti importanti. 

2Mettere il proprio dolore in secondo piano

Alle volte, alcuni sono presi da un accesso di disperazione che li porta a dire al malato “Non puoi morire!” oppure “Ho bisogno di te per vivere!”. Questo tipo di conversazione è drammatico, per la persona in fin di vita. Quando il momento della morte si avvicina, i sentimenti di chi accompagna il morente devono sfumare sullo sfondo. Aiutare il morente significa accompagnarlo con amore e tenerezza, e anche con molta calma e con tutta la pace interiore che sia possibile. 

3Essere semplicemente presenti, come Maria

La malattia destabilizza e capita che uno non trovi le parole giuste per confortare. In questo caso, il rettore del santuario di Montligeon consiglia di essere semplicemente presenti e di offrire al malato la possibilità che parli egli stesso delle sue angosce e delle sue speranze: 

Bisogna essere in ascolto, essere semplicemente presenti. Come gli amici di Giobbe: erano presenti, ma in silenzio. Alle volte, quando si è in grande sofferenza, la presenza di un amico che venga a tenervi la mano, anche senza dire nulla, può essere assai confortante. Si può comparare questa presenza silenziosa a quella di Maria ai piedi della Croce. Maria taceva davanti alla morte del Figlio. Non lo incoraggia certo dicendo “Coraggio, ragazzo mio”, oppure “Ti ricordi della tua promessa?”. No, Maria piange e tace. È sguarnita ma sta al fianco dell’Amato. 

4Chiedere delicatamente “che cosa provi?”

In una relazione con una persona in fin di vita, è essenziale stare in suo ascolto con la massima delicatezza possibile. Spesso sorprendendo amici e parenti, alcuni malati aprono i loro cuori. Ci si ritrova allora a parlare con loro con una sincerità che può stupirci tutti. In questo caso la domanda “che cosa provi?” o “come ti senti?” può essere liberatoria: permetterà al malato di parlare “cuore a cuore” con chi gli sta intorno. Al contrario, talvolta ciò è impossibile. Se questo è il caso, non bisogna fare alcuna pressione sul vostro caro, anche se voi ne avvertite il bisogno. 

5Parlargli della sua famiglia

Se si giunge a rompere il silenzio, e se questo lascia il posto a una conversazione “cuore a cuore”, non esitate a parlare al malato della sua famiglia. Per essa la morte in procinto di arrivare sarà una terribile prova. Quando la persona sulle soglie della propria morte pensa alla disperazione del coniuge o a quella dei suoi figli, la propria paura della morte passa in secondo piano. Il malato torna ad essere un coniuge o un genitore che pensa agli altri, e non soltanto alla propria morte. «Avvengono talvolta grandi miracoli, nell’ultimo istante della vita» – constata don Paul Denizot, che come prete è abituato a porre questa domanda alle persone cui la morte si sta avvicinando: «Ci sono cose riguardo alle quali non è ancora pacificato?». In particolare, si ciroda di un uomo che l’aveva sollecitato per fare le grandi pulizie nella sua vita. Divorziato, quest’uomo che aveva lasciato la Chiesa 40 anni prima aveva manifestato il fortissimo desiderio, prima di morire, di chiedere perdono alla moglie e ai figli. 

6Recitare i salmi

Se la persona in fin di vita non è pronta a confidarsi, le si può proporre (sempre con molta delicatezza) di ascoltare un salmo: 

I salmi – spiega il rettore di Montligeon – hanno una grande forza perché esprimono emozioni umane che vengono affidate a Dio. Essi toccano allora la sofferenza del morente. Quando mio padre viveva i suoi ultimi giorni, voleva che gli recitassi salmi come il De profundis, Il Signore è il mio pastore, oppure il Dies iræ, la sequenza cantata nella messa da Requiem. In mezzo a quelle parole furibonde c’è la magnifica terzina “Ricordati, o dolce Gesù / che sono io la causa del tuo viaggio: / non mi perdere, in quel giorno”. L’ho capito parecchio tempo più tardi, perché quest’ultimo testo avesse tanto aiutato mio padre nel suo faccia a faccia con la morte. 

7Dire “ti amo”

Per i credenti, esistono molte preghiere (il Rosario, le litanie alla Vergine e ai santi), i sacramenti (confessione, comunione, unzione dei malati) ma anche delle benedizioni che possono aiutare i morenti. Se la persona in fin di vita non è credente, le si può semplicemente mormorare all’orecchio un “ti amo”. O dirlo anche solo nel pensiero, guardandola, carezzandola teneramente la mano, la guancia o la fronte. 

Davanti alla morte – conclude don Paul Denizot – non ci sono più convenzioni: c’è solo il galateo dell’amore.

[traduzione dal francese a cura di Giovanni Marcotullio] 

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