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Si può essere cristiani e fare finanza?

FINANCE

© THOMAS SAMSON / AFP

Pascal-André Dumont don Pascal-André Dumont - pubblicato il 30/09/21

La questione dei rapporti dell’uomo col denaro non è semplice, ma gli insegnamenti dei profeti e di Cristo la rischiarano. Voci della Chiesa, i papi non cessano di invocare oggi l’umanizzazione della sfera economica e finanziaria – non la sua diserzione.

Il denaro viene condannato, nell’Evangelo, quando diventa Mammona, il rivale di Dio: «Non si può servire Dio e il denaro» (Mt 6,24). Servire il denaro non è compatibile col servizio di Dio. La lotta tra Dio e Mammona, il dio quat-trino, sarebbe culminata nella morte di Cristo, tradito per trenta denari. 

La logica dell’accumulazione del denaro conduce l’uomo alla propria rovina, come ricorda l’immagine evangelica del ricco più preoccupato di ammassare ricchezze che di salvarsi l’anima… e poi sorpreso dalla morte. La trappola sta nella ricerca dell’accumulazione egoistica di ricchezze, ricerca che diventa poi fine a sé stessa. Il denaro non deve e non può essere che un mezzo. La Chiesa incoraggia al suo uso responsabile: è possibile, anche se è difficile. 

La dottrina sociale della Chiesa 

Sta all’uomo costruire il proprio rapporto col denaro ponendo delle scelte di buona qualità morale: la Chiesa rischiara e guida questa responsabilità dell’uomo. La visione dell’uomo contenuta negli insegnamenti di Cristo le permette infatti di proporre un modello di sviluppo “integrale”. Donde i grandi insegnamenti papali che, a partire dall’enciclica Rerum novarum di Leone XIII (1891) formano la dottrina sociale della Chiesa, un compendio di sapienza pratica forte di venti secoli di esperienza dell’uomo. 

Motivati da situazioni storiche concrete, questi testi hanno adottato prospettive di riflessione complementari: il lavoro degli operai nel 1891, l’adeguamento della produzione alla crescita demografica nel 1967 e, dopo il 2000, il giusto posto della finanza. Il fondamento comune di questi testi è la proposta di una visione dell’economia centrata sulla persona. 

La regolamentazione non basta 

Ogni impresa umana può dotarsi di codici deontologici, e gli ultimi papi ne sostengono la diffusione per prevenire nuove tragedie finanziarie… ma essi assomigliano al codice della strada, per fare un’analogia, e non a un navigatore con GPS integrato: vi si troveranno i mezzi per andare da qualche parte, ma non le indicazioni concrete per giungere alla destinazione finale, ovvero l’itinerario da seguire per arrivarvi. La Chiesa non bandisce il denaro dalla vita del cristiano, ma gli ricorda la necessità di ordinarlo al bene comune, di subordinare la finanza a un’economia che sia al servizio della persona umana. 

La nozione di bene comune risuona con forza nel messaggio della Chiesa, che al giorno d’oggi – in un mondo dominato dall’anti-modello dell’individualismo consumista – è una delle rare voci a parlarne. Ogni cristiano è responsabile del bene comune davanti ai suoi prossimi e davanti a Dio. Donde la nozione di responsabilità, luminosamente sviluppata da Benedetto XVI: la responsabilità è una risposta a un appello, ha la propria sorgente fuori di sé. L’individualismo invece è autoreferenziale, laddove la responsabilità si fonda su una chiamata che non si può intendere se non ci si mette in ascolto di una Parola. L’uomo si colloca allora in un rapporto responsabile col denaro, che partecipa pienamente del piano di Dio. 

Una crescita responsabile non trova dunque la propria finalità che al di fuori di sé stessa. Una sfera finanziaria autoreferenziale non serve più lo sviluppo integrale di una società al servizio delle persone, ma degli interessi individuali e autoreferenziali. Responsabilità e finalità devono fondare il rapporto del cristiano col denaro. 

Le derive della finanziarizzazione

È nel nome dello sviluppo integrale che Benedetto XVI ha messo la finanza nel cuore della sua enciclica Caritas in Veritate, in un contesto di crisi finanziaria mondializzata. Salutata come modello di rigore intellettuale, di chiarezza concettuale e di innovazione manageriale, Caritas in Veritate ha l’acutezza necessaria per analizzare le défaillances del sistema economico mondiale. Quel che il testo fustiga è il meccanismo attuale che spinge le imprese ad adottare un ritmo di produzione sfrenato, a impegnarsi in una corsa dai risultati infernali, e che rende tutto precario – dagli investimenti alla vita del semplice salariato, passando per le scalette di ordini e la localizzazione delle imprese. È la finanziarizzazione dell’economia ad essere qui condannata, con la sua logica del breve termine: non è il denaro ad essere rigettato in blocco come se fosse “sporco”. 

Alla prima trappola del denaro traditore, la cui fascinosa potenza indurisce il cuore umano, se ne aggiunge un secondo: quello di una sfera economica governata dalla finanza, invece che servita da essa. Papa Francesco non dice altro, quando vigorosamente esorta i cristiani a rifiutare la globalizzazione dell’indifferenza, che genera logiche finanziarie autoreferenziali e inumane. Sullo sfondo c’è il rifiuto di vedere l’essere umano ridotto alle sue funzioni di consumo. È pure un appello individuale a mettere in pratica la virtù della carità, a tutti i livelli; e, per gli esperti finanziari, a osare la riformulazione di un sistema economico in cui il denaro serva, invece di governare. 

Il rischio dello sviluppo 

Le logiche della finanza, però, non sono intrinsecamente malvagie. La Chiesa insegna che lo sviluppo e la crescita, sia sul piano demografico sia su quelli economico e finanziario, sono una cosa buona, in ragione delle parole di Dio nella Genesi: «Siate fecondi, moltiplicatevi, riempite la terra e soggiogatela» (Gn 1,28). La responsabilità non è l’ideale di mani pure e il disimpegno totale della finanza, col rischio di non avere più mani del tutto. Una certa morale cristiana vorrebbe associare responsabilità etica e assenza di rischio – condannando di fatto anche le più semplici operazioni finanziarie di investimento e di prestito –, ma questa visione è falsa: essa parte dal principio che il rischio sia cattivo in sé. 

Dio però non la vede così. Egli stesso si assume dei rischi: quando crea l’uomo per amore, Egli si assumo il rischio della libertà dell’uomo, che comporta il rigetto del suo amore. Il rischio, come passaggio dal noto all’ignoto, è molto presente nelle Sacre Scritture. La chiamata di Dio ad Abramo non è altro che un invito a lasciare il proprio Paese – il noto – per camminare «verso il Paese che Dio ti indicherà» (Gen 12,1-2). È l’ignoto che suppone la fiducia in Dio. Cristo stesso, nella parabola dei talenti, adotta l’attitudine del padrone che rimprovera duramente il sottoposto che non ha fatto fruttificare il suo talento (Mt 25,26-30). Far fruttificare un talento, nel campo antropologico come in quello economico, suppone l’assunzione del rischio necessaria a investire su una cosa per ricavarne due o più. 

Niente rischi sconsiderati 

Come l’uomo che vuole costruire una torre, o il re che parte in guerra, colui che si assume un rischio deve anzitutto sedersi e riflettere sui mezzi sufficienti per ottenere lo scopo ricercato (Lc 14,28-32). Queste parabole trovano la loro applicazione nella sfera dell’attività economica e finanziaria. L’economia punta alla crescita delle ricchezze e non solo al loro mantenimento: il rischio le è connaturale. Essendo però un movimento dell’attività umana, l’assunzione di rischio ha le sue modalità d’impiego, circoscritto nel triangolo “fiducia-speranza-prudenza”. 

  1. Anzitutto la fiducia: ci vuole una certa sicurezza, che non è la padronanza previa di tutte le conseguenze di un’azione, bensì la ragionevole presunzione di potersi fondare su alcuni pilastri indistruttibili – la grazia di Dio, le competenze umane, il sostegno morale e affettivo, un piano di sviluppo coerente… 
  2. Poi la speranza: è l’attesa di un bene più grande. 
  3. In fine, la prudenza: è il giudizio dell’intelligenza pratica che permette di agire secondo ciò che nel discernimento è risultato essere buono per la situazione data, in funzione dei mezzi disponibili. Essa non è la facoltà di individuare situazioni senza rischio, ma quella di ben soppesare i rischi e di scartare ciò che è troppo rischioso. 

La finanza al servizio del bene comune 

Il non fustigare la finanza libera iniziative finanziarie al servizio del bene comune. Il modo d’impiego cristiano della finanza non è unicamente normativo: riabilitare il rischio inerente a ogni impresa permette di immaginare di mettere al servizio del bene comune una expertise nei meccanismi finanziari. Diversi tipi di fondi si sono sviluppati seguendo questa logica. I fondi di dotazione permettono di riunire del denaro per investirlo in dei progetti. Non specifici del mondo cristiano, questi fondi hanno sedotto ad esempio le diocesi di Bretagna, che ne hanno creati per finanziare dei progetti a beneficio dei giovani. 

Essi seducono anche dei grandi magnati cristiani, come Pierre Deschamps, già presidente degli Entrepreneurs et Dirigeants Chrétiens (EDC), che sta all’origine del fondo CapitalDon, il quale ha per scopo l’incoraggiamento della ricerca accademica e l’innovazione al servizio dello sviluppo della gratuità in impresa. 

Un altro tipo di fondo è quello di stanziamento etico. Nella sua versione “Communauté Saint Martin” esso diventa ProClero. Si tratta di un fondo di stanziamento aperto a tutti e reinvestito nelle imprese secondo una triplice esigenza: 

  • una gestione etica, che seleziona le imprese a partire da criterî di ecologia umana, di etica sociale e di integrazione positiva; 
  • una finalità di condivisione per la formazione dei seminaristi della Communauté Saint Martin; 
  • e la promozione della dottrina sociale della Chiesa presso attori della vita economica e finanziaria. 

[traduzione dal francese a cura di Giovanni Marcotullio] 

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