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La lezione che mi ha lasciato la morte del mio fratellino

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izzzy71 | Shutterstock

Cerith Gardiner - pubblicato il 08/10/21

L'esperienza della mia infanzia mi ha aiutato a modellare il mio rapporto con la morte

Oggi mio fratello minore Paul avrebbe 43 anni. Purtroppo, non è arrivato neppure al suo primo compleanno – è morto ad appena 11 mesi. All’epoca avevo 6 anni, e gli eventi che hanno circondato la sua morte e il suo funerale hanno segnato tutta la mia vita in un modo stranamente positivo.

Anche prima della nascita di Paul era chiaro che sarebbe stato un bambino speciale. La sera prima che mia madre andasse in ospedale a partorire, la nostra vicina (che i miei quattro fratelli più grandi avevano soprannominato “Santa Maria” per via della sua grande fede) venne a casa nostra e ci lasciò una bottiglietta di acqua santa. Non lo aveva fatto per nessuno dei cinque parti precedenti di mia madre.

La nascita di Paul è stato il parto più doloroso tra i nove di mia madre. È nato con la sindrome di Apert, un disordine genetico che porta a deformazioni del cranio e delle estremità. I miei genitori non avevano idea del fatto che il figlio soffrisse di quella sindrome; all’epoca non esistevano le ecografie.

Nel caso di Paul, le sue manine erano un tutt’uno, la testa notevolmente malformata e i polmoni fragili. I medici, però, credevano che avrebbe potuto condurre una vita “normale”.

Oggi l’aspettativa di vita di un bambino con la sindrome di Apert è uguale a quella di qualsiasi altro bambino, e grazie a chirurghi esperti molte delle deformazioni possono essere corrette. Nella breve vita di Paul, ha subìto vari interventi riusciti. Ricordo che andavo a trovarlo in ospedale, condividendo il suo gelato e cercando di farlo ridere.

Quando Paul aveva circa 10 mesi è riuscito a venire con noi in Irlanda per le vacanze estive. Eravamo entusiasti perché stava bene, e una volta tornati in Inghilterra sarebbe stato operato alle mani.

Mentre eravamo in Irlanda, però, Paul prese la polmonite. Era alla fine della vacanza e dovevamo tornare in Inghilterra per l’inizio della scuola. Lo staff dell’ospedale disse che stava bene, e allora i miei genitori decisero di lasciarlo lì con la famiglia estesa a prendersi cura di lui mentre loro riportavano noialtri a casa in tempo per la scuola. Mio padre pensava di ritornare a Dublino una settimana dopo.

Il ritorno a casa

Eravamo sul traghetto per tornare in Inghilterra quando i miei genitori ricevettero un messaggio dall’altoparlante per recarsi dal capitano. Ci affidarono alla mia sorella più grande, e quando tornarono ci spinsero in una cabina e ci dissero che Paul era peggiorato ed era morto.

La cosa successiva che ricordo è il fatto di vedere alcune religiose della nostra parrocchia che confortavano i miei genitori – viaggiavano sulla stessa nave. Mia madre ci disse che Paul non avrebbe sofferto più e che era stato chiamato alla sua casa celeste.

Ci sono state lacrime, ma anche una certa sensazione di pace. Il piccolino che ci aveva donato 11 mesi d’amore non era più con noi. Aveva superato con coraggio gli interventi a cui era stato sottoposto, offrendoci una luce con il suo atteggiamento gioioso.

I miei genitori ci dissero che saremmo rimasti sulla nave per tornare in Irlanda. All’epoca mi colpì molto. Ricordo di aver pensato che nessuno dei miei amici era salito su una barca e poi non era sceso!

Tornammo in Irlanda e non ricordo niente prima del funerale. Eravamo in una processione di macchine, i miei genitori in una con la bara di Paul tra di loro e noi a seguire. Ricordo questo dettaglio perché i miei fratelli mi avevano chiesto di andare a chiedere ai miei genitori delle caramelle quando ci eravamo fermati. I bambini sono sempre bambini!

Siamo arrivati alla chiesa e la bara di Paul è stata aperta. Siamo andati tutti a turno lì a rendergli omaggio. Io, con i miei sei anni, stavo in punta di piedi a guardare nella sua bara bianca. Pensavo davvero che fosse un angelo. Nelle sue manine c’erano un agnellino di peluche e una rosa. Non dimenticherò mai questi dettagli, perché ricordo di aver provato un grande sollievo per il fatto che avesse qualcosa a confortarlo.

Dopo il servizio funebre, è stato posto nella stessa tomba di mia nonna, morta solo un mese prima di lui (all’epoca non sono riuscita a capire quanto debba essere stato difficile per mio padre perdere la madre e il figlio in un lasso di tempo così breve).

Una pace duratura

Ricordo che ero triste, forse perché tutti gli altri lo erano e pensavo che dovessi sentirmi così. Più di quello, però, ero curiosa su ciò che stava accadendo a Paul nella sua morte e mi chiedevo se fosse felice nel suo luogo di riposo permanente. Ricordo di essermi sentita in pace. Sentivo che Paul veniva accudito dalla mia nonna defunta.

Ho pochi ricordi vividi della mia infanzia, ma la morte di Paul è impressa nella mia mente. Se ero triste per il fatto che il mio fratellino e compagno di giochi se ne fosse andato, non avevo paura della morte, e quel sentimento è rimasto con me per tutta la vita.

A volte mi chiedo perché. Per quale motivo quell’evento mi ha segnato tanto e in modo così positivo? Penso che derivi dal fatto che i bambini sono curiosi per natura. Niente della morte di Paul mi è stato nascosto. L’ho visto giacere nella pace più assoluta. Mi sono sentita rassicurata del fatto che non soffrisse più, come mi avevano detto i miei genitori, e quindi non avevo niente di cui preoccuparmi.

Tutti affrontano la morte in modo diverso, e forse anche il momento della sua morte ha giocato un ruolo importante nel ruolo in cui l’ho vissuta. Avevo un’età in cui potevo avere qualche idea della morte, ma senza l’ansia che può avere un bambino più grande.

Se c’è qualcosa che vorrei dire oggi al mio fratellino sarebbe “Grazie”. Grazie per la gioia che ci hai donato mentre eri con noi, e grazie per avermi insegnato che la morte non è qualcosa da temere.

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