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Luigi Maria Epicoco: la preghiera cambia il mondo perché cambia noi

LUIGI MARIA EPICOCO

guido tombari | Youtube

Annalisa Teggi - pubblicato il 08/10/21

"Per fare la preghiera del cuore non devi fare niente, devi permettere a Dio di fare qualcosa dentro di te". Così al Monastero Wifi Don Luigi Maria Epicoco ha tolto ogni maschera sentimentale al cuore per ricordarci che è il centro dell'incontro tra l'io e la presenza di Dio.

«Ma che ne sa il cuore?»

Il terzo capitolo del Monastero Wifi, svoltosi lo scorso 2 ottobre nella Basilica di San Pietro a Roma, ha puntato tutto sulla preghiera. Che azzardo. È l’esperienza più semplice ed essenziale del cristiano, perciò richiede un lavoro enorme. E quando noi parliamo di lavoro e impegno, spontaneamente pensiamo allo sforzo e all’aggiunta.

A Don Luigi Maria Epicoco è stata affidata una catechesi sullapreghiera del cuore e nella mezz’ora a sua disposizione ha mostrato che quando la preghiera è al lavoro, non c’è sforzo ma disponibilità, non c’è aggiunta ma anzi una continua tensione al togliere.

Non c’è parola più succulenta di ‘cuore’ per catturare l’attenzione mediatica di qualunque pubblico. Se il cuore fosse quello spazio magico dove esplodono emozioni e desideri, non ci sarebbe bisogno di meditare sulla preghiera del cuore. Basterebbe lasciarsi andare a quel flusso di parole spontanee e palpiti che scaturisce dall’istinto.

E invece siamo qui pronti a scarpinare un po’ per stare di fronte a ciò che già si chiese Alessandro manzoni: «Ma che ne sa il cuore?».

Il vero miracolo dell’emorroissa

La preghiera esprime per noi la relazione. Preghiamo nel momento in cui entriamo in relazione con Dio, non con le cose di Dio.

Tutto è qui. Il tutto della nostra persona si gioca nella possibilità che sia vero quello che Don Luigi Maria Epicoco ha detto in apertura della sua catechesi. Il vero senso della preghiera è entrare in rapporto con Lui, ben al di là delle cose che chiediamo di ottenere con la preghiera. Ne è un esempio il caso dell’emorroissa di cui leggiamo nel Vangelo. È una donna afflitta da una sofferenza precisa e il suo desiderio, la preghiera che la muove a toccare Gesù, è che il suo dolore fisico abbia fine. Sfiorando le vesti di Gesù tra la folla, effettivamente il miracolo accade e la sua emorragia si ferma. Ma il vero miracolo accade dopo, quando Gesù si ferma, si volta e la cerca:

Gesù non vuole toglierle quello che ha ottenuto, vuole semplicemente dirle che il vero scopo di tutta quella malattia, di quella disperazione, di quella fede, di quel miracolo è essere giunti a quel momento inaspettato: riuscire a guardarsi negli occhi. Gesù che riesce a guardare negli occhi questa donna e questa donna che riesce a guardare negli occhi Gesù. […]. La preghiera è preghiera quando ci permette di incontrare Dio faccia a faccia.

La preghiera è il luogo più aggredito dal male

Questo incontro occhi negli occhi con Dio, che è il dono più grande della preghiera, ci chiede la fatica di una discesa e poi di una risalita nella conoscenza di noi. Chesterton disse che l’io è più lontano di ogni galassia. Scoprire dove e come accade questo incontro vivo con Dio è tutt’uno con il dare un un volto al proprio io.

La persona – intesa come corpo, parole, pensieri ed emozioni – è stata al centro di tutto il discorso di Don Luigi Maria. Il primo passo è scendere nell’intimo fino a conquistare la roccaforte del vero cuore, il secondo movimento è quello della risalita: grazie al miracolo che può accadere dentro il cuore ogni parte di noi cambia letteralmente aspetto. E’ proprio come fece Dante, che prima passò dall’Inferno per liberarsi delle scorie che lo appesantivano e poi risalì verso il Cielo per riguardare se stesso con occhi nuovi.

La discesa comincia riconoscendo che Dio si fa incontrare nel modo più consono a ogni persona. Esistono 4 alfabeti della preghiera e rispondono a come è fatto l’uomo, a quelle che possono essere le sue esigenze per mettersi davvero in relazione:

Possiamo pregare con il nostro corpo, possiamo pregare con le nostre parole, possiamo pregare coi nostri pensieri, possiamo pregare con i nostri sentimenti. E nessuno può dire che c’è una preghiera migliore di un’altra. Se quella preghiera esprime una relazione, allora è autentica.

Ma proprio perché in questo incontro c’è in gioco il bene essenziale di ogni essere umano, la preghiera è il ‘luogo’ più aggredito dal male. L’opposto stesso della relazione è il diavolo, colui che separa. Il male si infila in tutti e 4 gli alfabeti della preghiera: ci toglie le parole, si infila nei ragionamenti, ci induce a credere di aver pregato bene se sentiamo delle emozioni positive.

Tutti noi sperimentiamo nella preghiera non soltanto il tentativo di entrare in relazione con Dio, ma l’opera del male che non vuole che accada questa relazione. La preghiera, allora, diventa un ostacolo nel nostro corpo. E’ la fatica che fanno i discepoli quando Gesù li porta nel Getsemani e lottano col loro corpo che vuole dormire. […] E ti accorgi che in ogni dimensione di questa tua relazionalità, di questo tuo desiderio di entrare in rapporto con Cristo, devi combattere. Il tuo corpo, le parole, i pensieri e le emozioni sono un ostacolo da vincere.

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Cos’è davvero il cuore

C’è una parola strana in italiano: ospite. Si riferisce sia a chi è ospitato sia a chi ospita. Non c’è mistero più commovente di quello che riguarda il cuore, luogo di un’ospitalità in cui il nostro io più autentico sta con Dio. Ospite uno e ospite l’altro. Noi lo accogliamo, Lui si lascia ospitare. Ma anche: accogliendoLo ci sentiamo ospitati da Lui in una casa più solida di ogni edificio umano.

Il cuore è la parte più profonda di noi, dove non troviamo semplicemente sedimentata la nostra vita, i nostri pensieri, le nostre ferite […]. In questo luogo che chiamiamo ‘cuore’ ci accorgiamo che esiste una presenza. Siamo abitati da una Presenza. Nel nostro cuore è presente lo Spirito.

Possiamo fare un bel falò di tutto il romanticismo da quattro soldi che innalza il cuore a motore di una libera emotività egocentrata, capace di sentimenti potentissimi e contrastanti. Il cuore cantato nelle canzoni del mondo moderno è fondamentalmente solo, e fiero di esserlo. L’abbaglio di tutta la riduzione romantica a proposito di cuore è quello di averlo ridotto, come ogni altra sfera dell’umano, a un inferno sotto mentite spoglie: qualcosa di sublime, profondo, meraviglioso ma innestato solo su se stesso. Destinato perciò ad avvizzire.

Tra le evidenze preziose che il cristiano è chiamato a custodire e donare al mondo c’è la certezza che il cuore non è un organo singolare, ma un nido vivo e plurale della nostra persona:

Dio non soltanto manda suo Figlio nel mondo, non entra solo nella Storia […]. L’opera dell’Incarnazione è ancora più profonda, Dio ha posto la sua dimora in mezzo a noi, nel nostro cuore. Il lavoro più grande della preghiera è trovare la strada per questa ‘chiesa’ che ti porti dentro.

PRAY

Accorgersi di ciò che Dio fa

Dio è un ospite discreto, ci abita dentro con tutta la premura di non essere invadente. Non è un’evidenza, ma una presenza. Il punto più intimo della discesa al fondo di noi ascoltare un sussurro leggero dentro il silenzio.

Una persona che impara la preghiera è una persona che ha imparato una strada che lo porta nel suo cuore. E l’unico modo per arrivare a questo cuore è coltivare attenzione. La preghiera del cuore non è qualcosa che facciamo noi, ma è qualcosa che Dio fa dentro di noi. E noi dobbiamo accorgercene. Per fare la preghiera del cuore non devi fare niente, devi permettere a Dio di fare qualcosa dentro di te.

Eccoci al ribaltamento da cui comincia la risalita. Ci sarebbe da gridare di gioia e urlarlo ai quattro venti: proprio la parte più preziosa di noi dove la coscienza e l’affetto si incontrano è sempre presidiata dalla presenza di Dio. Se il cuore è il nido del nostro vero io, non c’è cosa più benedetta di saperlo sempre abitato da Qualcuno. Non c’è speranza più grande di sapere che nonostante le nostre fughe e latitanze, il centro della nostra persona non è abbandonato dal Padre. Se Lui c’è, possiamo chiamarlo.

La preghiera del cuore chiama per nome quella Presenza. Quando un bambino è al buio nella sua stanza e ha paura, chiama il papà o la mamma. E il chiamarlo lo rassicura sul fatto che dall’altra parte c’è qualcuno che gli risponde. Il buio è buio, ma la sua parola chiama una Presenza.

WOMAN,STANDING IN THE DARK

Il nostro margine di azione nella preghiera non è perciò uno sforzo di aggiunta, ma semmai l’opposto: dobbiamo liberare la strada da tutti gli ostacoli che si frappongo tra noi e questo chiamare nostro Padre, per sentire la sua voce. Tutto il nostro impegno deve favorire l’attenzione alla sua Presenza.

Allora dimuiscono le parole, calano le tecniche. Tutto diventa semplicemente un atteggiamento di attenzione del cuore, dove qualunque cosa tu stai facendo – se stai parlando, o ti trovi in cappella, o ti trovi al lavoro, o ti trovi in un momento difficile – c’è una parte di te che continua a tenere la mano stretta alla Presenza che ci abita dentro. E questo è la tua forza, e questo vince il mondo. […] Il mondo ha bisogno di gente che prega così, di gente che ha capito che la preghiera cambia il mondo perché cambia noi.

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