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Cosa salverà il cristianesimo?

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Pascal Deloche / Godong

Francisco Borba Ribeiro Neto - pubblicato il 19/10/21

È un fatto che i dati demografici indicano un apparente crollo del cristianesimo nel continente in cui si è sviluppato

Papa Francesco ha avviato un audace progetto di consultazione di tutta la comunità cattolica per la realizzazione della prossima Assemblea del Sinodo dei Vescovi. In particolare, ha valorizzato tre parole: incontrare, ascoltare e discernere. In questa sede, vorrei riflettere sul catastrofismo, sul volontarismo e sulla politicizzazione che accompagnano spesso questa discussione, e riprendo subito la risposta alla domanda del titolo: quello che salva il cristianesimo, in tutti i tempi e in ogni situazione, è sempre la grazia di Dio, anche se si avvale di noi per la sua realizzazione.

Demografia e cuori

È un fatto che i dati demografici indicano un apparente crollo del cristianesimo nel continente in cui si è sviluppato, l’Europa. In Brasile, ad esempio, la riduzione del numero di cattolici è in gran parte compensata dall’aumento dei fedeli delle Chiese neopentecostali, di modo che la proporzione di cristiani nella popolazione non diminuisce molto. Nei Paesi europei, però, la riduzione interessa anche le denominazioni protestanti, per cui c’è un aumento di coloro che si dichiarano atei o agnostici. Ciò porta a un’osservazione interessante: molti dei cambiamenti richiesti continuamente alla Chiesa cattolica con l’argomentazione per cui sono necessari per la sua sopravvivenza, come il matrimonio dei pastori o la formazione di un clero femminile, avvengono già in molte denominazioni protestanti, senza che questo implichi necessariamente una maggiore resistenza al processo di secolarizzazione.

Questi dati demografici sono assai significativi, e hanno molto a che vedere con il processo di cancellazione culturale e di negazione dei valori cristiani che si verifica nella maggior parte dei Paesi di tradizione cristiana, ma nascondono un dato fondamentale: mostrano l’apparenza esterna, non il cuore dell’uomo. In genere si basano su inchieste in cui si chiede qual è la confessione religiosa della persona, se partecipa o meno a qualche celebrazione settimanale, ecc., ma chi può garantire che la religione professata corrisponda alla fede vissuta nel cuore della persona? Anche la partecipazione al culto domenicale, soprattutto in passato, nelle società prevalentemente cattoliche, per molti era solo un dovere sociale…

Il mondo è pieno di “cristiani di facciata”. Questo non dovrebbe scandalizzarci, né dovremmo condannare queste persone. Il cristianesimo per tradizione, in opposizione a quello per convinzione, è la conseguenza di un errore storico delle comunità cristiane: credere che il potere sociale e istituzionale possa convertire le persone e che la credenza religiosa possa essere negoziata insieme ad altri segnali di status sociale, e determinare perfino quali diritti sarebbero riconosciuti.

In qualche modo, le difficoltà che viviamo oggi in ambienti con una mentalità perfino anticristiana sono una grazia che ci dà la possibilità di aderire a Cristo in modo più autentico, motivati da un incontro più vero e non da convenzioni sociali. In questo senso, solo Dio, che conosce il nostro cuore meglio di noi stessi, può dire se la riduzione demografica della percentuale di cristiani dichiarati corrisponde a una riduzione della percentuale dei cuori animati dalla fede.

Anche questa riflessione, quando ci preoccupiamo dell’aumento o della riduzione del numero di convertiti a Cristo, può essere un segno dell’“uomo vecchio” dentro di noi, una condizione in cui pensiamo ancora alla nostra fede in termini di accettazione sociale e conformità delle norme sociali alle nostre convinzioni. San Paolo, nella sua Lettera ai Filippesi, mostra con parole toccanti come la grazia di vivere e annunciare la compagnia di Cristo superi tutte le tribolazioni che affrontiamo nella vita sociale (cfr. Fil 1, 1-30; Fil 3, 8-16).

La disputa per il potere, al servizio del Male

Spesso abbiamo una tendenza volontarista a chiedere cambiamenti strutturali per risolvere le situazioni. In fondo, crediamo che i problemi siano la conseguenza della connivenza o della cattiva volontà delle autorità. Basterebbe che queste cambiassero le strutture per risolverli. I cambiamenti strutturali sono fondamentali perché i problemi vengano risolti, ma non sono una soluzione, quanto il risultato di una situazione già in atto. I problemi della vita nella società, siano essi politici, economici o ecclesiali, sono molto complessi e non si risolvono in modo semplicistico. Le persone benintenzionate e impegnate sono fondamentali, ma nulla garantisce che sapranno prendere le decisioni migliori di fronte alle difficoltà. Papa Francesco ha insistito in varie occasioni sul fatto che ciò che conta è avviare processi, perché è in essi che avviene il cambiamento. Le trasformazioni che portano davvero la novità desiderata non si verificano per decisioni volontariste, ma all’interno di processi.

I resoconti storici a volte ci fanno avere l’impressione che il Concilio Vaticano II, ad esempio, si sia verificato per una decisione poco tempestiva di San Giovanni XXIII e che da lì tutto sia cambiato. Pensiamo anche che tutto avrebbe dovuto cambiare e che il fatto che alcune modifiche non si siano verificate sia dovuto alla volontà di autorità reazionarie. Al contrario, il Concilio è frutto di un lungo processo di riflessione e maturazione della comunità cattolica. Il XX secolo ha contato su un’infinità di grandi teologi e pensatori che hanno ripensato la presenza della Chiesa nell’attualità, e questo processo non è ancora terminato. L’invito di Papa Francesco non è “il ritorno” dello spirito del Concilio, ma una tappa del lungo cammino, pieno di avanzamenti e ostacoli, della riproposizione della Chiesa al mondo di oggi.

Questa visione volontarista dei cambiamenti strutturali è accompagnata da una serie di posizionamenti politici in relazione alla vita della Chiesa. Se il problema è una struttura inadeguata, che non muta in funzione della volontà di certe autorità, la soluzione è una lotta politica che allontani queste persone e ne collochi al potere altre che la pensano come noi. Questa è proprio la porta attraverso cui il diavolo, colui che divide e allontana da Dio, entra nella Chiesa e nel cuore di coloro che la amano e vorrebbero aiutarla a migliorare. Passiamo a pensare che sia il potere umano e non la grazia divina a far migliorare le cose nella Chiesa.

L’esempio di Querida Amazonia

All’inizio della consultazione del Sinodo, che rappresenta una nuova tappa nel lungo processo di riproposizione della Chiesa al mondo di oggi, non è superfluo ricordare che il primo cambiamento che si verifica nella Chiesa è quello che avviene nel nostro cuore. Più ci convertiamo all’amore di Cristo, più proponiamo l’essenziale ai nostri fratelli, più siamo felici e migliore sarà la Chiesa. Oltre a innumerevoli testi che stanno uscendo in relazione al Sinodo, vale la pena di rivedere il “sogno ecclesiale” di Francesco per la Querida Amazonia (QA 61ss).

È pedagogico per tutti noi vedere come il Papa riprenda le sfide per la presenza ecclesiale in quella regione, sottolineate in una consultazione popolare che ricorda questa attuale del Sinodo, mostrando come possano essere superate con una maggiore fedeltà all’annuncio del Vangelo. Francesco non slega l’aspetto spirituale da quello sociale, non smette di constatare la necessità di nuove strutture per nuovi tempi, ma chiarisce che la persona convertita a Cristo è il vero strumento di Dio per la costruzione della Sua Chiesa.

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