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Carlotta: anche se ho voluto l’aborto ho il diritto di soffrire

Carlotta-Manni

Carlotta Manni

Silvia Lucchetti - pubblicato il 21/10/21

Carlotta Manni ha pubblicato stralci di una lettera scritta al marito in cui racconta il dolore dell'aborto del primo figlio per le donne inconsapevoli del dopo: "Credimi se ti dico che la scienza ha toppato, non sono solo cellule".

Carlotta Manni ha 33 anni, è moglie di Gianmarco, mamma di Stella, ed è una donna generosa. Ha messo a nudo il suo cuore raccontando attraverso una lettera scritta al marito – e poi pubblicata su Instagram – il dolore per l’aborto che ha fatto alcuni anni fa, quando erano fidanzati da poco. Ci vuole coraggio.

E già qui sento levarsi i primi (inopportuni) commenti: “se ha abortito volontariamente cosa si lagna a fare? poteva pensarci prima”, e via scorrendo con anatemi simili. Mi viene in mente Papa Francesco quando un giorno disse che tutte le volte che gli capita di passare di fronte ad un carcere si domanda: “perché loro e non io?”.

Quello che vorrei chiedere a voi lettori, prima di raccontarvi questa storia, è di abbassare il dito puntato, di mettere da parte pregiudizi e ipocrisia. Sarebbe bello se, leggendo questa testimonianza, ciascuno di noi si sentisse vicino a questa donna, al suo dolore, alla sua ferita. Sarebbe bello se pensassimo a lei come ad un’amica, una sorella, una figlia, una vicina di casa, perché poi è quello che è.

La cosa che mi ha colpito di Carlotta è l’assoluta mancanza di acredine, rancore, nei confronti di chiunque. Spesso nella nostra intervista mentre mi confidava commenti tremendi che conoscenti, colleghi di lavoro, follower, le hanno rivolto riguardo l’aborto, appena io cominciavo a reagire irritata mi interrompeva: “non lo hanno detto con cattiveria, è mancanza di empatia, le persone faticano a mettersi nei panni degli altri”. E lo diceva con semplicità, senza posa da grande esperta, ma con la profondità di chi sa che l’animo umano è povero. Che siamo mancanti e meschini. Di sensibilità, comprensione, affetto.

L’inizio della lettera

Pezzi di me estrapolati da una lettera che scrissi a mio marito, dopo aver abortito consapevolmente.
———
Mi sento strana, altalenante. 
Dopo quello che è successo una parte di me mi spinge a correre, a concretizzare, mi dico “datti da fare, scala le montagne, vivi, fai ogni cosa, costruisci”.
Ma l’altra parte si sente immobile, svogliata, totalmente congelata.
Non provo entusiasmo per nulla. 
Ti sto scrivendo perché vorrei trovare qui quel coraggio che mi manca di mostrarti la ferita.

Cerco di partire dal principio.
Che sia chiaro: non volevo assolutamente un figlio ora, non era in nessun modo un mio desiderio ed ero molto drastica nel caso fosse capitato, perché “tanto sono solo cellule e nient’altro”.
Dicevo più o meno così, no?
Poi è successo che un giorno -ops- sono rimasta incinta, e la prima reazione è stata quella di buttare quelle cellule, perché di questo si trattava, e tanti saluti. 

Ma poi è passata una notte, due notti, tre notti, quelle cellule si facevano prepotentemente spazio dentro di me senza aver chiesto permesso, lo facevano a tal punto che tutto il mio corpo stava cambiando per loro, affinché potessero maturarsi. Allora ho iniziato a percepire tutto, a sentirmi strana, a pensare a come fosse possibile che qualcosa di tanto piccolo e inerme potesse causare tutto questo, a come può, qualcosa che ancora non esiste, avere una forza tale.

Sentivo la nausea, la stanchezza, sentivo il battito che andava tutto il giorno come un treno, percepivo tutte le mie forze, ogni singola energia, avere improvvisamente il solo scopo di permettere a quel qualcosa di crescermi dentro, di farsi spazio, di vivere. Il mio cuore pompava prepotentemente per permettere a un altro piccolo impalpabile cuore di battere con lui.

E così -PUFF- il panico! Come mi comporto adesso? Come la gestisco? Come si fa a capire cosa è giusto? Come faccio a scegliere anche per gli altri? Come faccio a tirare una moneta dove testa è vita e croce è morte? Sono stata terribilmente male, tutti i giorni, tutte le notti, ad ogni ora, in ogni istante, con un solo irremovibile pensiero: 
CHE COSA DEVO FARE?

(carlotta_manni_)
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Carlotta scopre di essere incinta nel 2016, è andata a vivere a New York da poco tempo, si è trasferita per studiare l’inglese. Incontra dopo un mese nella Grande Mela Gianmarco e dopo 8 mesi di storia arriva la gravidanza: “ci amavamo, infatti alla fine ci siamo sposati, ma ci conoscevamo ancora poco”. La vita a New York non è semplice e in Italia non hanno nulla per mettere su famiglia. E così quando scopre di aspettare un bambino sente una grande confusione nel cuore e avverte immediatamente il bisogno di tornare a casa, pur non essendo una mammona – mi ha confidato – “ho avuto bisogno della mamma”.

Qual è stata la tua prima reazione dopo aver scoperto di essere incinta?

La prima cosa che ho pensato era di prendere la pillola abortiva, ma poi per tutta la trafila burocratica, trovandomi all’estero, è passato qualche giorno ed io ho iniziato a percepire alcuni sintomi della gravidanza. Nausee, stanchezza, tachicardia. Così mi sono sentita molto confusa. Il mio ragazzo mi ha detto la classica frase: “fai quello che vuoi, io ci sarò”. Io ero una che fino a quel momento aveva detto: un figlio no, non mi sento pronta.

Allora se dovevo parlare di aborto ti dicevo “e vabbè, può capitare, uno si prende una pillola”, non sapevo quello che succede realmente, e mi dispiace che le persone non lo sappiano. Non mi ero mai documentata a riguardo, sapevo che all’inizio si dice “non è nulla, è un grumo di cellule” e ci ho creduto. Quando invece – dopo aver saputo della gravidanza – ho iniziato a sentirmi diversa ho capito che non è proprio così, il tuo corpo lavora per quella vita. Comunque poi sono partita per tornare a casa, e dopo poco il mio ragazzo mi ha raggiunto. Ero davvero confusa perché la mia decisione riguardava tante persone: avrei dovuto gravare sulle spalle della mia famiglia, su quelle di Gianmarco e non volevo. Questo ha influenzato molto la mia scelta. Scelta che ho sentito tutta su di me. Non avevamo le basi per mettere su famiglia, non era il momento, impegnare in un cambiamento così grande il mio ragazzo mi faceva sentire male. Con il cuore non volevo abortire, se la questione avesse riguardato solo me probabilmente non lo avrei fatto. Mi sentivo tanti pesi addosso. Quando è arrivato il giorno dell’intervento fino all’ultimo ho sperato che qualcosa cambiasse, ma non è successo… ed è andata così. Non voglio trovare un capro espiatorio, un colpevole. Il motivo per cui ne ho voluto parlare è perché penso che ci sia tanta disinformazione, le donne non sanno ciò a cui vanno incontro. Sanno solo che si può fare.

La seconda parte della lettera

Pezzi di me estrapolati da una lettera che scrissi a mio marito, dopo aver abortito consapevolmente.
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Parte 2

Non ti dico la confusione che avevo in testa, una giuria di voci isteriche che urlavano in attesa del verdetto, tristi, arrabbiate, incazzate nere, non smettevano di gridare, mai, in nessun momento. Pretendevano riposte, ma io davvero non ne avevo una che fosse abbastanza valida, solo incertezze, soltanto dubbi. Eppure, in tutto questo caos c’era qualcosa che non si distraeva, c’era qualcosa che non si fermava, c’era un fiore che cresceva nel fango, c’era quel cuore che continuava a battere.

E per quanti dubbi, incertezze, problemi e preoccupazioni tu possa avere, non puoi fare a meno di percepirlo come una musica meravigliosa, non puoi fare a meno di ammirare la maestosità della natura, semplicemente, non puoi fare a meno di amarlo. 

E ti trovi lì, nel frastuono del silenzio a pianificare letteralmente la distruzione di quell’equilibrio perfetto, di quell’armonia, di quell’amore totalmente incondizionato che nonostante tutto ti pulsa già nelle vene. Sto qui ferma su questa riga da qualche minuto, sto cercando di trovare delle parole adatte, qualcosa che possa esprimere almeno in parte tutto questo, ma proprio non ci riesco.
Come descriveresti l’amore? 

Ad ogni modo, i fattori erano tanti, la confusione era assordante, ma non c’era più tempo. Così, mentre ogni millimetro del mio cuore mi chiedeva di non farlo, mentre tutto di me stava proteggendo quel che mi cresceva dentro, mi sono ribellata a me stessa, alla natura, alla musica perfetta, all’amore, a quel piccolo battito.

Mi sono incappucciata e mi sono messa sul patibolo in attesa, perché è inutile chiamarla “interruzione” solo perché suona meglio, perché alleggerisce il peso, si parla di morte. Quando permetti una morte stai uccidendo, e quando uccidi qualcosa che ami è un controsenso infernale, e quando a morire è qualcosa dentro di te con essa muoiono tante cose, con essa muori un po’ anche tu, e quando uccidi una parte di te si può dire che sia un principio di suicidio.
Ho ospitato una vita e poi ho ospitato una morte. Questo è quanto.

(carlotta_manni_)

Cosa è successo dentro (e fuori) di te dopo aver abortito?

Se tornassi indietro con il cuore oggi non lo rifarei mai, mai. È stata una cosa orrenda. Con la consapevolezza che ho adesso, con tutto ciò che ho passato.

Quest’esperienza ci ha cambiato profondamente, non solo a me ma anche a mio marito. Io ho sofferto in modo incredibile, è stata davvero molto dura. Per i primi sei mesi ho pianto tutti i giorni e tutte le notti, ho avuto incubi tutte le sere, anche senza dormire, mi bastava chiudere gli occhi. Vedevo bambini morti, cose brutte. È stata durissima. Se fossi stata in Italia sarei andata in terapia, a New York era più complicato. Quando sono rientrata in America dopo l’interruzione di gravidanza, i colleghi mi facevano battute di cattivo gusto, e così ho capito ancora di più quanto manchi consapevolezza su cosa sia veramente l’aborto. A lavoro li avevo informati perché mi dovevo assentare per molto. Prima di partire mi dicevano: “Se vuoi, incinta non ci rimani, scema”, e poi al rientro, fin dal primo giorno: “ti sei andata a fare la vacanza a casa”. Per anni mi hanno fatto pesare che io fossi stata via più di un mese come se fossi davvero andata a godermi le ferie.

Nel momento stesso in cui lo fai non ti rendi conto di quello che sarà dopo, tu pensi di finire una cosa e in realtà ne stai iniziando un’altra, perché non si può capire, non mi sarei mai aspettata quello che veniva dopo. Non pensavo che avrei avuto il senso di colpa, invece sono meccanismi tanto profondi. Quando vai ad interrompere un corso naturale per forza ci sono delle gravi ripercussioni.

Il giorno dell’intervento mi sono sentita trattata come un numero, sembravo che fossi lì a fare una visita dentistica. Che poi uno potrebbe dirmi: che pretendi, che ti devono fare, e anche questo è vero. La cosa tremenda è che sembra che tu non sia autorizzata a soffrire perché l’hai voluto. Ma non è così.

La terza parte della lettera

Pezzi di me estrapolati da una lettera che scrissi a mio marito, dopo aver abortito consapevolmente.
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PARTE 3

Il giorno prima dell’intervento, mentre eravamo in macchina e cercavo di non piangere pensando a mille cose, ci ho parlato. Ho sentito dentro di me delle parole così chiare che due giorni dopo le ho scritte:

“Perdonami tesoro mio,
ma credimi non è stata mancanza d’amore, forse piuttosto mancanza di coraggio, che poi di coraggio ne serve più di quanto immaginassi.
Perdonami tesoro mio, scrivo queste parole mentre scendono lacrime di sangue, nella ridicola speranza che in qualche modo possano arrivare fino a te, che poi se anche fosse, sei fin troppo piccolo per poterle comprendere, che poi se anche fosse, di comprendere non potrei chiedertelo mai, che poi se anche fosse, tanto non sarà mai. 
Non sarà mai perché non imparerai mai a leggere, non imparerai mai a correre, non imparerai mai i colori, non imparerai mai i suoni, non imparerai mai a sorridere, non imparerai mai a piangere, non imparerai mai ad amare, non imparerai mai ad odiare, come ora, se solo potessi, odieresti me.
Perdonami tesoro mio,
non sono stata capace di proteggere il tuo cuore. 
Ti prometto che non passerà giorno della mia vita senza che io non mi ricorderò di te, ti prometto che non passerà giorno della mia vita senza che io non immaginerò di noi.
Ti prometto che un giorno la mia pancia ospiterà qualcun altro e che quando succederà le mie viscere sapranno ancora di te a tal punto e ti penserò così intensamente che quando verrà al mondo sarà intriso di te e allora anche tu potrai vivere un pochino, attraverso di lui, tutto quello che non ti ho concesso.
Perdonami tesoro mio, ti prego, perché io non so se posso farlo.
Perdonami tesoro mio, 
la tua mamma ti ama.”

Queste parole mi sono risuonate in testa tutto il giorno, e da quel momento le sento rimbombare dall’interno.

La mattina dopo ero in ospedale.

(carlotta_manni_)

Come ha inciso l’esperienza dell’aborto nel vostro rapporto di coppia?

Ci vuole forza per restare insieme dopo un’esperienza così, perché è come se volessi trovare un capro espiatorio, come odi te “odi” pure l’altra persona in qualche modo. Ma poi la capacità di restare vicini, di comprendere il dolore dell’altro, la maturità, l’amore, ti fa superare gli ostacoli e ti aiuta a restare insieme. Nel 2018 ci siamo sposati. I primi tre anni dall’aborto sono stati tostissimi per me, ho cominciato a guarire un po’ quando abbiamo iniziato a cercare Stella.

Quest’esperienza come coppia ci ha dato un desiderio di famiglia immenso. Ci provavamo ma la gravidanza non arrivava. Poi nel 2019 sono rimasta incinta ma dopo poco ho perso il bambino e quando è successo è stato un grande dolore che mi ha stravolto. Siamo tornati a vivere in Italia da un anno, nostra figlia Stella è nata in America a ridosso della pandemia.

Ho deciso di parlarne perché in generale sono una persona che sente la propensione ad aiutare gli altri se posso, ad ascoltare. Io ne ho sofferto tanto e in tutti questi anni ho sempre pensato che avrei voluto in qualche modo informare le persone su cosa sia realmente l’aborto, di quanto sia difficile, doloroso. E così spero di poter aiutare le donne.

La quarta parte della lettera

Pezzi di me estrapolati da una lettera che scrissi a mio marito, dopo aver abortito consapevolmente.
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Parte 4

Te e mia madre eravate lì, avrei voluto piangere senza controllo ma mi sono trattenuta. Sono entrata in quella stanza a parlare con quel dottore, a compilare schede e dare dati, come se stessi facendo un‘iscrizione qualunque, come se si parlasse del nulla.

Mi hanno fatto un’ecografia, ho chiesto di girare lo schermo e non avrei visto niente, ma io guardavo comunque dall’altra parte, mentre sentivo i suoni emessi dal computer, mentre quell’infermiera stava guardando mio figlio, che non bastava un monitor girato a non farmi sapere che era lì, mentre mia madre aveva le lacrime agli occhi, mentre io mi sentivo un blocco di ghiaccio conficcato nello stomaco.

Mi hanno messo in una stanza, con altre persone, come un numero, niente più. Fissavo il vuoto cercando di non pensare a niente. Di nuovo, avrei voluto piangere senza controllo ma mi sono trattenuta. Poi quel dottore è venuto a infilarmi quella capsula nella vagina, dicendomi che dopo di quella, non sarei più potuta tornare indietro. Mi sono sentita svuotare lentamente, risucchiare di tutto quell’amore e di quella perfezione, sentivo una voce dentro di me che mi chiedeva “Perché? Perché mamma non posso vivere? Perché mi stai facendo questo?” Ma in ogni caso era comunque troppo tardi.

Ho urlato a lungo silenziosamente, mentre avevo i crampi e sentivo dolore, perché tutto ciò che con la mia energia si era creato dentro di me ora si stava sgretolando, si stava staccando, stava appassendo, stava morendo.
Ho letteralmente sentito mio figlio che mi moriva nella pancia, e questo purtroppo non me lo toglierà mai niente e nessuno. 

Intanto aspettavo di essere portata in sala operatoria dove mi avrebbero messo a gambe larghe per raschiare via quel che ne restava.

Credimi se ti dico che la scienza ha toppato, non sono solo cellule. Certo la mente e il cuore condizionano, ma in fin dei conti non siamo dei robot.

(carlotta_manni_)

Che reazione ha suscitato la pubblicazione della lettera?

Insieme ad alcuni commenti sgradevoli che mi hanno accusato di bieco protagonismo, mi ha scritto tante donne che hanno compreso fino in fondo i motivi della mia scelta. In particolare mi ha colpito il dolore di una ragazza molto giovane che mi ha confidato di essersi tatuata due piccoli fiori, uno ancora più minuto dell’altro, che stanno nascendo ma non sono ancora sbocciati. Lei è rimasta incinta all’età di 16 anni. “Sentivo di amare già quel bambino – mi ha detto – ma come potevo io che ancora ero una ragazzina crescere un figlio?”. Per questo due fiori piccini di cui uno non è mai nato.

L’ultima parte della lettera

Pezzi di me estrapolati da una lettera che scrissi a mio marito, dopo aver abortito consapevolmente.
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Parte 5

In ogni caso non riesco a cancellare il pensiero di quel giorno, non riesco a non pensare a quello che è stato e a quello che non sarà. Sono totalmente in balia di questo mare di pensieri che a tratti mi trascina giù e tenta di annegarmi, mi sento soffocare.

In certi momenti è come se paradossalmente vivessi il ricordo di una vita parallela che non vivremo mai. 
Probabilmente ti sembrerò pazza.

La notte fatico a dormire, faccio sogni che non vorrei mai fare. Certe volte non posso neppure chiudere gli occhi, perché appena li chiudo vedo cose orribili, ma mi sto abituando a sopportarlo. 

Ad ogni modo vado avanti e tu sei vicino a me, ma credo che questa ferita non si chiuderà mai, nella vita a volte è così.

Non te l’ho detto, ho avuto paura per noi, ho avuto paura che avrei perso anche te, che non saremmo potuti rimanere insieme. Non fraintendere se ti dico che una parte di me ce l’ha con te, nello stesso modo in cui ce l’ha con me, immagino sia normale. Ma in fondo è stata un’ulteriore prova di quanto il nostro amore e la nostra complicità possano superare tutto.
———
Il resto della lettera lo tengo per noi.

Scrissi queste parole per mio marito, ma ho scelto di scriverle anche a tutte le donne che hanno sofferto come me, ho deciso di scriverle a tutti i mariti, a tutti i compagni, a tutti gli amici, a tutti i fratelli, a tutti.

A voi, donne forti e coraggiose, per dirvi che non siete sole, che non siete mostri, che meritate di amarvi.

A tutti gli atri, perché sappiate.

(carlotta_manni_)

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