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Don Pietro Pappagallo “Giusto tra le Nazioni”. Oggi a Terlizzi la cerimonia

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Maria Bonaduce

Maria Bonaduce, Ritratto di don Pietro Pappagallo, acquerello su carta

Giovanni Marcotullio - pubblicato il 25/10/21

Il titolo è stato conferito nel 2018 ma solo oggi per via della pandemia il Comune pugliese può ospitare l'evento. La celebrazione è motivo di orgoglio cittadino e seme di dialogo fino ai massimi livelli.

Oggi a Terlizzi (provincia di Bari ma diocesi di Molfetta) viene conferita all’omonimo pronipote di don Pietro Pappagallo la più alta onorificenza civile dello stato di Israele: il sacerdote pugliese (che però visse e operò a Roma fino al martirio) era già stato insignito del titolo di “Giusto fra le Nazioni” nel maggio del 2018, ma mentre il suo nome è stato tempestivamente iscritto nello Yad Vashem di Gerusalemme l’esplosione della pandemia ha rimandato fino ad ora la “cerimonia esplicativa”, organizzata di concerto fra l’Ambasciata Israeliana in Italia e il Comune. 

Una rondine che fa primavera 

Nel pomeriggio odierno, dunque, alle ore 17:00, i diplomatici saranno nell’Auditorium della scuola primaria “Don Pietro Pappagallo” di Terlizzi. Il paese è tuttavia già in festa da stamattina: già a partire dalle 8:30, infatti, la cittadinanza si è raccolta (con i limiti tuttora imposti dall’emergenza sanitaria) nel teatro di cui sopra per la messa in scena del reading teatrale scritto e diretto da Francesco Tammacco “Una rondine che fa primavera”. 

È un evento che va molto al di là dei confini cittadini – commenta per noi lo storico e giornalista Renato Brucoli –, perché il sacrificio di don Pietro acclara che la vita di ogni bambino e di ogni adulto, indipendentemente dalla condizione sociale e dall’appartenenza geografica, ha un valore assoluto e universale; e lancia un monito a non smarrire il valore dell’alterità, la consapevolezza dell’eguaglianza e della dignità umana nella diversità e nella distinzione, e a praticare l’accoglienza e la coesistenza pacifica tra i popoli.

Lo stesso Rucoli segue da sempre la causa di don Pappagallo, e ne ha tracciato così una sintesi essenziale: 

Don Pietro Pappagallo, unico sacerdote cattolico fra le 335 vittime alle Fosse Ardeatine, la più feroce rappresaglia compiuta in Europa dal nazi-fascismo durante la seconda guerra mondiale, ha organizzato una rete di assistenza materiale e spirituale in favore di ebrei, soldati allo sbando, perseguitati politici, offrendo ospitalità, sostegno concreto e documenti d’identità contraffatti per aprire vie di fuga e di salvezza a chi era in pericolo di vita nella capitale.

Orientato dalla fede cristiana e dall’amore verso il prossimo, ha manifestato decisa opposizione alla guerra, alla discriminazione razziale e ideologica.

Per questa esemplarità, e per aver salvato in particolare la vita di diversi ebrei, com’è nelle testimonianze della partigiana Ada Alessandrini e del compagno di cella Oscar Cageggi nel carcere delle SS di via Tasso in Roma, lo Yad Vashem di Gerusalemme gli ha conferito il titolo di “Giusto tra le Nazioni”, il 22 maggio 2018. 

Per il settimanale diocesano Luce e Vita il giornalista aveva svolto nel numero di ieri, 24 ottobre 2021, analoghe considerazioni, sottolineando la «persuasione “iperbolica” nella cultura ebraica» per la quale 

una sola persona è già tutta l’umanità. Un graffio procurato a un solo bambino, a una sola bambina, è una ferita inferta a tutta l’umanità; negare la vita di un solo individuo equivale a sterminare violentemente l’umanità intera. 

Martire italiano ed eroe cristiano 

Se tale è la motivazione del riconoscimento conferito dallo Stato di Israele a don Pappagallo, la coscienza della comunità cristiana non ha mancato dall’iscrivere il sacerdote pugliese nel “Martirologio del clero italiano” fin dall’edizione del 1963 – iscrizione solennemente ratificata da Giovanni Paolo II durante il Grande Giubileo del 2000. Che alle Fosse Ardeatine ci sia stato almeno un prete, in quell’ora di feroce abbrutimento della vicenda bellica, è meno una ferita che una gloria per la Chiesa cattolica. Lo notava già nel 1968 il giornalista statunitense Robert Katz, nel libro che fu tra i primi a rendicontare fonti alla mano l’eccidio nazista dei civili italiani: 

All’ingresso delle cave dalla lunga fila in attesa della fucilazione si alza un grido, da uno che ha visto la sua veste nera: «Padre, benediteci!». Racconterà un superstite che «don Pietro, che era un uomo robusto e vigoroso, si liberò dai lacci che gli stringevano i polsi, alzò le braccia al cielo e pregò ad alta voce, impartendo a tutti l’assoluzione». 

Una scena sublime che sarebbe valsa in sé una scenografia cinematografica, e la cui mistica virtù si è imposta all’attenzione di un Presidente della Repubblica Italiana pure non credente quale fu Carlo Azeglio Ciampi, che nel 1998 conferì al sacerdote (evidentemente a titolo postumo) la Medaglia d’oro al merito civile con questa motivazione: 

Sacerdote della Diocesi di Roma, durante l’occupazione tedesca collaborò intensamente alla lotta clandestina e si prodigò in soccorso di ebrei, soldati sbandati, antifascisti ed alleati in fuga dando loro aiuto per nascondersi e rifocillarsi. Tradito, fu consegnato ai tedeschi, sacrificando la sua vita con la serenità d’animo, segno della sua fede, che sempre lo aveva illuminato. Roma, 24 marzo 1944.

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Maria Bonaduce, Ritratto di don Pietro Pappagallo, acquerello su carta

Strumento di raccoglimento e di dialogo 

Quel che in fondo si celebra ancora oggi è la fecondità spirituale e sociale del sacerdote – e non atomizzata in uno o pochi gesti straordinari, quanto piuttosto diffusa nella costante tenuta della sua persona –: 

È un riconoscimento importante – commenta don Roberto De Bartolo, parroco della concattedrale cittadina –. Io sono di Terlizzi e sin da ragazzo i miei genitori e nonni mi hanno fatto conoscere la figura di don Pappagallo, che viveva a Roma ma che amava molto la sua città e vi era molto legato. Mi hanno sempre educato a riconoscere la presenza sacerdotale di questo prete trucidato insieme con Gioacchino Gesmundo, che era anche lui di Terlizzi. 

Un esempio anche per la modernità: questo donarsi ed essere accanto a chi soffre al punto da prenderne il posto. Pappagallo è un martire.

La vittima che non invoca vendetta ma offre il proprio perdono e amministra quello divino è il caso-limite – o il “caso serio”, avrebbe detto Von Balthasar – in cui nelle peggiori notti della storia si fa palpabile una luce invincibile che supera le contrapposizioni offrendo, in modo pressoché irrefutabile, una comunione nuova e definitiva: italiani e tedeschi, cristiani ed ebrei, e cittadini di tutti i posizionamenti politici trovano oggi nella celebrazione delle virtù e dei meriti di don Pietro Pappagallo non un motivo di confusione o di contesa, ma di speranza. 

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