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La più grande sofferenza del Purgatorio, secondo Santa Caterina da Genova

Catherine of Genoa

Public Domain

Russell Shaw - pubblicato il 29/10/21

Possiamo comprendere il Purgatorio solo alla luce dell'illimitata misericordia di Dio

Il secondo dei tre libri della Divina Commedia di Dante, dopo l’Inferno e prima del Paradiso, è il Purgatorio. Nel suo nono canto, Dante mette queste parole sulla bocca del guardiano angelico della porta del Purgatorio, che mostrando le sue chiavi dice agli ascoltatori:

Da Pier le tegno; e dissemi ch’i’ erri 
anzi ad aprir ch’a tenerla serrata, 
pur che la gente a’ piedi mi s’atter
ri.

Nel testo, come nell’insegnamento della Chiesa, il Purgatorio può essere compreso propriamente solo come espressione dell’infinita misericordia di Dio. Per questo, non è un luogo di punizione, ma un posto in cui, come conseguenza della generosità divina, i peccatori penitenti vengono preparati a entrare in Paradiso.

Se il calendario ecclesiale non contiene una festa del Purgatorio in quanto tale, abbiamo il suo equivalente il 2 novembre, quando la Chiesa ci incoraggia a pregare in modo particolare per i nostri cari defunti, che crediamo e speriamo siano ora in Purgatorio. Quest’anno potremmo recitare una preghiera anche per Dante nel 700° anniversario della sua morte.

Il Catechismo della Chiesa Cattolica offre questa definizione della dottrina del Purgatorio:

“Coloro che muoiono nella grazia e nell’amicizia di Dio, ma sono imperfettamente purificati, sebbene siano certi della loro salvezza eterna, vengono però sottoposti, dopo la loro morte, ad una purificazione, al fine di ottenere la santità necessaria per entrare nella gioia del cielo” (CCC 1030).

Al di là della preoccupazione naturale per le persone care, l’amore per noi stessi dovrebbe spingerci a desiderare il Purgatorio. Come sottolinea San John Henry Newman, “in un certo senso, tutti i cristiani muoiono senza aver concluso il proprio compito”. Il Purgatorio è il luogo in cui vengono aggiunti i ritocchi finali.

Newman sottolineava questo aspetto in uno dei suoi sermoni anglicani, “Lo Stadio Intermedio”. Come molti non cattolici, prima della sua conversione era esitante sull’idea del Purgatorio in quanto tale, ma aveva già riconosciuto la necessità di un “tempo di maturazione” tra la morte e il paradiso, e lo riteneva una “grande consolazione” per chiunque pensasse seriamente a tali questioni.

Oggi come allora, ci sono due ragioni principali per farlo.

Una ha a che vedere con il numero apparentemente elevato di persone che, dice Newman, sono negligenti, impenitenti o scioccamente certe di una conversione sul letto di morte per cavarsela alla fine. La Chiesa fa a queste persone un enorme favore ricordando loro di tanto in tanto le Cose Ultime tradizionali – che includono Paradiso, Purgatorio e Inferno.

L’altro grande motivo per ricordare chi è in Purgatorio, quelle che chiamiamo “Anime Sante”, ha a che vedere con il nostro serio dovere di dar loro una mano con la preghiera e la penitenza, come speriamo che gli altri facciano per noi quando arriverà il momento.

Santa Caterina da Genova (1447-1510), santa famosa per i suoi sacrifici a favore dei malati e dei poveri e per le sue esperienze mistiche, l’ha posta così nel suo Trattato sul Purgatorio:

“L’Onnipotente è così puro… che se una persona è consapevole della benché minima traccia di imperfezione e allo stesso tempo comprende che il Purgatorio è ordinato per eliminare queste imperfezioni, l’anima entra in questo luogo di purificazione felice di accettare una misericordia così grande di Dio. La sofferenza peggiore di queste anime sofferenti è aver peccato contro la divina Bontà e non essere state perfette in questa vita”.

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