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Squid Game: la serie Netflix che ha suscitato critiche e polemiche in tutto il mondo

SQUID GAME

Everett Collection/East News

Umberto Macchi - pubblicato il 09/11/21

Un titolo che fa discutere ma che è anche una opportunità per affrontare alcuni temi come la diseguaglianza ma che ha diverse criticità

Squid Game (letteralmente, “Il gioco del calamaro”) è una serie televisiva coreana, scritta e diretta da Hwang Dong-hyuk. Distribuita in tutto il mondo su Netflix, a partire dal 17 settembre 2021, la serie è alla sua prima stagione ed è composta da nove episodi. Concepita da Hwang, a quanto pare, sulla base delle sue personali difficoltà giovanili, oltre che delle disparità socio-economiche vigenti in Corea del Sud, narra la storia di un gruppo di persone che, vittime di grossi problemi finanziari, accettano uno strano invito a una competizione, rischiando la vita in un mortale gioco di sopravvivenza che mette in palio 45,6 miliardi di won (pari a circa 33 milioni di euro).

Il successo, le polemiche, i dissensi

La serie ha già ottenuto un enorme successo, registrando 111 milioni di visualizzazioni dopo soli 28 giorni dal suo debutto sulla piattaforma, confermandosi così come il più grande esordio tra le serie originali Netflix: a ottobre 2021 occupa il primo posto in 94 paesi nella top 10 delle serie più popolari sulla celebre piattaforma.

Fin qui, tutto bene. Ma la serie ha ricevuto anche enormi critiche e ha suscitato polemiche e dissensi in tutto il mondo. Si parla addirittura di “effetto Squid Game”, e si consiglia ai genitori di non guardarla insieme ai figli. L’allarme arriva dalla scuola, in particolare dalle scuole elementari, perché i bambini avrebbero iniziato a copiare le violenze viste negli episodi in tv. Nel gioco, si vince o si perde e quando si perde si viene uccisi davanti a tutti. Una vera e propria esecuzione per non essere stati all’altezza della prestazione richiesta. La serie coreana è vietata ai minori di 14 anni, ma la cosa non basta a tener lontani i più piccoli, e ha preso talmente piede che la fondazione “Carolina Onlus”, nata in memoria di Carolina Picchio, l’adolescente che si tolse la vita perché vittima di cyberbullismo, ha lanciato una petizione su Change.org, dal titolo “Fermiamo lo Squid Game”. Petizione che chiede di eliminare la serie e che, nel giro di 36 ore, è già stata firmata da più di 7000 persone. Il motivo sono le allarmanti segnalazioni di violenza da parte di genitori con bambini alle scuole elementari o addirittura materne.

Muore chi perde

A ricreazione si gioca, appunto, a Squid Game, emulando i comportamenti dei protagonisti. Un gioco innocente come Un due tre stella finisce con pollice e indice puntati addosso all’amichetto, a simulare una pistola, pronunciando la sentenza: “Hai perso, adesso muori”. L’allarme si è diffuso in tutta Italia, tanto che si moltiplicano le richieste di interrompere la serie Netflix. Il problema sembra essere legato all’accesso dei piccoli a contenuti che dovrebbero essere loro preclusi, forse attraverso la tecnologia sempre disponibile dopo i mesi di didattica a distanza. Stando alle famiglie, nelle classi metà bambini guarderebbe la serie mentre l’altra metà litiga coi genitori che, invece, glielo vietano.

Censurare serve a poco

Tuttavia, in questo come in molti altri casi, censurare la serie non serve a risolvere il problema, perché blocca a monte ciò che continuerà a vivere a valle. La violenza, infatti, andrebbe spiegata ai bambini con la volontà di riflettere, e di far riflettere anche i più piccoli, su certi temi sensibili e sulle possibili traduzioni della vita virtuale nella vita reale. Bisogna parlare del problema, non pensare di eliminarlo con il silenzio: solo così si può aiutare il bambino a elaborare la questione, fino a condurlo, magari, a smettere di guardare un contenuto violento perché capisce che quello che sta guardando è brutto.

Inutile colpevolizzare l’ennesima serie tv o l’ennesimo pericolo tecnologico: ricordiamoci sempre che il problema non è tecnologico ma educativo. I bambini e gli adolescenti non possono e non devono vivere autonomamente il web: dobbiamo imparare ad accompagnarli e guidarli in questo universo multiforme e, a volte, pericoloso.

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