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Sassuolo, uccide i figli di 2 e 5 anni, la moglie e la suocera. Poi si uccide

MAN, KNIFE, CRIME

metodej | Shutterstock

Annalisa Teggi - pubblicato il 18/11/21

Nel pomeriggio di ieri una strage dall'efferatezza indicibile nella provincia emiliana. Armato di coltello un padre ha tolto la vita ai due figli, alla moglie, alla suocera e poi si è tolto la vita.

Il bilancio è terribile: 4 omicidi e un suicidio, 5 vittime e un’intera famiglia distrutta. Nel pomeriggio di ieri, tra le 15 e le 16, si è consumata una strage a Sassuolo, in provincia di Modena, e ne è stato artefice un padre armato di coltello, Nabil Dahir, 38 anni. Pochi giorni fa la tragedia di Viterbo, un altro padre armato di coltello ha ucciso il figlio di 10 anni. Siamo scossi e attoniti per questo ennesimo colpo ferale che accade nella famiglia normale tra le pareti di casa.

Una famiglia tranquilla

Ritorna con macabra puntualità il commento di vicini e conoscenti, era una famigliatranquilla. E di solito lo si legge dopo un elenco di dettagli orrendi sulle scene del crimine. Anche in questo caso il delitto stravolge una normalità apparente. (Forse dovremmo cominciare a dirci senza eufemismi che nessuna famiglia è normale e tranquilla, ma è sede di drammi profondi. Proprio perché i legami sono essenziali e profondi).

Questa volta la scena è una delle province che racconta l’Italia migliore, semplice e operosa. La ricostruzione dei fatti accaduti ieri a Sassuolo ha ancora molti punti oscuri all’esame degli inquirenti. Pare chiara la dinamica essenziale dei fatti.

Elisa Mulas, 43 anni, aveva interrotto la sua relazione con Nabil Dahir, 38 anni, da un mese circa. Era tornata a vivere con la madre, Simonetta Fontana di 64 anni, insieme ai due figli avuti da lui (Ismaele e Sami di 2 e 5 anni) e alla figlia di 11 anni avuta da una relazione precedente. Lei lavorava come addetta alle pulizie, lui era addetto in un supermercato della zona. Nessun movente economico, c’era invece il rancore di Dahir che non si era rassegnato alla fine del rapporto.

Un delitto efferato

L’uomo si è presentato ieri pomeriggio a casa della suocera in via Manin per vedere i figli e lì la sua furia è esplosa: armato di coltello, ha ucciso tutti, figli, moglie e suocera. Poi ha rivolto l’arma contro di sé.

Alla base di quanto successo, secondo le prime risultanze delle indagini, ci sarebbe una separazione: il rapporto fra i due si era logorato e Nabil sarebbe addirittura arrivato a minacciare la ex compagna di morte, come testimonierebbe una registrazione fatta nei giorni scorsi da Elisa. Per questo motivo la donna, insieme ai due figli, da circa un mese si era trasferita a casa della madre, nell’appartamento dove è avvenuto il massacro. Una casa che l’uomo, comunque, frequentava, per vedere i bambini.

Da Ansa
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Nell’appartamento della mattanza si è salvato solo il bisnonno di 97 anni che era a letto in condizioni di salute precarie. La strage è stata scoperta quando nessuno si è presentato a scuola a prendere l’altra figlia di Elisa Mulas. Lo zio ha accompagnato le forze dell’ordine nella casa di sua madre e si è trovato di fronte all’orrore.

Al momento però sono più i punti interrogativi che le certezze. Non c’è che una scena del crimine di un’efferatezza tale che anche esponenti delle forze dell’ordine di grande esperienza non avevano mai visto. 

Da Ansa

Stalking e violenze

Non mancano aggiornamenti e indiscrezioni che vanno a comporre un quadro di abusi e violenze. Elisa Mulas aveva interrotto il legame affettivo con Nabil Dahir e alcune sue amiche raccontano di minacce di morte ricevute da lei sul telefonino. In più, anche in passato, Elisa era stata vittima di un altro compagno violento.

Secondo quanto riportato oggi dai quotidiani locali, Elisa Mulas in passato era stata minacciata anche da un altro uomo, con cui aveva avuto una relazione e la prima figlia. La donna era stata maltrattata quando era incinta. L’uomo, un marocchino 40enne, venne poi condannato a otto mesi per stalking, poi prescritti. La Corte di appello però ha confermato anni fa la perdita della sua potestà genitoriale. La denuncia risale al 2010, quando lei aveva deciso di lasciarlo dopo essere rimasta incinta.

Da Today
VIOLENCE

Potremmo fermarci qui e fare l’ennesimo triste compito sul femminicidio. Potremmo anche accennare alle origini tunisine dell’assassino, giusto per innescare le reazioni di pancia a fronte di certi stereotipi.

Possiamo, invece, tenere l’obiettivo spalancato sul fatto e poi voltarlo verso di noi. La famiglia è vittima di atrocità da molto tempo, verrebbe da dire – e alcuni lo gridano addirittura – che è una causa persa, che non è altro che un nido di menzogne e panni sporchi.

Se vogliamo ancora difenderla – se vogliamo ancora amarla – con le sue ferite da sanare e il mistero eterno che custodisce, dobbiamo proprio riconoscere che è sede di una battaglia campale.

Il dramma della famiglia, il suo mistero buono

Ieri sera era più o meno l’ora di cena quando ho letto la notizia della strage di Sassuolo. E’ quel momento a fine giornata in cui proprio nelle famiglie tranquille esplode una certa irritazione reciproca. Almeno, da noi capita spesso e io ne sento il peso addosso.

Sono la prima a riconoscere che la sera, piena di stanchezza e ansie accumulate, sono pronta a riversare l’insoddisfazione su chi mi è accanto. In famiglia si porta addosso il peso dei peccati reciproci, delle fatiche, del buio che ognuno ha dentro. Lo ricordava Caffarra:

Cominciamo subito col richiamare la nostra attenzione su una certezza della nostra fede, che forse stiamo troppo dimenticando: esiste nel cuore di ciascuno di noi e nel mondo in cui viviamo una lotta, uno scontro fra il bene e il male.

Il coltello è un’arma che uccide lacerando. Era sulla scena del crimine a Sassuolo e anche a Viterbo. Il male entra nella famiglia squarciando, è un’immagine d’impatto. Ed è significativa, perché separare è l’azione del diavolo.

Anche rispetto a questo potremmo metterci a disquisire e cavillare, partendo dalla constatazione che la famiglia di Sassuolo aveva alle spalle un’altra separazione, che erano solo compagni. E da qui al monologo sui mala tempora, sulla società senza valori, sull’amore ridotto a sentimento precario il passo è breve. Ne sarei tentata, ma svolto su un sentiero che mi mette, davvero, in crisi … nel senso migliore del termine:

Di conseguenza, di fronte ad una società che rischia di essere sempre più spersonalizzata e massificata, e quindi disumana e disumanizzante, con le risultanze negative di tante forme di «evasione» – come sono, ad esempio, l’alcoolismo, la droga e lo stesso terrorismo -, la famiglia possiede e sprigiona ancora oggi energie formidabili capaci di strappare l’uomo dall’anonimato, di mantenerlo cosciente della sua dignità personale, di arricchirlo di profonda umanità e di inserirlo, attivamente con la sua unicità e irripetibilità nel tessuto della società.

Da Familiaris Consortio
Druzina Roblek

E’ vero, i legami – qui e ora – sono sempre più fragili e tenuti insieme spesso solo dalla colla leggera del sentimento. Ma siamo parte di questa trama, coi nostri tradimenti alla buona notizia cristiana eppure sempre con l’intenzione di testimoniarla.

Rileggendo il passo appena citato ho pensato a quanto spesso io riduca la mia famiglia a una faccenda “nostra” (io-mio marito- i miei figli). E invece ogni famiglia è sorella e compagna di ogni altra famiglia che incrocia (o ignora). Siamo drammi che si sfiorano e possono tenersi per mano. Sposandoci, come cristiani, non abbiamo detto sì solo alla nostra famiglia, ma abbiamo scommesso che quel sì contenesse una promessa di bene per tutti. E’ questa certezza lo sfondo con cui guardare e stare accanto a tutte le famiglie che fanno parte della nostra trama di vita. Lungi dall’essere un discorso orgoglioso (una specie di ritornello sul bravo cristiano che educa gli altri), la scrivo come proposta operosa. E ne parlo come chi spesso e volentieri trascura questa premura di guardare gli incontri e le occasioni quotidiane con uno sguardo di accoglienza familiare.

Sposando mio marito non ho detto sì solo a una battaglia da condividere insieme a lui, verso una felicità da sudare in mezzo alle nostre contraddizioni quotidiane. Il nostro sì non è privato, non riguarda solo noi due e i nostri figli. Proprio perché ho messo in mezzo – al centro – Dio, il nostro sì alla famiglia è stato ed è un sì a essere compagni delle altre famiglie e a dire grazie delle famiglie che ci fanno compagnia.

Essere famiglia nella trama delle famiglie che ci stanno accanto. Mi pare che questa sia la sfida che si oppone al coltello. (Tutti -metaforicamente- ne abbiamo uno nel cassetto. E tutti siamo capaci di accoltellarci in modi pessimi e apparentemente puliti, senza una goccia di sangue). Se l’incubo attuale è quello di un isolamento atroce, l’antidoto deve essere davvero opposto. Non può essere una risposta singolare, può essere una voce familiare di cura e custodia reciproca.

Teniamoci d’occhio tra famiglie e vicini di casa e colleghi, come teniamo d’occhio i nostri figli che attraversano un incrocio pericoloso.

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