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Un prete elettrico può dire rosari elettronici?

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Japan Times/Youtube

monaco androide preghiera

Lucandrea Massaro - pubblicato il 22/11/21

Monaci androidi, assistenti personali, app sul cellulare: la preghiera e la spiritualità possono essere aiutate dalla tecnologia o ci sono rischi?

Viviamo in un’epoca in cui le macchine sono sempre più presenti nelle nostre vite, e ancor di più quelle che simulano l’intelligenza umana, o più propriamente parti di esse. Le ricerche su Google, l’uso dei navigatori per auto, o tecnologie come il riconoscimento facciale, sono tutte parti – amplificate – di singoli aspetti della capacità umana di ricordare cose, orientarsi, riconoscere volti e distinguerli l’uno dall’altro. Possiamo anche giocare a scacchi contro le intelligenze artificiali e – almeno nel mio caso – venire battuti facilmente. Stiamo venendo soppiantati dai computer? No, di certo no, sebbene l’automazione possa rappresentare un problema per molti tipi di posti di lavoro, da quelli operai a quelli artigiani fino a quelli intellettuali (perfino il cuoco e il giornalista), starà a noi come società capire dove fermarci, dove porre un limite, mentre strabuzziamo gli occhi di fronte al nostro stesso genio, capace di costruire macchine sempre più capaci di interagire con noi nei più diversi ambiti, compreso quello della religione pare.

Monaci robot e Alexa beghina?

Accese la curiosità di molti quando, due anni fa, al monastero buddhista di Kodaiji, nei pressi di Kyoto, venne presentato Mindar, una statua-robot raffigurante la divinità buddista della pietà: Kannon Bodhisattva.

Il monaco del tempio buddista ne è convinto: l’androide potrà insegnare ai fedeli “la vera essenza del buddismo”. Questo perché, confessa all’intervistatrice, a differenza sua e di qualunque altro monaco al mondo il robot non morirà mai. E grazie all’intelligenza artificiale potrà acquistare una infinita sapienza.

La Luce di Maria

Questo esempio è solo tra gli ultimi in termini di tempo, ma non l’unico, e anche il mondo cattolico non si è sottratto, anzi è stato apripista per molti versi se si pensa ai primi automi medievali, vere memorabilia, per lo più finanziate dalla Chiesa, come ricorda opportunamente un articolo di Lalucedimaria.it:

È famoso ad esempio il Cristo meccanico della Croce di Grazia (Rood of Grace), un crocifisso del XV secolo custodito nell’abbazia di Boxley nel Kent (nel sud-est dell’Inghilterra). Molti pellegrini erano attirati da questo meccanismo che muoveva gli occhi grazie a un ingegnoso congegno di fili e di verghe. Non era un esempio isolato. Chiese e cattedrali ospitavano molti di questi automi (santi, diavoli, angeli meccanici). Erano molto popolari e i missionari gesuiti li portarono in Cina. Anche Filippo II di Spagna, sovrano celebre per il suo fervore religioso e la strenua difesa dell’ortodossia cattolica, si fece costruire un monaco meccanico (l’ipotesi è che fosse un’offerta votiva, cioè che solo a Dio fosse concesso di vederne il meccanismo nascosto che consentiva al corpo di legno dell’automa di baciare un rosario). Tra Quatto e Cinquecento c’era anche un fiorente teatro a sfondo religioso che si serviva di macchine – commissionate di solito agli orologiai – per mettere in scena rappresentazioni ispirate ai racconti biblici.

E oggi? La tecnologia non è mai stato un problema per il cattolicesimo. La stampa ha permesso la diffusione della Bibbia, gli assistenti vocali come Alexa possono essere usati per guidare la preghiera, per ascoltare vite dei santi, per ascoltare la Parola di Dio, specie per chi è solo o anziano. Ma allora il problema dov’è?

Usare il giudizio senza pregiudizio

Risponde a questo Paolo Benanti, docente di teologia morale ed etica delle tecnologie alla Pontificia Università Gregoriana «Se l’orizzonte di esistenza delle persone nel prossimo futuro – in realtà già del nostro presente – è quello di una cooperazione tra intelligenza umana e intelligenza artificiale e tra agenti umani e agenti robotici autonomi diviene urgente cercare di capire in che maniera questa realtà mista, composta da agenti autonomi umani e agenti autonomi robotici, possa coesistere» spiega il teologo.

«Il cuore della questione sulla gestione e lo sviluppo delle intelligenze artificiali – chiosa Benanti – è un ampio spazio di discernimento etico che deve tener conto dell’effetto potenzialmente dirompente di queste tecnologie legato al loro potenziale di innovazione tecnologica» (Agensir, 16 gennaio).

In un articolo dedicato al Project Debater, pubblicato il 15 luglio 2018 su Avvenire, il cibernetico e scrittore italiano Giuseppe O. Longo richiama alla mente il concetto di “vergogna prometeica” formulato dal filosofo tedesco Günther Anders (pseudonimo di Günther Stern) nel libro Die Antiquiertheit des Menschen (“L’uomo è antiquato”), cioè quel “senso di avvilimento e sconforto che l’uomo avverte nei confronti dei dispositivi da lui stesso progettati e costruiti che lo superano su tutti i fronti”.

“Spinti da questo divario sempre più ampio, tentiamo di gareggiare con le macchine, e ne usciamo sconfitti e umiliati: chi avrà più il coraggio, o la voglia, di giocare a scacchi contro un programma come Deep Blue?”, chiede Longo. L’informatico e docente presso l’Università di Trieste ricorda anche il monito lanciato da Norbert Wiener — il “padre” della cibernetica — sul “carattere irreversibile” di certe innovazioni.

Al centro il Bene Comune

Anche il Papa si è posto il tema dell’uso delle IA nello sviluppo dell’economia e della società del futuro, del rischio della disumanizzazione dei rapporti sociali e dell’impoverimento delle persone: “Come sarebbe bello se alla crescita delle innovazioni scientifiche e tecnologiche corrispondesse anche una sempre maggiore equità e inclusione sociale”

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