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Trovare Dio nell’abisso: quando la prigione diventa un luogo di conversione

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STEPHANE DE SAKUTIN / AFP

Raphaëlle Coquebert - pubblicato il 22/11/21

Con l'aiuto dei cappellani, la Luce si fa strada, e lo Spirito Santo trasforma i cuori

P. Éric Venot-Eiffel sa come prendersi cura di chi ha più necessità spirituali. Ha fatto sua l’idea del beato Pierre Claverie: “Siamo più cristiani che mai quando mettiamo la nostra vita in prima linea laddove l’umanità è ferita”.

Il sacerdote è stato, tra le altre cose, volontario con i Piccoli Fratelli di Poveri negli anni degli studi, cappellano in una struttura per cure palliative dal 2001 al 2005 e cappellano di un carcere nella Francia occidentale (2012-2020). Ha scritto soprattutto del suo ministero più recente, difficile ma luminoso, nel suo secondo libro, Derrière les hauts murs (Dietro le alte mura).

Guardare al di là delle azioni

Con una frase del Nuovo Testamento come unico mantra – “Poiché se il nostro cuore ci condanna, Dio è più grande del nostro cuore e conosce ogni cosa” (cfr. 1 Gv 3, 20) -, questo pastore ha trascorso otto anni incontrando i prigionieri per portare loro conforto e scoprire, dietro i crimini che hanno commesso, la traccia della loro dignità di figli di Dio.

Spesso è stato un compito arduo o apparentemente futile, ma la sua fecondità è a volte emersa con vigore, come in questa lettera di un prigioniero che chiama semplicemente “R”:

“Siamo senza morale, privati di tutto, soli nella nostra cella. (…) La domenica mattina, quando arriva la Messa, è una liberazione, un momento di condivisione, una comunione, un piacere di stare insieme (…) Grazie al sacerdote, ho imparato a perdonare. Volere che qualcuno ci perdoni senza che perdoniamo noi stessi era diventato privo di senso per me. Devo questo cambiamento al sacerdote, ai cristiani e ai Vangeli”.

Da questo “universo di sofferenza e oscurità”, p. Eric, che si vede come “effusione di grazia”, condivide delle testimonianze toccanti che provano che è possibile liberarsi dal proprio passato per “rinascere dall’alto”.

Dall’oscurità alla vita

Ad esempio, “P” ha ricordato la prima visita di p. Eric alla sua cella:

“Alla fine, mi ha detto: ‘In nome di Dio, ti perdono per tutto il male che hai commesso’. E io ho pianto. Il sacerdote aveva guarito il mio cuore e la mia anima (…) Mi sono sentito in un mondo nuovo. Dio, in tutta la Sua misericordia (…), mi aveva appena accolto a braccia aperte”.

P. Eric cita anche le parole di “B”, 45 anni, i cui seri problemi psichiatrici lo hanno portato a uccidere la madre dei suoi due figli:

“Mi sono avvicinato alla cappellania cattolica del carcere (…) Sapevamo che venivamo accompagnati da esseri umani guidati da una forza mistica benevola: Dio. (…) Non so ancora chi sono, se non che sono più dei miei peccati. (…) So che Dio può guidarmi”.

È uno splendido tributo a tutti quei cristiani che, guidati da una fede inestinguibile in Dio e nell’umanità, tendono la mano a chi non sembra avere più un volto umano, ma che Dio visita e risolleva.

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