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Confine Polonia-Bielorussia: madre urla disperata in cerca del suo bambino

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CGTN|Lapresse|Youtube

Paola Belletti - pubblicato il 01/12/21

Buio, freddo, filo spinato e urla. Quelle di una mamma che vuole suo figlio e quelle del soldato che risponde: "Vai via, il tuo bambino sta bene".

Il nostro presepe vivo - Erode e le donne di Betlemme.

Un grido è stato udito in Rama,
un pianto e un lamento grande;
Rachele piange i suoi figli
e non vuole essere consolata, perché non sono più.

Matteo, 18

Stavamo ragionando insieme, in redazione, su come avremmo potuto rintracciare nella cronaca, nelle storie, nelle circostanze che ci vengono incontro pezzi di presepe in atto, brani di regno di Dio già iniziato.

Reale, dunque, ma visibile solo da una certa distanza e con un particolare sguardo. L’idea è germinata da un’intuizione di Annalisa Teggi, acrobata del quotidiano abituata a scoprire indizi negli inciampi.

La sua casa è un po’ sottosopra per un trasloco fresco di scatoloni ancora chiusi e lavori tuttora in corso. Non potrà esporlo quest’anno il suo presepe, quello fatto delle solite amate statuine, di muschio fresco, di pecorelle sbeccate per il passaggio di diversi bimbi piccoli; non avrà modo di dilazionare l’arrivo di pastori e magi, di sparpagliare paperelle ai bordi di laghi di stagnola o montoni su crinali coperti di ovatta. Niente di tragico, per carità, ma ad un cuore allenato a svuotarsi per ascoltare la realtà questo fatterello, nella sua molestia minimale, suggerisce che quella scena corale di umani, angeli e bestiole va ricomposta, rintracciata da qualche altra parte, perché occorre contemplarla.

Ecco allora dove possiamo scovare le scene della Natività, dell’annuncio fatto ai pastori, del viaggio e dell’adorazione solenne e umile dei Magi. Ecco dove possiamo sentire il Gloria in excelsis Deo pur non avendo angioletti da metter in fila e far pendere sopra la grotta.

E’ qui nelle cose feriali, nella lampadina che si rompe e nel suo estremo baluginare sembra volerci indicare qualcosa, qualcuno. Nella fatica di pellegrinaggi burocratici, tra uffici e dottori come fossimo sempre da censire anche noi. Nei bimbi da cambiare, nei compiti da finire, nelle chiamate di colleghi o superiori, nei vicini molesti che a volte siamo noi.

Ed è anche là, nelle notizie che ci raggiungono dal mondo, da pagine e schermi, da racconti ben costruiti e persino da urla di sconosciuti.

Ci volete sottrarre il Natale perché il solo nominarlo urterebbe altre fedi, altre sensibilità, altri popoli?

Bene, anzi male, malissimo perché il Natale è anche da proclamare a voce, da raccontare, da annunciare. Perché è fare memoria di ciò che è avvenuto, ma soprattutto di ciò che è tuttora in atto, nuovo e definitivo universo di bellezza in espansione.

Ma anche bene, dunque, perché il regno di Dio è già tra di noi e lo è in modo inarrestabile. Questo deve rassicurare noi cristiani e anche chi ora di Gesù e del suo Natale non vuole sentire parlare, perché è solo di questa notizia che tutti noi abbiamobisogno, persino quelli che vogliono sradicarla.

Cristo è nato, la bomba è esplosa e le sue schegge si sono conficcate nella storia del mondo, fino alla mia, a quella di chi mi ha preceduto, a quella delle mie figlie che pure vivono di K-Pop e scelgono libri su TikTok.

Cristo è venuto come il Salvatore e questo continua a fare: salva.

Allora perché non ha salvato dal freddo i bambini nei boschi gelidi al confine tra Polonia e Bielorussia? Perché non ha teso mani o allungato ali di angeli custodi agli altri che sono affogati nella Manica pochi giorni fa?

Il Natale è questo sbocciare di vita nuova dentro questa vita che in attesa del disgelo definitivo resta con tutte le sue possibilità di orrore, crudeltà, feroci ingiustizie. Ce ne sono a iosa, se ne viene come sommersi.

Proprio oggi mi sono imbattuta in un video, brevissimo e interminabile insieme, a motivo del dolore che scava in chi lo vede: lungo, scuro e stretto con un pozzo artesiano.

E’ notte, siamo al confine tra la Polonia e la Bielorussia, poche luci di torce o mezzi nei dintorni degli accampamenti dei migranti e dei presidi militari che li controllano. Le riprese sono mosse, da reportage di guerra. C’è una mamma che urla e urla, il suono sale dal fondo di lei, piange e chiama:

Baby! Baby!

E un militare polacco la respinge urlando a sua volta:

Go away, go away!

Continua per qualche manciata di secondi ancora lo scambio di grida tra i soldati e la donna che si aggira nei pressi del filo spinato; ha un giaccone rosso addosso, o uno scialle, non si capisce bene, e continua a chiamare disperata il suo bambino.

Che dica solo “Baby” fa pensare: ha un nome, di sicuro, ma è soprattutto il bambino, il suo bambino; e vuole che i soldati capiscano.

Baby, baby!

Forse interviene una seconda voce maschile, sempre urlata:

Il suo bambino sta bene, ok? Vada via. Ha capito?

Ma dov’è questo bimbo, perché non è con sua madre? Perché dovrebbe stare bene strappato alle sue braccia?

Provate a guardare e ad ascoltare. Alle urla seguiranno spari o comunque rumori di scoppi. Colpi, fumo, urla, buio.

Il Belarusian State Border Comittee (Comitato per i confini di Stato della Repubblica di Bielorussia Ndr) ha rilasciato un video nel quale si sente una donna, che indossa una giacca rossa, urlare disperata nel buio al confine tra Polonia e Bielorussia ‘Baby, baby’, piangendo disperata per il suo bambino. Quella che sembra essere una guardia di frontiera polacca risponde, urlando, in modo molto duro: “Il suo bambino sta bene, vada via”. Nel video si vedono poi diversi migranti davanti al filo spinato e si sentono poi dei colpi, che sembrano spari, ma non è stato possibile verificare quanto accaduto. La zona è quasi completamente interdetta ai media internazionali. Secondo il Comitato bielorusso, si tratta di 350 migranti respinti verso la Bielorussia.

Corriere della Sera, da Lapresse

Sant’Ignazio ci insegna ad entrare nelle scene del Vangelo e a trovarvi posto. Allora forse possiamo tentare il movimento opposto questa volta. Possiamo riconoscere senza retorica o forzosi simbolismi che il dolore di questa donna è lo stesso che è uscito dalle gole delle madri di Betlemme, disperate, straziate per i figli che i soldati strappavano via da loro per ordine del re Erode.

Ora, di questo bambino non sappiamo nulla, se non ciò che dice il soldato polacco e che ci auguriamo sia vero: sta bene. Significherà che è in salute fisica e al sicuro, al caldo, nutrito.

Ma è senza la sua mamma. Non starà bene affatto.

Questi e altri innumerevoli orrori si assommano di continuo nella lista delle ingiustizie che ci vogliono far disperare della vita, della sua promessa di bene, della felicità che ci chiama tutti, della pienezza che sentiamo di essere destinati a possedere.

Ma c’è il mistero del Natale e noi non lo taceremo.

E in quello è già nascosto intero il mistero della Pasqua: dolore, abbandono e morte sono gradini, l’uscita è vicina, l’eterno ci viene incontro.

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