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Il giorno in cui Charlton Heston interpretò Dio

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CBS Photo Archive | Paramount Pictures

Vidal Arranz - pubblicato il 10/12/21

La riedizione ad alta definizione de I Dieci Comandamenti, di Cecil B. DeMille, permette di godersi nuovamente questo classico religioso

È molto probabile che un buon numero di lettori sappia che Charlton Heston è stato l’attore che ha interpretato Mosè nel celebre film I Dieci Comandamenti, di Cecil B. DeMille, ma molti meno sapranno che l’attore ha interpretato anche Dio. O almeno la sua voce, perché è sua (anche se distorta) la voce della famosa scena del roveto ardente.

Questo “sdoppiamento” di Heston non era inizialmente previsto, e fu un’idea dello stesso attore. “Sa, signor DeMille, credo che se si sente la voce di Dio si senta dentro di sé. Mi piacerebbe molto interpretare la voce di Dio nella scena del roveto ardente”, disse l’attore, suggerendo che la voce che Mosè ascoltava doveva essere simile alla sua.

Il luogo non poteva essere più propizio alla riflessione, perché sia regista che attore protagonista si trovavano nel monastero di Santa Caterina, ai piedi del Monte Sinai, un tempio costruito nel luogo in cui si crede si sia verificato l’incontro tra Dio e Mosè. Il monastero è anche uno dei più antichi del mondo ad essere ancora abitati.

Entrambi vi si erano recati per conoscere l’ambiente in cui sarebbe stata girata la mitica scena, e anche se il proposito del viaggio era puramente cinematografico – preparare il film –, lo stesso DeMille riconobbe in seguito che il soggiorno sul monte sacro era stato “il punto culminante di una grande esperienza spirituale”.

Voce uguale ma distinta

Nonostante il contesto propizio, inizialmente il regista rifiutò la proposta. In qualche modo, pensava che Heston peccasse di eccesso di ambizione, nonché di egolatria. “Ti sembra poco interpretare Mosè?”, gli chiese.

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L’abate del monastero, che li accompagnava in quel momento, intervenne però a favore dell’idea. Alla fine i desideri dell’attore vennero esauditi, e secondo la sua testimonianza fu Heston a dare la voce a Dio, anche se questa venne trattata di modo che sembrasse diversa, com’è anche logico.

Almeno è quello che si racconta nel documentario che accompagnava la riedizione del classico nel suo 50° anniversario.

I Dieci Comandamenti è stata l’ultima pellicola di Cecil B. DeMille, un regista di grande successo, e con vari film religiosi all’attivo.

Nel 1923, lui stesso aveva girato una prima versione della stessa storia biblica e con lo stesso titolo, ma ha voluto chiudere la sua carriera con una rielaborazione ancor più grandiosa e spettacolare.

E ci è riuscito. Con le sue circa quattro ore di durata, era, al momento dell’uscita nel 1956, la pellicola più lunga, lussuosa e ambiziosa della storia. 

Un film grandioso

È stato il culmine della carriera del regista, e anche sua opera di maggior successo, anche se non è stato il lavoro più valorizzato dalla critica. Un successo che continua a suscitare l’interesse del pubblico, come dimostrano le ricorrenti riedizioni della pellicola. L’ultima, in occasione del suo 65° anniversario, commercializzata in formato steelbook.

La leggenda racconta che la scelta del protagonista è avvenuta a Roma, dove DeMille e altri membri dell’équipe si erano recati per ammirare il Mosè di Michelangelo, attualmente nella chiesa di San Pietro in Vincoli.

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Qualcuno disse al regista che la figura ricordava quella di Charlton Heston, e da quel momento fu ossessionato dal fatto di averlo come protagonista. “Grazie a Dio!”, ricorda l’attore, che riconosce il suo ruolo ne I Dieci Comandamenti come uno dei più importanti della sua lunga carriera.

“Sapevo che me la stavo giocando”, ammette Heston. Per questo, dedicò molte ore allo studio storico del personaggio e dell’epoca, atteggiamento coerente con quello di DeMille, che cercò di fare attenzione alla verosimiglianza storica (anche nel modo di dipingersi le unghie delle giovani dell’epoca, come racconta una delle attrici secondarie in un documentario sulla pellicola).

“Se interpreti un personaggio storico, cosa che credo di aver fatto più di qualsiasi altro attore, devi dedicare del tempo allo studio”, ha riconosciuto Charlton Heston, anche se alla fine è la forza interpretativa a prevalere.

Un altro aneddoto: Mosè bambino

Un altro aneddoto illustra la meticolosità di DeMille e della sua estrema capacità organizzativa. Quando il regista stava preparando le riprese, scoprì che la moglie di Heston era incinta.

DeMille realizzò un rapido calcolo mentale, e giunse alla conclusione che il bambino avrebbe avuto tre mesi al momento di girare la scena della nascita di Mosè, e annunciò: “Se sarà maschio, il ruolo è suo”. Nacque un maschietto, e il figlio dell’attore interpretò Mosè bambino.

Abbiamo già detto che la pellicola è stata la più spettacolare della sua epoca, e alcuni dati contribuiscono a visualizzarne la complessità. Quello principale è costituito dai cinque anni che ci vollero perché il progetto diventasse realtà. Nella fase di produzione vennero realizzati 1.200 disegni preparatori, ricreando le scene; la sceneggiatura aveva 308 pagine, con 70 personaggi diversi con testo proprio; per girare le scene di massa vennero usate più di 20.000 comparse (persone reali, non cloni digitali), che si dovettero prendere dai villaggi della zona, perché DeMille voleva che il suo affresco sociale avesse vitalità e autenticità.

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Il cast prevedeva oltre a Charlton Heston grandi nomi di stelle del cinema: Yul Brynner (Ramesse II), Anne Baxter (Nefertari), Edward G. Robinson (Dathan), Yvonne de Carlo (Sefora) e Debra Piaget (Lilia), ma nel film figuravano anche Vincent Price e John Carradine, tra gli altri.

Confidare nel talento altrui

Un aneddoto relativo a uno degli attori secondari è significativo per comprendere la personalità di DeMille. Edward G. Robinson era all’epoca nella “lista nera” della censura di Hollywood, ma DeMille lo ingaggiò lo stesso per il ruolo di Dathan.

Nelle sue memorie, Robinson ringraziò per il gesto e ne riconobbe l’importanza per evitare che la sua carriera affondasse in quei momenti difficili.

DeMille, però, era nervoso. Non per la censura, ma perché non capiva come stava interpretando il suo personaggio, come ricorda la nipote Cecilia DeMille. Lei gli chiese perché non diceva qualcosa, ma il regista rifiutò: “Pensava che fosse un attore di grande talento e che bisognava aver fiducia in lui”, ricorda. Quando vide l’interpretazione completa, era euforico perché alla fine aveva capito cos’avesse fatto Robinson. 

L’aneddoto rivela bene il rapporto del direttore con i suoi interpreti. Capiva che il suo compito era sceglierli bene, e il resto spettava poi al talento di ciascuno. “Usava i suoi attori come se stesse dipingendo un quadro”, ha affermato una collaboratrice.

I Dieci Comandamenti inizia con delle immagini del regista che presenta il film al pubblico, a sottolineare il carattere eccezionale di quello che si stava per vedere.

Lettura politica

Questo fatto serviva anche al regista per collocare velatamente la sua pellicola nel contesto della guerra fredda con l’Unione Sovietica, che al momento dell’uscita era al suo apogeo.

DeMille presentava così il suo film come la storia dell’inventore della libertà, il che presupponeva un’evidente rilettura politica del racconto biblico.

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Anche se la pellicola predicava ai quattro venti la sua volontà di essere scrupolosamente fedele alla storia e all’epoca, gli esperti hanno individuato varie licenze ne I Dieci Comandamenti. Ad esempio, gli sceneggiatori identificano i faraoni dell’episodio biblico come Ramesse I, Seti I e Ramesse II, il che non è chiaro.

La Bibbia non dice nemmeno che Mosè era un pretendente al trono d’Egitto, anche se apparentemente qualche testo apocrifo lo dice. DeMille, infine, inventa una storia d’amore con Nefertari estranea alla Bibbia.

Sembra evidente che DeMille, che aveva una grande dominio della tensione drammatica delle storie, non abbia esitato ad aggiustare il testo biblico alle necessità di una superproduzione che non poteva permettersi in alcun modo di annoiare il pubblico.

I Dieci Comandamenti non lo ha certo fatto, diventando il maggior successo al botteghino della carriere dal regista statunitense, che continua a figurare come un film di riferimento del cinema religioso.

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