Nell'Africa subsahariana e in America Latina, ci sono ampie fasce di popolazione che non hanno ricevuto neanche la prima dose di vaccino anti-Covid
Solo un paio di settimane fa, Papa Francesco è tornato a insistere, come ha già fatto molte volte da quando è scoppiata la pandemia, sulla necessità imperiosa di condividere in modo solidale i vaccini contro il Covid-19 con i Paesi più poveri e di assistere la popolazione più vulnerabile del pianeta contro il coronavirus.
Mentre nei Paesi ricchi si sta procedendo alla somministrazione della terza dose, nell’Africa subsahariana e in America Latina ci sono ampie fasce di popolazione che non hanno ricevuto neanche la prima.
Con il vaccino basato sulle proteine (simile a quelli contro influenza, tetano e pertosse) si potranno affrontare le ondate successive di Covid-19 nei Paesi con scarse risorse e sistemi sanitari precari.
Un elemento di grande rilievo è che chi si oppone ai vaccini a mRNA (come quelli Pfizer o Moderna) e quelli basati sui vettori (come Astrazeneca e Johnson&Johnson) potrà stare sicuro con questo tipo di vaccini, applicati con successo da decenni.

Sia nell’Unione Europea che in Paesi come l’Indonesia, è stato già approvato l’uso d’emergenza del primo vaccino diponibile sul mercato basato sulle proteine, quello del laboratorio statunitense Novavax.
Le prove realizzate nell’estate 2021 sia negli Stati Uniti che in Messico hanno fornito risultati positivi, visto che il vaccino assicura un livello di protezione del 90%, il che lo pone al livello di quelli approvati dall’Organizzazione Mondiale della Sanità.
Case farmaceutiche di varie parti del mondo, Nazioni superpopolate come India e Cina e imprese canadesi, sudcoreane, britanniche e francesi sono nell’ultima fase dello sviluppo di questo tipo di vaccini.
Si spera che Stati Uniti, Regno Unito, Canada e Australia approvino presto l’utilizzo del vaccino in questione, e che le produzioni eccedenti possano arrivare rapidamente sia alla loro popolazione non vaccinata che ai Paesi del Sud del mondo.