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Che cosa significa veramente la formula “Habemus Papam”?

Election du pape François

Sputnik via AFP

Papa Francesco al balcone della basilica di San Pietro in Vaticano la sera della sua elezione, il 13 marzo 2013. Accanto a lui, diversi cardinali tra cui mons. Jean-Louis Tauran, che ha pronunciato la celebre formula “habemus Papam”.

Bérengère Dommaigné - pubblicato il 04/01/22

Tutti conoscono la celebre formula “Habemus Papam”, ma chi conosce esattamente il suo significato e la sua storia? Aleteia vi propone una breve lezione, a base di latino e di… tradizione.

Annuntio vobis gaudium magnum :
habemus papam.
Eminentissimum ac reverendissimum dominum,
dominum [nome/i dell’eletto],
Sanctæ Romanæ Ecclesiæ cardinalem [cognome dell’eletto],
qui sibi nomen imposuit [nome elettivo dell’eletto]. 

Il che equivale, in italiano, a questo: 

Vi annuncio una grande gioia:
abbiamo un Papa.
[È] l’eminentissimo e reverendissimo monsignore
il signor [nome/i dell’eletto],
cardinale [cognome dell’eletto] di Santa Romana Chiesa,
il quale si è imposto il nome di [nome elettivo dell’eletto].

Ecco il testo letto sulla balconata del celebre loggione centrale della facciata di San Pietro in Vaticano davanti alle telecamere di tutto il mondo, dopo l’arcinota fumata bianca dal comignolo della Cappella Sistina. 

Prima però che questa formula ufficiale venga pronunciata, ne accadono di cose all’interno della Sistina… L’elezione di un nuovo Papa segue regole precise, codificate nel Diritto Canonico. Promananti da una lunga tradizione, queste regole sono state scritte e modificate piuttosto recentemente, da papa san Giovanni Paolo II nel 1996, poi modificate da Benedetto XVI il 22 febbraio 2013, appena undici giorni dopo l’annuncio delle sue dimissioni. 

Era dunque il 22 febbraio 1996, quando Giovanni Paolo II promulgava la Costituzione Apostolica Universi dominici gregis sulla vacanza della Sede Apostolica e l’elezione del Romano Pontefice. Fino a quel punto, nel corso dei secoli, 

i Romani Pontefici hanno considerato loro dovere peculiare, nonché loro diritto specifico, organizzare l’elezione regolare del loro Successore mediante norme appropriate. 

La tradizione del conclave risale ad esempio a Gregorio X. Nel 1271 quest’ultimo fu eletto, al termine di quasi tre anni di vacanza della Sede, quando le autorità e il popolo di Viterbo avevano rinchiuso i cardinali in una sala sprovvista di tetto, minacciando di tagliar loro anche i viveri se non si fossero dati una mossa con l’elezione. Per evitare che la cosa si ripetesse, la bolla pontificia Ubi periculum, del 7 luglio 1274, fa della reclusione un principio, aggiungendo inoltre che in capo a cinque giorni di conclave i cardinali sarebbero stati ridotti a un redino di di pane, vino e acqua, e che avrebbero dovuto vivere in comune in quello spazio, senza separazioni. Espedienti per motivarli a decidersi, pur preservandoli da pressioni esterne. 

La maggioranza dei due terzi 

Il testo promulgato nel 1996 riprese largamente la pratica anteriore, e sarebbe stato modificato ancora due volte: nel testo di Giovanni Paolo II è in effetti possibile derogare alla regola della maggioranza dei due terzi in caso di difficoltà. Benedetto XVI, nel suo motu proprio dell’11 giugno 2007, annullò questa disposizione e ristabilì 

la norma confermata dalla tradizione, secondo la quale il Romano Pontefice non venga ritenuto validamente eletto se non avendo ottenuto due terzi dei suffragi dei cardinali elettori presenti. 

Il secondo motu proprio, datato 22 febbraio 2013, modificò una quindicina di articoli della Costituzione Apostolica, in particolare quello di anticipare di qualche giorno l’ingresso in conclave, normalmente previsto 15 giorni dopo l’inizio della vacanza della Sede Apostolica. E così, per Benedetto XVI, che rinunciò alla sua carica il 28 febbraio, il conclave è cominciato il 12 marzo. 

Lungi dall’immagine talvolta datane, di uno scrutinio caotico, nel segreto della Cappella Sistina, i testi sono invece precisissimi, diremmo anche millimetrici: 

Ciascun Cardinale elettore, in ordine di precedenza, dopo aver scritto e piegato la scheda, tenendola sollevata in modo che sia visibile, la porta all’altare, presso il quale stanno gli Scrutatori e sul quale è posto un recipiente coperto da un piatto per raccogliere le schede. Giunto colà, il Cardinale elettore pronuncia ad alta voce la seguente formula di giuramento:

«Chiamo a testimone Cristo Signore, il quale mi giudicherà, che il mio voto è dato a colui che, secondo Dio, ritengo debba essere eletto».

Depone, quindi, la scheda nel piatto e con questo la introduce nel recipiente. Eseguito ciò, fa inchino all’altare e torna al suo posto.

Una volta che si siano raccolti i due terzi dei voti, il cardinale decano domanda il consenso dell’eletto: «Accetti la tua elezione canonica a Romano Pontefice?». In caso di risposta positiva, egli prosegue: «Con quale nome vuoi essere chiamato?». Segue la redazione del verbale dell’accettazione del nuovo pontefice e del nome che ha preso. E il Papa è fatto. Il nº 88 della Costituzione dispone infatti: 

Dopo l’accettazione, l’eletto che abbia già ricevuto l’ordinazione episcopale, è immediatamente Vescovo della Chiesa Romana, vero Papa e Capo del Collegio Episcopale; lo stesso acquista di fatto la piena e suprema potestà sulla Chiesa universale, e può esercitarla.

Se, invece, l’eletto è privo del carattere episcopale, sia subito ordinato Vescovo.

Il nuovo papa va quindi a cambiarsi e a pregare in disparte (la stanza dove si ritira di solito è detta “delle lacrime” perché pare che le emozioni in quel momento possano essere assai forti), poi il primo dei cardinali-diaconi arriva sul balcone per annunciare Urbi et Orbi (cioè alla Città e al mondo) che l’elezione è compiuta, e per svelare l’identità e il nome del nuovo pontefice: «Annuntio vobis gaudium magnum: habemus Papam!». 

Formula lunga o breve 

Negli ultimi due Habemus Papam pronunciati, la forma è variata in fatto di testo e di durata. E così il 19 aprile 2005 l’habemus papam pronunciato dal cardinal Jorge Medina Estévez, subito dopo l’elezione di papa Benedetto XVI, fu molto solenne. L’annuncio è stato preceduto da una formula di salutazione in cinque lingue: 

Fratelli e sorelle carissimi [italiano]; Queridísimos hermanos y hermanas [spagnolo]; Bien chers frères et sœurs [francese]; Liebe Brüder und Schwestern [tedesco]; Dear brothers and sisters [inglese].

Poi il protodiacono ha fatto durare la suspense accentuando lunghe pause tra le due frasi, e una breve pausa prima dell’annuncio del nome, quindi del cognome dell’eletto. Nel complesso il cardinale ha parlato per più di due minuti. 

L’Habemus Papam del 13 marzo 2013, in seguito all’elezione di papa Francesco, è stato molto più breve. Niente saluti in più lingue, ma un rapido annuncio da parte del cardinale protodiacono Jean-Louis Tauran, il quale non avrebbe frapposto lunghe pause tra le frasi e i sintagmi che portavano all’annuncio dell’identità del «dominum cardinalem Bergoglio»: 32 secondi in tutto, per annunciare il 266º presule sulla cattedra di Pietro. 

In caso di conclave oggi, toccherebbe al cardinale Giuseppe Bertello, attuale presidente del Governatorato dello Stato della Città del Vaticano annunciare il nome del prossimo Papa. A 78 anni, l’alto prelato è il più anziano dei cardinali-diaconi elettori (ossia sotto la soglia degli 80 anni). 

[traduzione dal francese a cura di Giovanni Marcotullio]

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