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I Padri della Chiesa e Pascal illustrano il “miracolo termodinamico”

Watchmen Les gardiens

WARNER BROS / PARAMOUNT PICTURES / COLLECTION CHRISTOPHEL VIA AFP

Giovanni Marcotullio - pubblicato il 07/01/22

Dentro, attorno e sopra di noi, tutto è una serie di fenomeni che invocano una risposta da parte dell’uomo: Agostino lo ha descritto con parole molto simili a quelle che Alan Moore ha posto sulle labbra del suo Dr. Manhattan; il Crisostomo e Prudenzio hanno descritto il viaggio interiore dei Magi verso l’Epifania del Mistero; Pascal ci ricorda l’inquietante condizione della libertà ferita dell’uomo.

Mi è difficile trovare punti di contatto tra la fantascienza e la teologia, in genere (questione di attitudini personali, tutto qua), e la difficoltà cresce ancora se cerco affinità tra la letteratura a fumetti e quella patristica (che pure amo entrambe). A compiere questo piccolo prodigio bibliografico, tuttavia, può bastare talvolta il disordine di una scrivania (quella del sottoscritto), sulla quale capita che si trovino abbracciati nel gesto di un mutuo segnapagina un volume di Watchman (storico fumetto di Alan Moore e Dave Gibbons) e uno de L’Ora di Lettura commentata dai Padri della Chiesa (l’impagabile antologia curata dalle EDB a complemento della Liturgia delle Ore). 

Era il 1986 quando usciva il nono albo della serie Watchman, dal metafisico titolo “Nelle tenebre del puro essere”: tra i dodici albi, questo è uno di quelli più intensamente dedicati all’inquietante personaggio del Dr. Manhattan, un superuomo così super-uomo da essere definito divino in senso stretto («Dio esiste ed è americano», si legge in una tavola). 

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L’ora di lettura commentata dai Padri della Chiesa. Tempo di avvento, tempo di Natale (Vol. 1) Copertina flessibile – 1 gennaio 2003

Il Dr. Manhattan e il “miracolo termodinamico”

Come altri supereroi, anche lui nasce negli anni ’60 dall’esposizione a tecnologie atomiche in fase di sviluppo allo scopo di sostenere la contrapposizione tra i blocchi della Guerra Fredda, ma il punto che ci riguarda qui è un altro: a differenza di Hulk o di altri, il Dr. Manhattan è stato completamente disintegrato in un incidente nucleare e – senza che se ne comprenda bene la ragione ultima – la sua anima (anche se il fumetto preferisce parlare di coscienza) è riuscita a ristrutturarne tutto l’organismo, guadagnando in ciò una sovranità sul proprio essere che eccede di gran lunga la dimensione organica o anche solo l’identità personale: il fu Dr. Osterman accede a una specie di “coscienza quantisticamente aumentata”, per la quale i suoi pensieri sono continuamente presi dalla visione dell’essere, fin nelle sue particelle subatomiche, e del tempo, a partire da una Relatività che rende il Dr. Manhattan com-presente a ogni istante della storia. 

Ciò implica, a mo’ di corollario, che il Superuomo abbia acquisito una generale prescienza dei futuri, derivata dal fatto di essere già presente in ogni futuro: egli non si serve però di questa condizione per alterare lo scorrere del tempo (del resto se lo facesse si innescherebbe un paradosso cortocircuitante, specie per chi conosca i futuri ma non i futuribili – ma questa è un’altra storia), e questo un po’ per “scelta etica”, diciamo così… e un po’ per la “distrazione” di chi è troppo preso dall’osservazione delle interazioni tra quark e gluoni per ricordarsi che la sua amata non può respirare autonomamente su Marte. «Tu capisci tutto – gli rimproverano infatti entrambe le donne della sua vita – tranne le persone». 

La condizione del Dr. Manhatan ricorda per diversi aspetti quella di Gesù, salvo che in Cristo la “coscienza espansa” non va a porsi su un semplice uomo, bensì sul Verbo eterno di Dio incarnato, e dunque quando Cristo resti assorto a considerare la precisione delle interazioni fra quark e gluoni (per riprendere l’esempio di prima) la sua coscienza non si alienerebbe dalla vita, non vagherebbe in un essere-altro-da-sé, poiché quell’ordine cosmico sarebbe fin da principio un riflesso cosciente della propria volontà divina. Ma questo (pure insieme con molto altro) sarebbe ancora il meno: il tratto saliente della coscienza di Cristo, infatti, già da prima dell’unzione pasquale, è la sua figliolanza, mentre il Dr. Manhattan dichiara apertamente “Io non credo in Dio, e se Dio esiste non sono io”. Questo Superuomo non potrebbe dire nulla di più distante dai pensieri di Cristo, ed ecco la ragione fondamentale per cui nessuno ha mai rimproverato a Gesù di non capire le persone. Anzi, di lui il quarto evangelista scrive: «Conosceva tutti e non aveva bisogno che qualcuno gli desse testimonianza su un altro, egli infatti sapeva quello che c’è in ogni uomo» (Gv 2,24-25). 

Questo il segno della radicale differenza tra i due: il Dr. Manhattan è in grado di contemplare tutti gli ingranaggi, dai minimi ai massimi, dell’orologio cosmico, ma nega esplicitamente di avere visto un Orologiaio; Cristo invece conosce tutti e singoli quegli stessi ingranaggi, essendo il Figlio dell’Orologiaio e Orologiaio Egli stesso. Ma perché questa premessa? 

Perché se anche nella coscienza di Cristo, prima della Pasqua, permase lo spazio di nescienza necessario a un genuino e umano stupore, nel Dr. Manhattan (che comunque si analoga al Cristo pasquale, non a quello pre-pasquale) permane un’ignoranza fondamentale sul senso dell’essere che lo rende inabile a esprimere un giudizio morale, oltre che a strutturare un orientamento etico. Su Marte Jon (come il Dr. Manhattan si fa chiamare in amicizia) produce acqua e latte per la ex compagna Laurie, ma per uno che assembla e disseziona gli atomi questo è poco più di un gioco di prestigio… a distogliere il “figlio orfano di Dio” dal suo cinismo quantistico è invece la considerazione di un miracolo – quello che egli stesso chiama, spiegandolo, “miracolo termodinamico”. Lo si descrive in due delle pagine più intense dell’albo e della raccolta: 

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Alan Moore, Dave Gibbons, The Darkness of Mere Being, Watchmen IX, 26-27 

Laurie? Stai bene? 

Certo che no! Quel bastardo di Blake e mia m-madre… mi hanno preso in giro!
Tutta la mia vita è stata uno scherzo. Stupido, senza senso e… oh, merda… 

Per me la tua vita non è senza senso. 

Sì, proprio. Dici così solo perché non sei mai d’accordo con nessuna delle stupidaggini in cui credo io e… ah… non lo è? 

No. 

Ma… proprio ora dicevi che la vita non ha senso. Come…? 

Ho cambiato idea. 

Ma… perché

Per i miracoli termodinamici. Eventi talmente improbabili da essere praticamente impossibili, come la trasmutazione spontanea dell’ossigeno in oro. Quanto vorrei osservarla!
Ma in ogni accoppiamento tra esseri umani mille milioni di spermatozoi competono per un ovulo. Moltiplica queste probabilità per innumerevoli generazioni, considerando le probabilità che i tuoi antenati siano vissuti, si siano incontrati, abbiano generato precisamente questo figlio o quella figlia…
Fino a quando tua madre non ama un uomo che ha ogni motivo per odiare e da quell’unione, dalle migliaia di bambini [sic!] che competono per la fecondazione, nasci tu e tu soltanto.
Distillare una forma tanto specifica dal caos dell’improbabilità è come tramutare l’aria in oro. È questa l’improbabilità suprema. Il miracolo termodinamico

Ma… se la mia nascita, se già quella è un miracolo termodinamico… allora si può dire lo stesso di tutti al mondo

Sì. Tutti al mondo.
Ma il mondo è talmente gremito di persone che questi miracoli diventano ordinari e noi li dimentichiamo. Io li dimentico. Guardiamo il mondo ininterrottamente e nella nostra percezione quello appare monotono. Ma da un altro punto di vista, più nuovo, toglie ancora il fiato. 

Alan Moore, Dave Gibbons, Nelle tenebre del puro essere, Watchmen IX, 26-27 

Se uno guarda la sequenza cinematografica che traspone le due pagine si capisce perché Moore abbia diffidato i produttori dal mettere il suo nome sulla sceneggiatura… ad ogni modo il senso permane grossomodo riconoscibile. 

Watchmen è un fumetto scritto, disegnato e colorato con felicissima sintesi di genî artistici disparati, e anche il fatto che si narrino storie tanto articolate e profonde è un prodigio, che forse potremmo chiamare “miracolo psicodinamico”. Esso ridonda, fra l’altro, di allusioni e citazioni scritturistiche, ma non per questo è dato di sapere se Moore veda nell’universo più senso di quanto ve ne scorga il suo Dr. Manhattan: di certo sarà meno in grado di lui di materializzare una bottiglia d’acqua su un pianeta extraterrestre, nonché di convertirne il contenuto in un altro liquido. Commentando il più celebre dei miracoli di questa schiatta, un uomo di per sé non più abile di Moore nel trasformare l’acqua in latte faceva da un pulpito un discorso che assomigliava molto a quello di Jon a Laurie.

Agostino e i “miracoli quotidiani” che non guardiamo più

Era probabilmente il 31 marzo del 407, quando l’ormai 53enne vescovo di Ippona, Agostino, parlò al suo popolo appunto dei “miracoli termodinamici”. Gli diede lo spunto la seconda pagina del Vangelo secondo Giovanni, che ha trasmesso alla storia il ricordo delle Nozze di Cana: 

Il miracolo con cui nostro Signore Gesù Cristo cambiò l’acqua in vino, non sorprende se si considera che fu Dio a compierlo. Infatti, chi in quel banchetto di nozze fece comparire il vino in quelle sei anfore che aveva fatto riempire di acqua (Gv 2, 6-11), è quello stesso che ogni anno fa ciò nelle viti. Quel che i servi avevano versato nelle anfore, fu cambiato in vino per opera del Signore, come per opera del medesimo Signore si cambia in vino ciò che cade dalle nubi. Se questo non ci meraviglia, è perché avviene regolarmente ogni anno: la regolarità con cui avviene impedisce la meraviglia. Eppure questo fatto meriterebbemaggior considerazione di quanto avvenne dentro le anfore piene d’acqua. Come è possibile, infatti, osservare le risorse che Dio dispiega nel reggere e governare questo mondo, senza rimanere ammirati e come sopraffatti da tanti prodigi? Che meraviglia, ad esempio, e quale sgomento prova chi considera la potenza anche d’un granello di un qualsiasi seme! Ma siccome gli uomini, ad altro intenti, trascurano di considerare le opere di Dio, e trarne argomento di lode quotidiana per il Creatore, Dio si è come riservato di compiere alcune cose insolite, per scuotere gli uomini dal loro torpore e richiamarli al suo culto con nuove meraviglie. Risuscita un morto, e tutti rimangono meravigliati; eppure ogni giorno ne nascono tanti, e nessuno ci bada. Ma se consideriamo più attentamente, è un miracolo più grande creare ciò che non era, che risuscitare ciò che era. Ed è il medesimo Dio, Padre del Signore nostro Gesù Cristo, che compie tutte queste cose per mezzo del suo Verbo, e lui che le ha create, le regge. I primi miracoli li ha fatti per mezzo del suo Verbo, che è presso di lui e Dio egli stesso; gli altri per mezzo del suo Verbo incarnato e fatto uomo per noi. Come ammiriamo le cose fatte per mezzo di Gesù uomo, così dobbiamo ammirare quelle fatte per mezzo di Gesù Dio. Per mezzo di lui sono stati fatti il cielo e la terra, il mare, ogni ornamento del cielo, l’ubertà della terra, la fecondità del mare: tutte queste cose che ci circondano sono state fatte per mezzo di Gesù Dio. Noi contempliamo queste cose, e se in noi c’è il suo Spirito, ci piacciono e c’invitano a lodare l’artefice; eviteremo così di volgerci a queste opere allontanandoci dal loro artefice o di rivolgere, per così dire, il volto a queste creature voltando le spalle al loro creatore.

Queste sono le cose che vediamo e che tocchiamo con mano; ma che dire di quelle che non vediamo, come sono gli Angeli, le Potestà, le Virtù, le Dominazioni, ogni abitante di quella dimora sopraceleste, che non ci è dato di vedere? Sebbene anche gli angeli, all’occorrenza, siano apparsi agli uomini. Non è Dio che, sempre per mezzo del suo Verbo, cioè del suo Figlio Unigenito nostro Signore Gesù Cristo, ha creato tutti questi esseri? La stessa anima umana, che non si vede e che mediante le sue manifestazioni nella carne riempie di ammirazione chi ben la consideri, da chi è stata fatta se non da Dio? e per mezzo di chi è stata fatta, se non per mezzo del Figlio di Dio? Né parlo soltanto dell’anima dell’uomo: guardate l’anima di un qualsiasi animale, come regge il suo corpo! Rende attivi tutti i sensi: gli occhi per vedere, le orecchie per udire, le narici per fiutare, il gusto per discernere i sapori, le membra stesse, infine, per compiere le loro funzioni. Forse che tutto questo lo compie il corpo, e non invece l’anima che abita nel corpo? Non si vede con gli occhi, e tuttavia la sua attività suscita ammirazione. Si rivolga ora in particolare l’attenzione all’anima dell’uomo, cui Dio ha accordato la capacità di conoscere il suo Creatore, di discernere e distinguere il bene dal male, il giusto da ciò che non è giusto: che cosa non compie essa per mezzo del corpo! Osservate l’ordine che regna nell’universo della società umana: l’ordinamento amministrativo, la gerarchia dei poteri, le istituzioni, le leggi, i costumi, le arti. È l’anima che compie tutto, e nessuno vede la potenza dell’anima. Appena viene sottratta al corpo, questo giace cadavere; finché gli è unita, è come se ne impedisse la corruzione, come se lo imbalsamasse. Ogni carne, difatti, è corruttibile e si decompone, se non viene conservata e sostentata dall’anima. Ma questo potere lo ha anche l’anima dei bruti. Più mirabili sono le cose che ho detto prima, quelle che son proprie dello spirito e dell’intelligenza, dove l’uomo, che fu fatto a immagine del suo Creatore (cf. Col 3,10), secondo questa immagine è rinnovato. Quale sarà la potenza dell’anima, quando anche questo nostro corpo si sarà rivestito dell’incorruttibilità e, mortale qual’è si sarà rivestito dell’immortalità (cf. 1Cor 15,53)? Se tanto è il suo potere anche servendosi della carne corruttibile, che cosa non potrà quando, in seguito alla resurrezione dei morti, potrà servirsi d’un corpo spirituale? Quest’anima, tuttavia, di natura e sostanza mirabili, invisibile e intelligibile com’è, è stata fatta anch’essa per mezzo di Gesù Dio, poiché egli è il Verbo di Dio, e le cose tutte furono fatte per mezzo di lui, e senza di lui nulla fu fatto (Gv 1,3).

Di fronte a tanti prodigi compiuti per mezzo di Gesù Dio, c’è da meravigliarsi se l’acqua è mutata in vino per mezzo di Gesù uomo? Diventando uomo, egli non ha cessato di essere Dio: si è aggiunto l’uomo, non è venuto meno Dio. Chi ha compiuto questo prodigio è colui che ha creato tutte le cose. Non dobbiamo meravigliarci che Dio abbia fatto questo, ma piuttosto ringraziarlo perché lo ha fatto in mezzo a noi, e per la nostra salvezza. Attraverso le stesse circostanze egli ci vuole suggerire qualcosa, poiché ritengo che non senza una ragione il Signore intervenne allenozze. A parte il miracolo, il contesto stesso adombra qualche mistero, qualche sacramento. Bussiamo perché ci apra e c’inebri del vino invisibile. Anche noi eravamo acqua e ci ha convertiti in vino, facendoci diventare sapienti; gustiamo infatti la sapienza che viene dalla fede in lui, noi che prima eravamo insipienti. Credo sia proprio mediante la sapienza – non disgiunta dall’onore reso a Dio, dalla lode della sua maestà e dall’amore della sua potentissima misericordia – è proprio mediante la sapienza che potremo pervenire all’intelligenza spirituale di questo miracolo.

Aug., Commento al Vangelo secondo Giovanni, 8,1-3 

Nel 1986 non era ancora crollato il muro di Berlino, e nel 407 non c’era ancora stato il Sacco di Roma: sia Moore sia Agostino hanno scritto in un mondo dalle tensioni crescenti ma bilanciate, e in particolare il Vescovo non era ancora entrato nelle due grandi lotte che avrebbero caratterizzato l’ultimo ventennio della sua vita (quella contro il pelagianesimo e quella contro le detrazioni storico-teologiche dei pagani). Nel pieno rigoglio del suo vigore umano ed ecclesiastico, e forte delle lezioni tratte dal superato manicheismo, Agostino invitava i cristiani di Ippona a disporsi alla vera philosophia che è la fede cristiana tramite uno sguardo di stupore, a quel mirare da cui viene la parola “miracolo”. 

Giovanni Crisostomo e la “via dei Magi” dalla diafania all’epifania

La parabola amorale [alert spoiler!] del personaggio del Dr. Manhattan sul finire di Watchmen dice quanto sia sempre possibile guardare tutto senza vedere niente (non a caso il Superuomo ha i bulbi oculari luminosi ma vuoti), mentre già al primo filosofo greco dell’“elenco canonico” (lo ionico Talete) si attribuisce il mistico detto “tutto è pieno di dèi”. Sempre in greco “epifania” vuol dire “manifestazione”, ma nel senso di “apparire-in-superficie” (e in questo si differenzia dalla “diafania” che indica l’ordinario “apparire-attraverso”): se i Magi poterono mettersi in marcia fu perché un “evento diafanico” – la Stella – si impose alla loro attenzione più di altri, anzi dando voce al sommesso sospiro di tutte le cose nell’ascolto del quale essi vegliavano; a Betlemme li avrebbe poi sorpresi l’“evento epifanico” – 

Entrati nella casa, videro il Bambino con Maria sua madre, e prostratisi lo adorarono. Poi aprirono i loro scrigni e gli offrirono in dono oro, incenso e mirra. 

Mt 2,11 

Parole che siamo abituati a dare per scontate come gli acini d’uva in cui l’acqua del cielo già comincia a diventare vino delle tavole. Giovanni Crisostomo, invece, maestro di stupore, avrebbe così predicato a Costantinopoli: 

Che cosa ha potuto spingere i magi ad adorare quel bambino? Non è stato l’aspetto esteriore della Vergine, che non aveva nulla che la distinguesse, né lo splendore della casa, né tutto il resto in cui non si poteva certo trovare qualcosa che attirasse l’attenzione o che facesse impressione a chi guardava. Tuttavia essi non soltanto l’adorano, ma aprono i loro scrigni e gli offrono i loro doni, non come a un semplice uomo ma come a Dio, in quanto l’incenso e la mirra erano simboli della divinità. Cos’è dunque che li induceva a prostrarsi in adorazione davanti a questo bambino, che già li aveva indotti a lasciare la loro patria per compiere un così lungo viaggio? 

Dapprima fu la stella e poi la luce che Dio diffuse nelle loro anime e che, suscitando in loro una conoscenza sempre più perfetta, li condusse avanti. Se non fosse stato così, non avrebbero certo tributato onori divini a un bambino circondato da tanta povertà. In quel luogo dove egli si trovava, non c’era niente di grande che potesse colpire i sensi, ma soltanto una mangiatoia, una capanna, una madre poveri: e ciò perché tu veda e comprenda la grande sapienza dei magi. 

Cris., Commento a Matteo 2,11, disc. 8,1 

I vaticinî poetici-sibillini di Prudenzio e Pascal

Contemporaneo di Agostino e del Crisostomo, il giurista, governatore e poeta ispanico Prudenzio dedicò il dodicesimo e ultimo inno del suo Cathemerinon Liber al mistero diafanico della Stella – quello che convocò i magi dall’Oriente e che brillò pure negli occhi di Agostino e del Crisostomo (nonché in quelli, immaginifici e vuoti, dell’Osterman/Manhattan di Moore – e sarà suggestivo rammentare che “Osterman” è il tedesco per “uomo dell’Oriente”). Ancora oggi la Liturgia delle Ore lo canta alle Lodi in questo breve Tempo di Epifania. In due tra le ultime quartine così l’innografo descrive il senso religioso che conduce i Magi dalla diafania del “miracolo termodinamico” all’epifania di Cristo, Creatore e Redentore dell’universo: 

«E chi è questo – si dicono – tanto grande
dominatore che comanda agli astri?
davanti a cui i corpi celesti tremano
e a cui la luce e l’etere prestano servizio? 

Scorgiamo un qualcosa di luminoso
che non pare destinato a conoscere limiti:
un qualcosa di sublime, di eccelso, di immenso…
di più antico del cielo e del caos». 

Prudentius, Liber καθημερινῶν 12
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Seconda pagina dell’inno “Quicumque Christum quæritis” nell’edizione impressa a Leipzig nel 1533 da Nicolaus Faber.

«C’è abbastanza luce – avrebbe detto Pascal nel XVII secolo – per quanti non desiderano che vedere, e abbastanza oscurità per quanti hanno una disposizione contraria». 

Blaise Pascal, Pensées, 18,2

Dunque è la “disposizione”, un qualcosa di innato, a decidere a priori delle vite delle persone? Questa è una domanda tra le più difficili che l’uomo possa porsi, e neppure la pluridecennale disputa de auxiliis ne venne a capo. La fede ci insegna però a ritenere due punti:

  • Dio è buono, e vuole che tutti gli uomini giungano alla salvezza;
  • l’uomo è libero, e nessuno si danna senza una propria colpa come nessuno si salva senza un vero merito.

Una marca distintiva di chi “vede e segue la stella”, però, il racconto di Matteo ce l’ha lasciata:

Al vedere la stella, essi provarono una grandissima gioia.

Mt 2,10

La gioia: proprio uno dei tratti la cui assenza rende non invidiabile la solitaria onnipotenza del Dr. Manhattan.

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