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Omar, un paio di gambe nuove e il sogno di costruire una casa per mamma

BOY, CRUTCHES, SEA

vetre | Shutterstock

Annalisa Teggi - pubblicato il 07/01/22

Ha 11 anni e vive in un campo profughi curdo in Iraq. Grazie a una cordata di solidarietà sarà operato al Gaslini di Genova per una malformazione che potrebbe procuragli una paralisi alle gambe. Sogna di fare l'architetto per dare una casa a sua madre.

Camminare sulle proprie gambe, è più del semplice atto fisico di spostarsi. L’Italia, e più precisamente l’Ospedale Gaslini di Genova, sta aiutando un giovanissimo ragazzo curdo di nome Omar a non perdere l’uso delle sue gambe. E a rimettere in piedi la sua vita.

Grazie a una cordata di solidarietà internazionale il ragazzo è ora in Italia e verrà operato il 10 gennaio. Quando tornerà a casa, cioé in un campo profughi nel deserto dell’Iraq, gli auguriamo di intraprendere ciò che sogna: diventare architetto, per dare una vera casa alla sua famiglia.

Bloccato e in pericolo in un campo profughi

Omar sta trascorrendo l’inizio del nuovo anno in Italia insieme ai suoi genitori. Porta sulle spalle una storia di vita pesante. Nato in un campo profughi, nato con una grave malformazione.

È nato infatti con una malformazione vascolare, una lesione delle vene e delle arterie che può portare alla paralisi muscolare. Di solito i sintomi si manifestano intorno ai 20 anni, lui li ha già. E, come se non bastasse, vive in uno dei posti più sfortunati del mondo per chi ha bisogno di cure: il campo profughi di Makhmur, pieno deserto dell’Iraq, un campo autogestito dai curdi esiliati dalla Turchia negli anni Novanta, invaso dall’Isis nel 2014 e oggi di nuovo sotto attacco delle milizie.

Da Il Tirreno
REFUGEE, BOY

Il nome Makhmur può non esserci familiare, eppure è uno dei troppi teatri di conflitto in Mediorente. Testimone di cosa accada ai profughi che da decenni vivono lì, è stato Michele Rech, alias Zerocalcare, che ha visitato Makhmur lo scorso giugno raccontando:

Quello è un campo gigantesco, ci vivono più di 15mila personeed è sottoposto a continui bombardamenti. Ed è incredibile che le Nazioni Unite non abbiano ancora detto niente: il campo fa riferimento a loro, perché formalmente dipende dall’Alto commissariato Onu per i rifugiati. È sorto in mezzo al deserto, con l’esodo massiccio di curdi dalla Turchia negli anni Novanta dopo i raid di Ankara che distrussero una serie di villaggi. Noi non siamo riusciti ad entrarci perché viene tenuto sotto embargo: non lasciano passare nemmeno le ambulanze.

Da L’espresso

L’ultimo dettaglio ci riporta al dramma di Omar. Anche se il campo di Makhmur ha in tutto e per tutto l’aspetto di una città, non ci sono ospedali attrezzati. La famiglia di Omar è riuscita a farlo visitare nella città di Erbil vivendo una vera e propria odissea. Un viaggio in linea d’aria di 45 minuti si è dilatato in 6 ore, a causa di posti di blocco e tentativi di respingere chiunque esca dal campo.

Un volo per l’Italia e una speranza al Gaslini

Per fortuna i genitori di Omar hanno resistito e portato a termine l’impresa. Arrivati all’ospedale di Erbil la situazione è apparsa urgente:

Una volta arrivati, hanno capito che non c’era più tempo da perdere. Omar andava operato subito. La macchina della solidarietà si è messa in moto. L’ospedale di Genova ha accettato di curarlo e ha preso in carico il suo caso attivando i canali diplomatici per farlo arrivare in Italia. Il viaggio aereo dall’Iraq a Milano è stato offerto dalla fondazione Flying Angels, mentre la Croce Rossa si è occupata del trasporto dall’aeroporto a Genova.

Da Il Tirreno

Il costo del viaggio e dell’operazione ammontano a circa 11 mila euro ed è la onlus Mezzaluna Rossa Kurdistan Italia che ha lanciato una raccolta fondi per sostenere queste spese. Anche la Germania figurava tra i paesi candidati per operare il bimbo. Con un filo di campanilismo, siamo contenti che sia l’eccellenza italiana del Gaslini a “rimettere in piedi” questo giovane ragazzo.

Omar dovrà subire due interventi, il primo programmato per il 10 gennaio sarà di scleroterapia, si inietterà all’interno della vena di un liquido che distrugge il vaso malato. Il secondo intervento dovrà essere fatto prima di marzo, mese in cui scade il visto di permanenza nel nostro paese. E che ne sarà di lui una volta ritornato a Makhmur?

Il sogno di costruire una casa

Omar, 11 anni. Verrebbe da chiamarlo bambino, ma mi trattiene la voce di mio figlio che ha la stessa età: “Mamma, non sono più piccolo. Sono un ragazzo”. Ha ragione, comincia a camminare con le proprie gambe e ne è fiero. Ragazzo significa sentirsi all’altezza di cose grandi, senza più tenere la mano ai genitori.

E’ l’adulto a fare pensieri tristi di un ragazzo come Omar che dopo la parentesi italiana ritornerà in un ritaglio di terra tutt’altro che pacifico. Omar è giovane, e grande allo stesso tempo. Lo dimostra il fatto che le sue ipotesi corrono, nient’affatto scalfite dal dramma in cui è cresciuto. O forse proprio corroborate dal senso di precarietà e pericolo che sono stati il suo pane quotidiano.

KURDISH, REFUGEE, CHILDREN

Che voglia fare l’architetto non mi pare un caso. Al di là della fede di ciascuno, quel discorso sul costruire una casa sulla roccia (e non sulla sabbia) è scritto nel cuore umano. Le fondamenta e il senso di protezione dell’edificio che custodisce la nostra dimensione più intima di famiglia sono la risposta all’incubo di essere buttati a caso in un deserto. E Makhmur è proprio un accampamento nel deserto, in cui la mamma di Omar arrivò che aveva 17 anni scappando dal Kurdistan turco quasi con niente.

Sarà per lei la prima casa che Omar sogna di costruire. E sarà come dirle grazie, forse, per aver custodito e nutrito la speranza in un luogo inospitale.

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