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Come si può affrontare la morte di una persona cara?

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Skylines | Shutterstock

padre Carlos Padilla - pubblicato il 27/01/22

Quando si perde una persona a cui si teneva, bisogna assumere il dolore, permettendosi di provarlo e di esprimerlo

Quella persona a cui volevo tanto bene è morta, non è più qui… Da dove posso cominciare? Come si può placare il dolore dell’anima?

Il dolore è così profondo che non riesco a parlare, non riesco a spiegare cosa mi succede. La perdita di una persona cara è un’esplosione nell’anima. Rosa Montero lo esprime con queste parole:

“Il vero dolore è indicibile. Quando il dolore ti crolla addosso senza palliativi, la prima cosa che ti strappa è la parola. Parlo di quel dolore che ti fa avere l’impressione di essere stato sepolto da una valanga. Non puoi neanche parlare, sei sicuro che nessuno ti sentirà mai. È simile alla follia. Sempre, mai, parole assolute che non possiamo comprendere essendo piccole creature intrappolate nel tempo. L’idea non riesce a entrarti in testa. Non è possibile che non ci sia più quella persona che occupava tanto spazio. La sofferenza acuta è come un raptus di follia”.

Rosa Montero, La ridícula idea de no volver a verte

Un dolore così profondo che affonda nella disperazione.

Accettare la perdita

Non rivedere chi amo sembra ridicolo. È un’illusione. Dev’essere falso. Mi risulta impossibile pensarlo.

Il motivo dell’assenza non può essere vero. Non accetto quello che sta accadendo. La realtà è troppo impietosa.

Per questo è così necessario vivere il lutto, piangere, provare pena nel cuore ed esprimerla. Vivere il lutto è una cosa che bisogna fare in ogni perdita.

“Il lutto e mio e non voglio condividerlo con nessuno. Quello che significava quella persona lo significava per me e per nessun altro. Per te significava un’altra cosa, e anche se magari era molto più che per me non è la stessa cosa. Non c’è un più o un meno. C’è un mio, e voglio mantenerlo così”.

Anji Carmelo, Déjame llorar

Vivere il lutto vuol dire piangere, soffrire, lasciare che mi faccia male, che me ne addolori. Ora non mi consolano le parole che cercano di alleviare la pena.

Sento che non è meglio ora che la persona se ne è andata che quando soffriva per la sua malattia accanto a me. Che non è vero che ora posso comunicare meglio con lei, in ogni momento.

Non è vero. Nulla sostituisce la vicinanza fisica, né le parole udibili o i gesti visibili.

L’assenza non può mai essere meglio della presenza. Non c’è consolazione quando non posso più toccare chi amo o dirgli quanto è importante per me la sua vita, il suo amore.

Il lutto necessario

Accettare il lutto è necessario. Non voglio voltare pagina rapidamente. Non evito di guardare quela pagina che mi riempie l’anima di dolore. Non sfuggo da quel dolore che affoga le mie parole.

So che bisogna vivere nel presente quello che fa male. Accettare, toccandolo con le dita, ciò che mi turba l’anima.

Riconoscere l’angoscia. E quella pena, che è una sofferenza dolorosa e profonda. Un’angoscia come una massa viscosa che si insinua sotto la pelle.

Accetto la vita in tutta la sua oscurità. Il dolore della perdita.

Voglio sfuggire da quello che mi fa soffrire, levare l’ancora, avanzare a passo fermo lontano dalle rocce che mi ostacolano.

Voglio coprire con una lapide l’oscurità della morte, ma iniziare quel cammino non è tanto semplice. Il lutto è lungo e complicato, come l’accettazione, la donazione della sofferenza. Leggevo giorni fa:

“E il lutto? Dov’è il lutto, pensare alla perdita, a quello che significa? Il lutto è un momento per pensare alla perdita, per viverla. Il cervello è così furbo che a volte ci nasconde informazioni fondamentali su noi stessi”.

Albert Espinosa, El mundo amarillo

Accetto di addentrarmi e di piangere. Non voglio lasciare niente indietro. Non voglio vivere nella negazione. Porto con me ciò che mi fa male. Sento la mancanza e guardo con nostalgia. Nulla mi aiuta a riempire il vuoto.

Assumere la realtà senza quella persona

Voglio affrontare la mia tristezza. È la cosa più mia, più personale. Non la nego, non la evito.

Assumo la mia povertà e affronto la vita e la morte. La vita senza quella persona. La morte di chi amo. Senza paura.

Do un nome a quello che vivo, a quello che provo. Riconosco il dolore che devo vivere.

Non c’è pace. Soffro. Mi spaventa la solitudine in mezzo alla mia lotta non avendo con me chi ho amato tanto.

Pretendo di vincere la nostalgia e di sfuggire alle lunghe braccia del passato che provano a impedirmi di andare avanti.

Avanti… a poco a poco

Sogno di prendere il volo e di lasciare che il peso dell’angoscia resti a terra, lasciandomi vivere.

Ho bisogno di recuperare le parole per esprimere quello che sento. Tutto richiede il suo tempo.

Nel frattempo non voglio andare avanti come se non fosse accaduto niente. Quanto ho vissuto è duro, la morte è dolorosa.

È accaduto quello che tanto temevo. Affronto la realtà in tutta la sua crudezza. Non ho paura di vivere con l’assenza.

E allora guardo avanti portando nelle mani passato e presente. Non mi fermo, continuo a scrivere la storia della mia vita. Tocco i momenti più sacri.

Do valore a tutta la mia vita nella sua ricchezza. Accetto tutto quello che sono, tutto ciò che ho. Rendo grazie a Dio per tutto quello che ho amato, per tutti coloro che ho amato.

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