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L’insegnamento di Hanna Arendt per il giorno della Memoria

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By Grabowski Foto | Shutterstock

Don Mauro Leonardi - Agi - pubblicato il 27/01/22

Nel libro "La banalità del male" la filosofa e storica punta il dito sull'atteggiamento peggiore di tutti: l'indifferenza, ciò che ha reso la gente qualsiasi complice di un genocidio.

 Giorno della Memoria. Tra tutte le opere che riguardano questo argomento, il libro che consiglio con maggior frequenza è “La banalità del male” di Hanna Arendt. In  quello che doveva essere solo e semplicemente il resoconto del processo ad Eichmann la Arendt punta il dito sull’atteggiamento peggiore di tutti: l’indifferenza, ciò che ha reso la gente qualsiasi complice di un genocidio.

Per questo motivo Liliana Segre ha chiesto che proprio quella parola venisse scolpita a caratteri cubitali all’ingresso del Memoriale della Shoah alla Stazione centrale di Milano.

L’indifferenza, il girarsi dall’altra parte, il non guardare, il non prendere posizione, non è stato un sentimento che ha percorso solo il popolo tedesco. Anche noi italiani, seppure in misura minore, abbiamo lasciato deportare i nostri concittadini ebrei senza battere ciglio o alzare la voce. Non c’è solo la colpa di chi decide e opera ma c’è anche la codardia che fa perdere la propria dignità.

Alle terribili domande che lo riguardavano, Eichman rispondeva, in sostanza, che il suo dovere era solo quello di far funzionare un meccanismo. A lui non spettava prendere decisioni sui contenuti. Quando pianificava la partenza di treni per i campi non era suo compito sapere se contenessero ebrei da sterminare o balle di cotone.

Solgenitsin racconta nei suoi libri che i torturatori del KGB non conoscevano mai nulla delle loro vittime, per questo potevano eseguire “solo degli ordini”. Mettere distanza tra chi deve obbedire a un ordine terribile e chi decide quell’ordine è una strategia vecchia quanto il mondo.

I vangeli raccontano che i soldati che vanno a catturare Gesù nell’Orto degli Ulivi non sapevano chi fosse: per questo hanno bisogno non solo che Giuda li guidi sul posto ma anche che indichi loro chi fosse la vittima da agguantare. Stabiliscono che il segno sia un bacio, ovvero, significativamente, proprio il gesto che più di ogni altro parla dell’amore (cfr  Mt 26,48).

L’inconscio stava facendo sapere a loro che per tradire a quel modo una persona bisognava non amarla: usare il bacio per uccidere è negare l’essenza stessa del bacio ovvero è negare l’amore. È propio l’amore infatti ciò che si oppone all’indifferenza. Nessuna madre può “girarsi dall’altra parte” se chi viene presa, rapita e torturata è la propria figlia.

Per questo è possibile “eseguire solo degli ordini” solo quando non si conosce la nostra vittima, se per noi essa diventa un oggetto qualsiasi. Un essere sconosciuto, non caro, non amato.

È possibile rendere il male “banale” solo quando diventiamo incapaci di porci domande rispetto a quanto stiamo facendo. L’amore è il più potente antidoto a questo veleno. Per questo educarci un po’ ogni giorno ad amare chi porta le conseguenze delle nostre azioni mi sembra sia un insegnamento utile da trarre il Giorno della Memoria. Altrimenti si rischia di cadere nella retorica della sterile celebrazione del già detto.

L’originale su AGI

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