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Il Papa contro cani e gatti? La questione è l’apertura alla vita

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Antoine Mekary | ALETEIA

Toscana Oggi - pubblicato il 31/01/22

"Ci sono coppie che non hanno figli perché non ne vogliono o ne hanno soltanto uno perché non ne vogliono altri, ma hanno due cani, due gatti. Eh, sì, cani e gatti occupano il posto dei figli..." Cani e gatti però sono una compagnia importante per tante persone sole. Il teologo spiega il giusto rapporto tra uomini e animali.

Ho letto le parole del Papa sul fatto che oggi in molte famiglie cani e gatti occupano il posto dei figli. Capisco le intenzioni del Papa, che erano quelle di denunciare il calo demografico e il fatto che per mille condizionamenti – economici, sociali, culturali – le coppie fanno pochi bambini. Ci sono però anche tante persone che sono sole, per le quali cani e gatti rappresentano una forma di compagnia e di affetto importante. Nei giorni in cui la Chiesa festeggia Sant’Antonio Abate, protettore degli animali, forse è giusto precisare anche il legame che c’è tra uomini e animali, senza nulla togliere ovviamente alla necessità di essere più aperti al dono dei figli.
Alessandra Donati

Risponde padre Maurizio Faggioni, docente di Teologia morale

La catechesi del Santo Padre del 5 gennaio era dedicata alla paternità di san Giuseppe ed era centrata sul pensiero che la paternità è accoglienza e cura del figlio, così che è vera paternità tanto quella di chi genera, quanto quella di chi adotta. In questo contesto è tornato su un problema che gli sta molto a cuore, quello dell’inverno demografico dell’Occidente, segno di una crisi profonda della famiglia quale luogo dove l’amore fiorisce e genera vita. Il Papa, a questo punto, ha detto che «ci sono coppie che non hanno figli perché non ne vogliono o ne hanno soltanto uno perché non ne vogliono altri, ma hanno due cani, due gatti. Eh, sì, cani e gatti occupano il posto dei figli (…) E questo rinnegare la paternità e la maternità ci sminuisce, ci toglie umanità».

È un tema ricorrente nel magistero di papa Francesco quello del grande valore umano della paternità e della maternità. L’amore coniugale, se è autentico e maturo, è di per sé aperto alla vita e resta fecondo, cioè aperto ad accogliere la vita, a desiderare la vita, a servire la vita, anche quando, per qualche problema fisico non fosse possibile generare, o quando, per motivi seri, come la salute o l’economia, fosse più saggio e ragionevole rimandare una nascita. Sappiamo bene che il Papa in altre occasioni ha sottolineato che la vita deve essere trasmessa con responsabilità e ha usato talora immagini corpose e immediate per esprimere questa idea, come quanto disse che per essere bravi cattolici non è necessario fare figli come conigli. La consapevolezza del valore della fecondità e, insieme, un grande senso di responsabilità nel mettere al mondo figli sono due aspetti importanti nella storia di una coppia. Nel suo discorso il Santo Padre si riferiva, invece, alle coppie che decidono di non avere figli perché sono chiuse in se stesse o ne generano uno, ma escludono di averne un altro, pur essendoci le condizioni concrete per farlo. Egli vede in questo consapevole rifiuto il segno di poca generosità verso la vita, la paura di assumersi la responsabilità di essere genitore, una forma di sfiducia nel futuro e, in ultima analisi, la frustrazione di una espressione altissima dell’amore umano. Per contrasto egli osservava che queste stesse coppie cercano talora di surrogare il vuoto del figlio non voluto prendendosi cura di cani e di gatti.

Le reazioni sulla stampa e sui social sono state immediate, spesso sarcastiche e aggressive, sia da parte di chi ha frainteso, in buona o in mala fede, le parole del Papa, sia da parte di chi ha capito il discorso, ma non è d’accordo sul messaggio. Da un settimanale allegato a una importante testata nazionale ho tratto un’accurata e – ovviamente – unilaterale antologia di twitter contrari. C’è, per esempio, Chiara che scrive: «Eh niente secondo il Papa sono disumana visto che non ho figli, ma ho un cane e una gatta… me ne farò una ragione». GattaLoca incalza: «Mai pentita della mia scelta di non averne. Mai! In compenso mi circonderei di gatti. Andrò all’inferno: sono una persona senza umanità». Simo è della stessa idea: «Io non ho figli, non ne voglio, e la mia vita è comunque piena. E indovinate un po’? Mi sento realizzata lo stesso». Altri si meravigliano che papa Francesco non sia coerente con i sentimenti del Santo di Assisi di cui porta il nome il quale – diversamente da lui – amava gli animali. Un portale ambientalista addirittura capovolge il pensiero del Papa e gli fa dire che l’amore per gli animali sarebbe il motivo per cui non si fanno figli, per cui incalza: «Questa è una colpa? Amare gli animali? Non esclude certo l’amore per i bambini! Ci sono molte ragioni che spingono una coppia che si ama a scegliere di non avere figli e certamente la compagnia di un animale domestico non rientra fra queste».

Fuori da questo coro dissonante e a tratti persino sguaiato, riceviamo la lettera della nostra gentile lettrice che semplicemente vuole riportare il discorso a una visione più completa. Ella ha ben compreso che il Santo Padre stava parlando della bellezza del donare la vita e che non voleva certo riprovare chi ama gli animali e, specialmente, i cani e i gatti, i più comuni animali da compagnia. Non possiamo dimenticare che queste creature con la loro presenza attenta e con l’attaccamento che dimostrano verso chi li ama riempiono la solitudine di tante persone, soprattutto anziane, contribuiscono all’equilibrio di persone con difficoltà di carattere psichico, diventano parte integrante e arricchente delle famiglie che li accolgono, diventando i compagni prediletti dei bambini. La nostra lettrice, va oltre e, toccando un tema teologico di grande profondità, afferma giustamente che esiste un legame fra uomini e animali. Non è un semplice legame biologico, ma un legame creaturale, come insegna lo stesso papa Francesco nella Laudato sî: «essendo stati creati dallo stesso Padre, noi tutti esseri dell’universo siamo uniti da legami invisibili e formiamo una sorta di famiglia universale, una comunione sublime che ci spinge a un rispetto sacro, amorevole e umile» (LS 89). È un legame che ci pone in relazione con tutti gli esseri nei quali il Signore ha infuso il suo spirito di vita ed è tanto più forte quando coinvolge animali più vicini a noi per intelligenza e, in particolare, quegli animali, come i cani e i gatti, che sembrano più capaci di entrare in sintonia con gli esseri umani, con le loro abitudini, con le loro emozioni. Gli animali sono usciti, come l’uomo, dalla mano del Creatore e la loro creazione è detta dal primo capitolo della Genesi una cosa bella e buona. Il Creatore – si legge nel Catechismo della Chiesa Cattolica – «li circonda della Sua provvida cura. Con la loro semplice esistenza Lo benedicono e Gli rendono gloria» (CCC 2416). L’uomo, creato a immagine di Dio, è chiamato a conformarsi al suo Signore per amare ciò lui ama, compiacersi di ciò di cui si compiace Dio e prendersi cura delle creature che Dio gli ha affidato. Sarebbe, però, contrario al rispetto che si deve alle creature trattare cani e gatti come se fossero bambini od ornarli di vestitini e monili come bambole od obbligarli a comportamenti che sono contro la loro natura, come obbligare un gatto che è carnivoro a mangiare vegano come la sua padrona. Queste sottili violenze umane accadono quando si chiede all’animale di essere quello che non è: un’alternativa al figlio, per esempio, direbbe il Santo Padre. Ogni creatura ha diritto di essere se stessa e di essere amata per quello che è e non per quello che noi vogliamo o immaginiamo che sia.

Qui l’articolo originale su Toscana Oggi

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