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Come leggere Michel Houellebecq (…e restare comunque cattolici)

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Alina Kruk | Shutterstock

Henri Quantin - pubblicato il 01/02/22

Per lo scrittore Henri Quantin, Houellebecq ha di cattolico che nulla cela delle miserie dell’uomo contemporaneo, ma anzi «condanna a morte le contraffazioni della gioia». D’altro canto, non arriva mai alla fine della notte…

Interpellato sul mondo di Marcel Proust, Claudel diede un giorno questa risposta: 

Non si assiste ad altro che a una concertata decomposizione. Innegabilmente riveste un certo interesse, lo spettacolo della decomposizione, ma devo confessare che per quanto mi riguarda esso non va estremamente lontano. 

La frase si presentava come un giudizio severo, ma potrebbe valere da una delle migliori definizioni del romanzo, almeno da Balzac in qua: un’arte della decomposizione. Il poeta, invece, non rinuncia a cantare, incantare o reincantare. 

La poesia di Houellebecq 

L’opposizione si ritrova all’interno dell’opera di Houellebecq, di volta in volta poeta e romanziere. A proposito del poeta, padre Olivier-Thomas Vernard, co-redattore del magistrale Dictionnaire Jésus (Bouquins) non cela la propria ammirazione: 

Ricorrendo alla Scrittura, alla teologia morale, all’antropologia teologica, alla mistica, alla liturgia o al Magistero, con una consumata arte della dissimulazione, delle condensazioni, delle diffrazioni, delle riconfigurazioni e delle fughe enunciative che permette la scrittura poetica, integrando il morso nichilista (che dal trionfo del liberalismo in qua, volenti o nolenti, ferisce ogni coscienza), Michel Houellebecq suona al mio orecchio come una delle voci cattoliche più autentiche del nostro tempo. 

Altrimenti detto, la poesia di Houellebecq rivelerebbe quel che il romanzo si fa obbligo di tacere; sulla putrefazione del suolo romanzesco spunterebbero i fiori del male poetici. 

Se l’opposizione tra il poeta e il romanziere è fondata, essa implica che sia vano cercare nei romanzi di Houellebecq l’affermazione di una Speranza. Forse è ciò a cui egli stesso alludeva, interrogato sul suo ipotetico cattolicesimo: 

Sono cattolico nel senso in cui restituisco l’orrore del mondo senza Dio… ma di fatto unicamente in questo senso. 

Pensiamo alla maniera in cui Bernanos difese il Viaggio al termine della notte di Céline contro quanti trovavano l’opera scandalosa. Lo scandalo peggiore – ritorceva l’argomento – è di nascondere all’uomo la sua miseria: 

Mai questa miseria è stata più pressante, più efficace, più sapientemente omicida, con un tale carattere di diabolica necessità, ma mai essa è stata misconosciuta fino a tal punto. 

In tal senso, il più grande merito del romanziere Houellebecq è di mettere a morte tutte le contraffazioni della felicità e i falsi evangeli di salvezza che tentano, oggi, di dissimulare la decomposizione. Tutte le consolanti illusioni del tempo sono, in senso stretto, dei copri-miseria nocivi. L’opera di Houellebecq ne offre un utile e caotico compendio, che va dal transumanismo alla “settimana italiana” al supermercato [una tecnica promozionale in voga in Francia e in Germania per incrementare le vendite con alcuni giorni di sconti straordinari, N.d.T.] passando per il video salone hot. Se non c’è alcuna foglia di fico, in questo universo, è generalmente per mostrare che la stessa ossessione sessuale è un copri-miseria. Questo è mettere l’uomo a nudo, e spesso aiuta a non prendersi per il re del mondo. 

Il rifiuto di sentimentalismi sdolcinati 

Per questo motivo i passaggi meno “cattolici” dei romanzi di Houellebecq non sono quelli che i lettori impressionabili giudicheranno nauseabondi: sono al contrario quelli in cui l’autore sembra condividere le illusioni dei personaggi in merito alle divinità del tempo. In altre parole, la miseria sessuale è cattolica, perché invoca un redentore; l’idealizzazione del coito lo è molto meno, perché induce a credere che si possa fare a meno di Dio. Si ha allora l’impressione che Houellebecq tema di giungere “al termine della notte”, e che così si renda incapace di trovarvi «la dolce pietà di Dio», quella che Bernanos percepiva nelle ultime pagine del romanzo di Céline. 

Allo stesso modo, nei passaggi di Houellebecq che evocano la Chiesa, la cosa migliore si ritrova forse nel rifiuto di ogni forma di sentimentalismo sdolcinato. Certo ci si può rallegrare anche delle parziali adesioni a questo o a quell’insegnamento del Magistero. È confortante notare che un agnostico lucido nel giudizio sul proprio tempo possa arrivare alle medesime constatazioni della Chiesa: promesse di liberazione non mantenute, da parte della pillola, barbarie eutanasia, uso menzognero e perverso delle nozioni di “diritti dell’uomo” e di “dignità”…

Ad ogni modo sarebbe un tantino riduttivo leggere un romanziere nella mera speranza di poter sentenziare “è dei nostri!”. Senza attendere l’ipotetica conversione dell’autore al cattolicesimo, approfittiamo soprattutto dello sguardo acuminato dei suoi narratori sulla Chiesa. Utili sarcasmi, quelli che ci ingiungono di trovare un annuncio dell’Evangelo meno beceramente pubblicitario di “con Gesù vivi meglio!”. Prezioso richiamo, quello che invita a non preferire Teilhard de Chardin a Pascal, il quale da parte sua non dimenticava come «chi voglia fare l’angelo fa la bestia». Feconda messa in guardia, quella che esige che ci si domandi perché uno dei nostri contemporanei possa scegliere l’islam o il buddhismo, dopo essersi fatto un giro in una chiesa. 

«Non tutto è bene» 

Troppo deprimente – ci si dirà –: dov’è la Speranza? Indubbiamente essa non è riservata al poeta, di fatto. Mauriac, Huysman o Bernanos non hanno celato alcunché della miseria dell’uomo, ma hanno lasciato delle fessure donde la grazia potesse infiltrarsi. I loro romanzi, invece, non l’hanno mai proclamata apertamente, né gravemente brandita. Essi sapevano che né in un racconto né in una vita la conversione è un artificiale happy end, tale da porre fine alle lotte. Nessuno di loro avrebbe potuto chiudere un romanzo con l’ultima frase di Harry Potter: «Tutto era bene». 

No, non tutto è bene. Il romanzo lo rivela a quanti preferiscono le consolatorie menzogne alle verità demistificanti. Certamente non siamo tenuti ad amare gli spettacoli di decomposizione, ma non si rimproveri al romanziere di fare il suo lavoro… a meno che non diventi poeta. 

[traduzione dal francese a cura di Giovanni Marcotullio]

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