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Isabella sceglie la clausura: avevo molti progetti, ho ascoltato quello di Dio

ISABELLA MARROCCO

Benedettine di Alatri | Youtube

Annalisa Teggi - pubblicato il 08/02/22

Aveva studiato per diventare manager del turismo, da poco ha preso i voti ed è entrata in monastero come Suor Maria Speranza. "Come un bambino sceglie tra una moltitudine di colorati fiori quello che più gli piace così il Signore con la sua mano mi ha colto nel giardino della vita".

Ogni mattina il lavoro comincia scorrendo le notizie. Ed è un po’ come procedere con un machete in una giungla sovrabbondante di vegetazione. I titoli ti sbattono subito addosso gli alberi più imponenti, i fatti freschi, importanti, urgenti, scandalosi. Procedendo a passi lenti e potando queste piante ingombranti, ecco che tra la cronaca spiccano piccole storie, materia che splende e non urla.

Da manager alla vita di clausura, così Isabella è diventata Suor Maria Speranza.

Anche questo titolo potrebbe imitarsi a catturare un’attenzione sconcertata, per non dire scandalizzata. Manager e clausura nella stessa frase? Con l’aggravante che clausura sia meglio? La mia attenzione è stata catturata senz’altro dall’ipotesi di una conversione clamorosa. Ma poi, approfondendo, mi sono resa conto che il vero clamore è il silenzio paziente di Dio, la sua mano delicata nella nostra storia.

Dal turismo alla clausura

Siamo ad Alatri nel Monastero della Santissima Annunziata dove le Benedettine dell’Adorazione Perpetua del Santissimo Sacramento vivono la loro chiamata alla preghiera e al lavoro. Dallo scorso gennaio è parte di questo ordine claustrale anche Isabella Marrocco, 28 anni, che ha fatto la professione solenne prendendo il nome di suor Maria Speranza di Gesù Ostia lo scorso gennaio.

Intervistata da Pietro Antonucci, suor Maria Speranza ha raccontato come ha maturato questa vocazione:

«Chi ero? Una ragazza come tante, con una vita normale. Cosa facevo? Studiavo, lavoravo, uscivo e a Gesù non ci pensavo molto. Vivevo con buoni valori ma, a causa degli impegni, andavo poco in chiesa. Mi sono diplomata al turistico, ho studiato le lingue per lavorare e viaggiare e il Signore mi ha chiamata alla clausura».

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La parabola sembra quella di un restringimento, come quelle trappole usate dai cacciatori per catturare certi animaletti nei boschi. Dal desiderio di spalancarsi al mondo conoscendone le molte lingue, alla dimora fissa in un luogo in cui incessantemente si ripetono preghiere. Ancora una volta, s’incarna nel sì di una ragazza il paradosso della clausura, che sposta il baricentro della persona dalla preoccupazione di muoversi freneticamente ovunque alla sguardo che si fissa su quel centro che solo riesce a contenere l’ampiezza infinita del senso di tutto ciò che esiste.

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Le Benedettine di Alatri adorano perpetuamente il Santissimo Sacramento. Sul loro altare c’è la scritta “Hic amor – Hic vita“. Qui l’amore, qui la vita. Quel qui che si ripete punta verso un centro, che attrae e ha attratto anche Isabella. Lo sai che convento ha la stessa etimologia di convenienza?mi disse Suor Chiara Cherubini.

L’attrazione di quel qui non è la trappola del cacciatore, ma un’invito che convince perché conviene. Ma come?

Il progetto mancante

Isabella racconta di essere stata, ed essere tuttora, una ragazza come tante. La frase che più mi è rimasta impressa nella sua intervista è questa:

Avevo spesso la musica alle orecchie e ho scoperto la bellezza del silenzio davanti al Tabernacolo.

Ibid.

Sarà che mi identifico molto nella prima parte di questa immagine, anch’io da giovanissima (e non ho smesso) riempivo il mio tempo di musica. Il gesto stesso di mettersi le cuffie è un isolarsi, ma anche il bisogno di essere invasi dalla bellezza che c’è nella musica. Te la infili dentro, non basta ascoltarla.

Ecco, quel bisogno totalizzante di essere immersi in un abbraccio di armonia e gioia e pienezza approda per suor Maria Speranza al silenzio dell’adorazione davanti al Tabernacolo.

«Ho cercato di mettere scuse e ostacoli a questa chiamata inaspettata ma solo nel pronunciare “sia fatta la tua volontà!” ho sentito tanta pace. La vocazione è un mistero. Pochi hanno compreso, i più vicini mi hanno voltato le spalle perché volevo seguire Gesù», dice. 

Ibid.

Quante voci, esterne e personali, da togliere per ascoltare il sussurro di Dio che porta pace. Vale per tutti, non solo per chi sceglie la clausura. La vocazione di ciascuno comporta un salto coraggioso oltre il prevaricante borbottio delle nostre ansie e delle aspettative altrui.

Tra i tanti progetti ne mancava uno però, quello più importante, quello fondamentale, nei miei pensieri mancava il progetto che Dio aveva su di me, che, alla fine, è stato proprio il progetto che non avevo per nulla messo in conto che ha preso forma.

Silenziosamente stava succedendo qualcosa in me che io proprio non riuscivo a capire, una mano divina stava lavorando su di me incessantemente.

Da Benedettine di Alatri
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Il viaggio verso casa

D’ora in poi Suor Maria Speranza abiterà il silenzio e la preghiera, ma la sua voce non tacerà del tutto. Le è stato chiesto di occuparsi del sito internet e della pagina Youtube del monastero per raccontare la clausura. E si può intuire che lo spazio di questa comunicazione sia più di contenitore informativo per chi si avvia al discernimento sulla vita consacrata.

Tutti possiamo attingere uno slancio di vita libero dalla tentazione della frustrazione da chi innesta ogni sua giornata nel qui del rapporto vivo con Dio. Il percorso vocazionale di Isabella è stato lungo. Nel 2013 iniziò il postulato e già allora scrisse un’ipotesi (condivisa sul sito delle Benedettine di Alatri) che ribalta le solite traiettorie di successo – che ci illudono e poi deludono.

Come un bambino sceglie tra una moltitudine di colorati fiori quello che più gli piace così il Signore con la sua mano mi ha colto nel giardino della vita.

Mi ha condotto ad un monastero, nel silenzio della sua casa ha parlato all’orecchio del mio cuore, ha scrutato il mio giovane animo fino in fondo.

Ibid.

Tutto parte e tutto sta in piedi grazie ha Chi ci ha colto. Non ho la libertà di questa giovane suora, sono così incastrata nelle mie griglie di autovalutazione che non oserei mai definirmi il fiore che piace a Dio. Eppure non c’è ombra di vanità in questa dichiarazione di preferenza. E’ molto più superba la voce che ogni giorno ricorda a se stessa che non è all’altezza, che non ha fatto abbastanza, che non è stata capita. Ci arrabattiamo come matti per ottenere un qualche traguardo che finalmente possa dirci chi siamo. E invece la vocazione è davvero un viaggio a ritroso che semplifica tutto, non è correre avanti ma fermarsi ad ascoltare la premessa che tutto sostiene: Qualcuno, conoscendoti fin nelle viscere, ti tiene in mano come primizia da custodire.

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