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Vescovo minacciato di morte: “Non ho paura; con Dio sono saldo”

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Francisco Vêneto - pubblicato il 10/02/22

“Non mi interessa la mia vita, ma quella di tutta la comunità. L'ultima cosa che farò sarà rinchiudermi o fuggire. Sono alla guida di una comunità che ha bisogno che qualcuno parli”

Monsignor Rubén Darío Jaramillo Montoya, vescovo minacciato di morte in Colombia, ha dichiarato all’agenzia di notizieACI Prensa di non aver paura delle minacce perché è saldo in Dio.

La sua diocesi, quella di Buenaventura, soffre per violenza, narcotraffico e crimine organizzato. Lunedì 7 febbraio, la Conferenza Episcopale Colombiana (CEC) ha espresso sostegno al presule con un videomessaggio:

“Siamo molto preoccupati per la vita di monsignor Rubén Darío Jaramillo, vescovo di Buenaventura. Da buon pastore e portando nel cuore il dolore del suo popolo, ha denunciato ciò che sta accadendo, quanto i criminali armati siano crudeli con la popolazione della regione. E visto che ha avuto il coraggio, l’audacia profetica di denunciare ciò che sta accadendo lì, ora è lui la vittima. Gli hanno impedito di arrivare in alcune zone della sua diocesi”.

In alcune dichiarazioni ad ACI Prensa, monsignor Rubén ha aggiunto:

“Non ho paura perché chi è con Dio è saldo. Non mi interessa la mia vita, ma quella di tutta la comunità. Non ho paura, continuo a camminare per strada, andando da un luogo all’altro. L’ultima cosa che farò sarà rinchiudermi o fuggire. Sono alla guida di una comunità che ha bisogno che qualcuno parli, che levi la propria voce, e continueremo ad avere la protezione di Dio e quella dello Stato colombiano.

Ora più che mai, servono persone che possano aiutare a trovare un orizzonte per questa situazione difficile che tutta la popolazione di Buenaventura sta vivendo. Stiamo assistendo a un’ondata di terribile violenza nella zona rurale, dove [i criminali] sono selvaggi: nella zona di Naya, a San Juan e Bajo Calima, a Cisneros, che è l’ingresso naturale dei veicoli. A tutti gli accessi ci sono uomini altamente armati che spaventano la popolazione e pregiudicano la vita delle persone”.

Alla fine di gennaio, almeno 700 persone sono fuggite da “intimidazioni e minacce di uomini armati” identificati come membri delle Autodefesas Gaitanistas de Colombia, o Clan del Golfo. Secondo il quotidiano El Colombiano, il primo gruppo di undici famiglie indigene sfollate è arrivato nel capoluogo regionale il 20 gennaio, mentre altre 60 sono giunte il giorno dopo, sempre per via della violenza a Buenaventura.

Nel dicembre scorso, monsignor Rubén ha dovuto cancellare un viaggio a Bajo Calima, dove avrebbe dovuto presiedere delle cerimonie di Cresima, perché il parroco locale gli ha telefonato con urgenza chiedendo di non andare, visto che c’erano uomini legati al narcotraffico che “chiedevano insistentemente quando sarebbe arrivato il vescovo”. Gli adolescenti cresimandi hanno dovuto essere portati nel capoluogo regionale per ricevere il sacramento.

Lo stesso allarme è stato dato al vescovo da varie altre persone anche prima di dicembre. Il presule commenta che le sue denunce “infastidiscono alcune persone potenti che vogliono che [la situazione locale] resti sotto silenzio. Non permettono a nessuno di denunciarla. Noi che osiamo farlo corriamo questo tipo di rischio”.

Il 4 febbraio, il vescovo ha dovuto chiedere un elicottero ceduto dalle autorità per poter benedire la città di Buenaventura dall’alto e chiedere la fine della violenza e della povertà. Non è stata la prima volta in cui ha dovuto ricorrere a questa mossa, già utilizzata nel 2019 per esorcizzare la città dopo uno stupro seguito dall’assassinio di un bambino di 10 anni da parte dello zio.

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