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I bambini, la malattia e l’importanza della dimensione spirituale

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Paola Belletti - pubblicato il 11/02/22

Oggi è la memoria liturgica della Beata Vergine di Lourdes e anche Giornata Mondiale del Malato voluta da S. Giovanni Paolo II. Un libro nato dall'esperienza dell'Ospedale pediatrico A. Meyer di Firenze ci offre l'occasione di una riflessione.

Un coro di voci per dire l’indicibile

Mi è arrivato tra le mani un libro, Esperienza della malattia e spiritualità, edito da La nave di Teseo per la neonata collana La cura. Il testo è corale ed è curato da Gianpaolo Donzelli, professore ordinario di Pediatria e dottore di ricerca in Neonatologia all’Università degli Studi di Firenze e presidente della Fondazione Meyer. 

Ci sono tante voci autorevoli e competenti, scopriamo leggendo le brevi note biografiche. Eppure, queste stesse voci, davanti alla malattia, al dolore e alla morte dei piccoli si riducono a gemiti e balbettii e proprio per questo risultano credibili: non si può che diffidare di chi di fronte all’enigma inspiegabile, al mistero bruciante della sofferenza dei più innocenti tra di noi, si mette a spiegare, a illustrare, a dare ragioni. Che ci sono, eccome, e sono le più alte. Ma parlarne con il distacco sufficiente di chi domina la materia come cosa del tutto esterna a sé, come non lo interrogasse nella sua stessa carne e la viviseziona senza tremore, è indice di disumanità o di non ancora avvenuta umanizzazione.

Il mistero del dolore per chi cura i bambini malati

Le voci che qui si raccolgono per dire le poche parole possibili sul dolore e la morte dei bambini si fanno per questo poesia, meditazione, allegoria, e sempre denuncia della propria insufficienza. (L’estremo tentativo di esprimere ciò che per sua natura sfugge è compiuto dal meraviglioso corredo di immagini tratte dall’Archivio fotografico dei Fratelli Alinari – Fondazione Alinari per la Fotografia, elemento che arricchisce di fascino la piccola opera).

Sono medici, professori, teologi, consulenti, esponenti di diverse religioni. A pensarci bene ci sono poche cose ecumeniche come la domanda sul male e il senso della morte.

Proprio questa ammissione di indicibilità per me come essere umano, e come mamma di un bimbo che soffre e che anche all’Ospedale Pediatrico Meyer è stato accolto e curato, è la prova certa della onestà intellettuale e umana di chi scrive.

Toccati dal dolore altrui

L’esperienza del dolore e della morte accompagnate e contemplate da vicino lasciano un segno, di solito ben visibile.

Ciò che si scopre avvicinandosi a chi soffre o partecipando per elezione alla sua esperienza – cosa che capita sempre alle mamme e ai papà di questi bimbi, è un nuovo modo di leggere l’uomo e la sua grandezza. Quando siamo sofferenti e la fretta mondana ci vorrebbe uomini diminuiti, il mistero del dolore ci alza sulla crosta del mondo come giganti.

La malattia e la fragilità ci svelano

La malattia, paradosso!, mentre mortifica e schiaccia la persona e ne comprime la libertà, ne mostra, anzi, quasi ne distilla la vera statura, la dignità che riempie ed eccede la sola dimensione fisica.

Il caro Card. Caffarra diceva, tra le molte cose sapienti di cui ci ha nutriti, che proprio la medicina è la disciplina che più di altre si è dovuta accorgere della vera complessità e grandezza della persona: non si può infatti curare la malattia se non si considera l’intera persona ed essa è fatta di corpo, mente, spirito, relazioni.

L’ospedale che cura la persona intera

Proprio per riconoscere e rendere visibile la dimensione spirituale così decisiva nella cura del malato e dei familiari (ma anche per medici e infermieri) all’Ospedale pediatrico Meyer è nato lo Spazio dello Spirito.

No, non è la stanza in cui ci si rifugia quando “non c’è più nulla da fare”, ma è luogo della speranza che innerva ogni fase della malattia, della cura, della vita tutta, fino alla morte che di quella è lo sbocco.

Lo Spazio dello Spirito

(…) Esso rappresenta un luogo reale, come lo sono sofferenze e dolore, gratitudine e gioia, ma nello stesso tempo anche simbolico, come gli spazi condivisi e aperti che raccolgono i piccoli malati e le loro famiglie, all’interno di un luogo di cura. Queste pagine contengono quindi la sintesi di pensieri nati nello Spazio dello Spirito dell’Ospedale attorno alla spiritualità intesa come cura e sulla cura della stessa spiritualità. Ma cosa significa dare spazio allo spirito, e in quale modo e perché possiamo accostarlo alla cura e al passaggio attraverso il dolore?

Esperienza della malattia e spiritualità, Introduzione

L’importanza della dimensione spirituale nella cura

L’essenziale, che pur resta invisibile agli occhi, reclama una dimora visibile: è a questo tipo di pretesa che tenta di rispondere lo Spazio dello Spirito per ritrovarsi ad essere una terra di frontiera in cui accadono le cose che val la pena ricordare. L’amore, il senso dei legami, la speranza che corre come una freccia che non può essere deviata verso l’eterno.

Ecco quindi che la cura dello spazio, della nostra interiorità, la trascendenza della spiritualità, si sostanziano nel percepirsi come soggetto di accoglienza e cura di tutto ciò che fa parte della vita, anche nell’atto di varcare quell’estrema soglia che ci porta altrove. In questo senso abbiamo raccolto in queste pagine molte voci che, da diversi punti di vista e professionalità, hanno narrato l’esperienza umanissima del confronto con il passaggio di fine vita, della ricerca di senso, sospinta dalla speranza e dalla spiritualità.

Si tratta quindi di un libro plurale, dove si intrecciano culture e riferimenti, citazioni letterarie e filosofiche, testi sacri e la voce magnifica della poesia, in cui ogni vita si confronta con l’ineffabile.

Ibidem

Essere davvero all’avanguardia

Il Meyer è ospedale e centro di ricerca all’avanguardia ed esattamente per questo tipo di approccio ha preso spazio, è il caso di dirlo, anche la dimensione che eccede i trattamenti terapeutici in senso stretto.

La cura è cura della persona fino a che essa resta in qualche modo raggiungibile dagli altri: per questo si cura anche mentre un uomo, ma in questo caso si tratta di bambini, sta per entrare nella morte.

Ciò che resta da fare dopo che si sono offerti tutti i doni più preziosi che la medicina può dare, dopo che si è pregato, di fronte all’ultima battaglia che reclama una dimensione di solitudine partecipata è probabilmente molto simile a ciò che avviene quando un bimbo entra nella vita del mondo uscendo, per mezzo della sofferenza, dal suo nascondiglio materno: assistere.

Immagino quindi che sia l’ostetricia la disciplina che più potrebbe gemellarsi con chi assiste e accompagna i bambini in lunghe malattie e in certi casi anche alla morte.

Al passo dei bambini

Bellissimo a questo proposito il contributo di Marta Conti Forti che prende a modello la vicenda di Giacobbe che torna dopo anni e deve incontrare il fratello Esaù pieno di rancore e odio. La sua strategia e la sua vicenda si attagliano perfettamente alla condizione di chi si prende cura dei bambini.

Costretto a misurarsi con un nemico sovra umano, si è fatto precedere dai doni più belli per ammansire l’avversario e dalle preghiere per piegare la sua volontà alla benevolenza; infine, nella notte, affronta la battaglia.

Superata quella, la stessa che soprattutto di notte combattono i genitori dei bimbi malati, si ritrova vivo ma diverso, segnato e rallentato e per questo molto più umano e forte. Giacobbe, che dopo quella lotta notturna ha cambiato nome, decide che procederà più lentamente per restare “al passo dei bambini”.

Stare “al passo dei bambini”, mettere al primo posto la loro salute, i loro desideri e necessità, è già di per sé tracciare la prospettiva della speranza. Un percorso che per scelta, prima ancora che per necessità, è di gruppo. Perché quel passo è un ritmo che, nelle comunità che si prendono cura dell’infanzia, tutti cercano al massimo di condividere, in una fitta rete di rapporti, scambi e supporti reciproci.

Perché in una corsia d’ospedale, come ovunque si tenga a tutelare la salute dei bambini, ricorre la strategia in tre passi di
Ya’akov: doni; preghiere; battaglia.

Ibidem, 57 ss

Beata Vergine di Lourdes e Giornata del Malato

Oggi è anche la memoria liturgica della Madonna di Lourdes e proprio per questo San Giovanni Paolo II ha scelto l’11 febbraio per la Giornata Mondiale del Malato che istituì.

Chi c’è più titolato di Lei ad avvicinarsi alla sofferenza, soprattutto quando colpisce l’innocente?

A pensarci bene è significativo anche che Maria si mostri e parli alla veggente Bernadette Soubirous quando questa è solo una ragazzina di quattordici anni.

Sembra ricordarci di come anche i bambini e i giovani possano essere chiamati alle prove più dure e alle altezze più vertiginose che spesso, per la leggerezza dei loro passi, mostrano di saper raggiungere più agilmente di noi adulti.

Nella giornata del malato non si celebra la malattia o la sofferenza, ma la bellezza, la dignità e la preziosità delle persone malate.

Per le quali non solo vogliamo, ma dobbiamo adoperarci nel portare sollievo e fin dove è possibile guarigione.

Nel frattempo però rallentiamo e lasciamoci educare dai malati, dai più fragili all’essenziale così poco visibile agli occhi ma così tanto riconoscibile dal cuore.

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