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Il card. Ouellet: «Il celibato sacerdotale incomprensibile senza la fede» 

CARDINAL MARC OUELLET

Daniel Mallard | QMI Agency

Hugues Lefèvre - i.Media per Aleteia - pubblicato il 11/02/22

Intervista col Cardinale Prefetto della Congregazione per i Vescovi a pochi giorni dall'apertura del simposio sulla teologia del sacerdozio.

In un contesto di crisi per l’identità del prete e di rimessa in discussione del celibato sacerdotale fin nei ranghi della Chiesa, il prefetto della Congregazione per i Vescovi, Card. Marc Ouellet, ha organizzato in Vaticano dal 17 al 19 febbraio 2022 un ampio simposio intitolato “Per una teologia fondamentale del sacerdozio”. Meno di una settimana prima dell’apertura dell’evento, che sarà introdotto da Papa Francesco, il cardinale canadese si confida sulle sfide di questo simposio per la Chiesa di oggi. 

Hugues Lefèvre: Perché scegliere di fare un simposio sul sacerdozio oggi? 

+ Marc Card. Ouellet: La Chiesa si trova attualmente in un cammino sinodale che torna a porre la questione della partecipazione del Popolo di Dio a tutta la vita della Chiesa. Lanciando il Sinodo sulla sinodalità, il Papa non intende fare un sondaggio di opinione nella Chiesa, un’operazione parlamentare o un brainstorming: vuole risvegliare la fede del Popolo di Dio. 

Dopo il Sinodo sui Giovani e quello sull’Amazzonia, ci sembra importante proseguire la riflessione sulla vocazione dei battezzati. Il titolo di questo simposio, Per una teologia fondamentale del sacerdozio, mostra che intendiamo approcciarci al sacerdozio tornando ai fondamentali: Cristo e il battesimo. 

La cultura cattolica fa sì che, quando parliamo di sacerdozio, pensiamo ai preti e ai vescovi. Come se la questione finisse là. Ora, il Concilio Vaticano II ha ristabilito equilibrio tra il sacerdozio comune dei battezzati e il sacerdozio ministeriale. In pratica, però, tutto questo deve ancora attuarsi. 

Hugues Lefèvre: Come stabilire tale equilibrio? 

+ M. O.: La coscienza missionaria dovrebbe essere presente in tutti i battezzati. La missione non è riservata ai ministri ordinati. Il simposio ha dunque per obiettivo di tornare al fondamento del sacerdozio, chiaramente riflettendo sull’articolazione tra ministero ordinato e sacerdozio battesimale. Non si tratta di focalizzarsi sulla sola figura del prete. Vogliamo essere attenti alla comunione delle vocazioni e alla complementarità degli stati di vita; ad esempio, come esercitare il proprio sacerdozio battesimale in quanto genitori, in seno a una famiglia oppure nella vita consacrata. 

Questo simposio ha luogo in un momento della storia in cui la figura del prete è insozzata dagli scandali per gli abusi commessi da membri del clero. La crisi degli abusi sarà trattata nelle riflessioni? 

La questione degli abusi nella Chiesa rappresenta una grande difficoltà. Essa è stata largamente studiata sul piano sociologico o storico, con degli studi di commissione che offrono una prospettiva statistica, in particolare, del problema, e che evidenzia gli errori pastorali. La Chiesa fa, da 25 anni a questa parte, un cammino impegnativo per riconoscere gli errori delle passato, nella fattispecie con riguardo alla propria gestione dei casi di abuso. 

Non abbiamo finito il lavoro di analisi di questa crisi. Sul piano teologico, c’è una riflessione da condurre, un lavoro che commissioni come quella della CIASE non hanno potuto svolgere appieno. Quest’analisi eccede il quadro del nostro simposio sul sacerdozio.

Hugues Lefèvre: Ma la crisi può rimettere in causa il celibato sacerdotale? 

+ M. O.: Porrei un’altra domanda: gli abusi che hanno luogo nelle famiglie rimettono in discussione il matrimonio come modo di vita? Non credo. La crisi degli abusi rimette in questione il dominio di sé di alcune persone che, nel loro stato di vita, hanno avuto gravi devianze. 

Bisogna dunque distinguere tra le debolezze morali delle persone e lo stato di vita delle stesse. Del resto, le indagini scientifiche che sono state prodotte non concludono che il celibato è responsabile della crisi. 

Hugues Lefèvre: La Chiesa è capace, ovvero sa ancora presentare il celibato sacerdotale come un modello di dono radicale per i giovani di oggi? 

+ M. O.: Io credo che il celibato sacerdotale sia incomprensibile se non si ha la fede. Da dove viene? Dalla persona di Gesù Cristo. Attorno a lui e a causa di lui, nella Storia sono emerse nuove realtà. È Gesù che chiama a lasciare tutto, anche la famiglia, per mettersi al servizio del Regno. 

Partendo da questo, se non si crede che quest’uomo è il Figlio eterno del Padre venuto nel mondo, il celibato cristiano non ha molto senso. Io credo che tale fondamento manchi, oggi, nella giustificazione del celibato. Il celibato è anzitutto un riconoscimento di chi è Gesù. È una confessione di fede. 

Hugues Lefèvre: I Padri sinodali avevano votato a favore dell’ordinazione di uomini sposati, in occasione dell’ultimo Sinodo, sull’Amazzonia. Nella Chiesa in Germania molti regalano la possibilità di rendere il celibato opzionale. Questo simposio si propone come una risposta teologica a tali interrogativi? 

+ M. O.: Non ignoriamo quel che si dice a proposito del celibato sacerdotale, ma il simposio è una riflessione fondamentale: esso non è stato concepito per rispondere a tutte le questioni che catturano l’attenzione dei media o per entrare nel dibattito tedesco. L’intenzione non è quella di correggere questo o di additare quello: è di trattare in modo serio, profondo e sereno questioni fondamentali. 

Queste riflessioni apporteranno indubbiamente una luce complementare a quel che si può dire altrove: alcuni vescovi tedeschi saranno presenti al simposio… se quello che sentiranno qui potrà servire alla loro riflessione, ne sarò felice. Però lo ripeto: non siamo riuniti per orientare o contestare quel che accade in Germania. 

Hugues Lefèvre: Alcune commissioni di lotta contro gli abusi hanno recentemente additato l’“eccessiva sacralizzazione” dei preti, soprattutto a causa del loro potere. Cosa ne pensa? Come articolare la dimensione sacrale del sacerdozio con una concezione riformata del potere nella Chiesa? 

+ M. O.: In una data epoca, il prete si è potuto ritrovare su un piedistallo. Questa mentalità, forse presente prima del Concilio e un poco anche dopo, si è molto rarefatta. Non è più la cultura dominante nella Chiesa di oggi, mentre papa Francesco continua a denunciare il clericalismo. 

Resta il fatto che il prete ha un ruolo di rappresentazione di Cristo, donde gli deriva una “sacralità”. Ma cosa intendiamo con questo? È un dono sacramentale che significa una presenza misteriosa. Nell’esercizio delle sue funzioni, il prete rende misteriosamente presente il Risorto, che dunque continua a manifestarsi nella Storia. La santa eucaristia, manifestazione del Cristo risuscitato, è quanto c’è di più sacro nella Chiesa. E il prete è completamente legato a questo servizio sacro. 

In tal senso, sì, c’è una dimensione sacrale. Ma non si tratta di una sacralità naturale. 

Hugues Lefèvre: Come si può fare una legittima lotta al clericalismo senza ferire l’identità del sacerdozio? 

+ M. O.: Il papa parla molto del clericalismo, parola in “-ismo” che designa un abuso di potere. Il clericalismo è una mancanza di ascolto del Popolo di Dio. È l’imposizione del proprio punto di vista, è un prete in parrocchia che non ascolta il consiglio pastorale o che considera le donne come fedeli di seconda categoria. Il papa denuncia questi abusi, questa mentalità che può condurre, in casi estremi, a gravi abusi. 

Bisogna però salvaguardare la funzione del prete, che deve incarnare nella sua comunità una rappresentazione dell’autorità di Cristo. Egli deve farlo in modo paterno e fraterno, col senso dell’autorità di chi non difende un posto ma vuole far crescere i propri figli. 

Un padre non impone un’autorità violenta. Al contrario, egli vuole che i suoi figli crescano. Quando un prete interviene nella comunità, egli deve farlo con spirito paterno, vale a dire con autorità ma anche con tenerezza, con dolcezza, accompagnando e incoraggiando. Dobbiamo ancora approfondire tutto questo dal punto di vista teologico. 

Hugues Lefèvre: È più difficile, essere prete oggi? 

+ M. O.: Penso di sì. Ma esiste sempre, per il prete, la tentazione di pensare che fosse meglio prima… Si deve vedere se davvero era meglio! In ogni caso credo che oggi la missione del prete possa essere più appassionante di cinquant’anni fa, perché le sfide sono immense. 

La missione torna al cuore del ministero sacerdotale: papa Francesco lancia continuamente questo appello, non perde un’occasione per dirlo. È incredibile quel che si è potuto inventare per raggiungere l’altro, credente o non credente, usando tutti i canali, giungendo perfino a partecipare a una trasmissione sulla tv italiana, recentemente. Alcuni l’hanno criticato, per questo, col pretesto che così facendo minerebbe la sacralità della sua funzione… 

Ma il papa è missionario: testimonia, annuncia! Dobbiamo guardarlo e chiederci se debba fare questo o quello? Forse invece dovremmo essere missionari anche noi. Ecco, io credo che oggi il prete debba essere creativo, fare i primi passi, essere audace nell’aprire il dialogo. 

[traduzione dal francese a cura di Giovanni Marcotullio]

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