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La sfida di cercare la qualità dei contenuti nell’intrattenimento digitale

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NadyaEugene- Shutterstock

Ignasi de Bofarull - pubblicato il 16/02/22

L'obiettivo è trovare un nuovo intrattenimento più umano e familiare, e soprattutto non trascurare la cura della nostra “casa” nel senso più profondo

Dalla crisi del 2008, sembra che il mondo mostri segni di stanchezza e turbolenza. La pandemia ha aggravato gli indici di allarme sanitario, psicologico e sociale.

Parallelamente, molti indicatori segnalano l’aumento della disuguaglianza in molti Paesi occidentali e un aumento di impieghi precari e affitti alti e inaccessibili per le rendite più basse che si sommano a una disoccupazione cronica.

A tutto questo bisogna unire, negli ultimi mesi, una forte ripresa dell’inflazione. Siamo immersi in un individualismo rampante figlio del capitalismo sregolato degli ultimi quarant’anni, che si è tradotto in paura e disagio in una pandemia che non è ancora terminata e tiene tutti sul filo. Parallelamente, cresce la rabbia sociale. Non sappiamo dove andare, e cerchiamo di evadere.

Siamo agitati, tesi, spesso ansiosi e a volte depressi. Non abbiamo appigli, e per fermare la paura e il vuoto che invadono la nostra vita ci copriamo di strati e strati di intrattenimento, curiosità, spettacolo, morbosità. La risposta a molte domande essenziali viene quindi messa a tacere dal rumore di tante voci stressanti che sollecitano freneticamente la nostra attenzione da qualsiasi angolo.

L’industria dell’intrattenimento digitale

Diamo un nome a questo uragano di divertimento: l’industria dell’intrattenimento digitale. Cosa intendo con questa definizione? La serie di contenuti digitali che si contendono il nostro intrattenimento captando aggressivamente la nostra attenzione e generando una vita piena di contenuti ridondanti, ripetitivi, narcotici, che dal cellulare e dagli schermi in generale ci stordiscono e soprattutto ci incalano e al contempo ci fanno ammutolire. Fondamentalmente, ci viene impedito di vivere a un ritmo realmente umano.

Dove e come restano le domande sul senso della nostra vita? Spente e senza risposta. Questa industria possiede tutte le risposte: tablet, cellulari, videogiochi, musica, vite di iperrealtà parallele (il metaverso), televisione in streaming e una lista lunga e inesauribile di contenuti.

Ovviamente, non tutti i prodotti digitali sono negativi! C’è molta qualità nascosta, e alcuni contenuti, se presi nelle giuste dosi, valgono davvero la pena. E fanno pensare, essendo anche liberatori. Si tratta di contenuti che graduati, pensati e consultati sono in grado di parlare criticamente del rumore regnante.

Le vite che smettiamo di vivere

Sembra, però, che siamo programmati per riempirci di cose di gusto progressivamente sempre più corrotto, e l’aspetto più grave di tutto sono le vite che smettiamo di vivere, le cose che smettiamo di fare, i libri che smettiamo di leggere, le amicizie che smettiamo di coltivare… E questa baraonda della nuova vita digitale cancella la parola, la conversazione e l’azione umane inserite nella vita reale, e resta solo un rumore, un ronzio insonne e del tutto alienante.

Abitare

Credo che dobbiamo tornare a casa, a una casa gradevole in cui vivere in base alla nostra natura. Cosa significa in questo contesto “casa”? Intendo non solo l’edificio, ma il luogo che si abita umanamente.

La casa ci accoglie nel mondo tra il lavoro e il riposo, al di là del simulacro della virtualità digitale. È il luogo della convivenza costruito con parole, racconti, costumi, storia e tradizioni che definiscono la nostra identità. Un luogo in cui si vive il radicamento, in cui si gettano radici. Un luogo da cui innamorarsi della realtà. E allora il concetto di casa si espande e si amplia a nozioni in cui spicca il calore del focolare domestico, l’accoglienza, la cura e i legami di sangue, e al centro la famiglia. Una famiglia presieduta da relazioni incondizionate d’amore e d’amicizia, di compassione e cure.

La casa, dove ogni persona è preziosa in sé

La casa è un luogo in cui si è se stessi, in cui ciascuno di noi non è né uno strumento né una cosa, né un consumatore insaziabile o una merce, ma una persona unica, irripetibile, preziosa in sé. Una persona che vuole essere amata e amare. Che vuole raggiungere la pienezza nella pace e nella gioia tranquille (alcuni la chiamano felicità) con i genitori, i fratelli (nella famiglia estesa anche magari con nonni e zii), con gli amici, i conoscenti, tutti coloro con cui ci relazioniamo nella realtà quotidiana. Con cui parliamo, lavoriamo e riposiamo.

COUPLE, SUNSET, BIKE

Probabilmente il ruolo dell’uomo sulla Terra consiste nell’abitare in dimore che non sono sempre sotto un tetto. Si abita anche comunitariamente nella piazza del quartiere o del paese. Nelle passeggiate nei campi o nei boschi vicini alla città, o nelle feste estive. E su questa linea si abita in un tempio, nei riti che ci parlano delle radici, delle nostre origini, delle tradizioni e soprattutto del nostro fine ultimo.

Riprendere il nostro fine

Ad ogni modo, l’avidità dell’industria dell’ozio digitale (leggasi Facebook, TikTok, Twitter, Instagram, Netflix, Fortnite…) non si sposa con una vita gradevole, né con la sobrietà di un vivere umano in cui l’amore e l’amicizia sono fondamentali.

Sviliti dall’industria dell’ozio digitale, si sono chiuse le finestre e spente le luci perché il sole non si rifletta sullo schermo: tutta un’allegoria. La vita familiare, amicale e culturale non possono diventare un business. Perché oggi il capitalismo non vende più solo strumenti e prodotti per la vita tranquilla, intorno al focolare domestico, in gita o a tavola.

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L’ultimo capitalismo (di circa 40 anni) ci strappa di casa per farci giocare a giochi più redditizi per l’industria dell’ozio digitale sulla base del minaccioso oligopolio delle Big Tech: Amazon, Google, Facebook (ora Meta), Microsoft, Apple – ma anche tutta l’industria dei videogiochi online, delle scommesse, dei casino e della pornografia rampanti. E in questo modo veniamo spinti nel baratro, ci saccheggiano catturando la nostra attenzione verso lo spettacolo permanente e senz’anima.

Risposta

Bisogna trovare una risposta. Forse si dovrà tornare a consumare una cultura più analogica, un divertimento più semplice, delle vacanze e dei fine settimana più pieni. Esiste, insistiamo (anche se non è molto abbondante), un intrattenimento digitale di alta qualità, socialmente coesivo, umano. Ed è redditizio. Ma l’industria dell’intrattenimento digitale cerca in genere le opzioni più facili.

Quanto ci conviene una nuova cultura e un nuovo intrattenimento! Non parliamo di una cultura sciocca, né insopportabilmente edificante e moralizzante. Stiamo parlando di una cultura intelligente che non nasconde il dolore e il male, anche il più crudo e contraddittorio, ma che parallelamente presenta anche il bene e la speranza. Una cultura e un intrattenimento carichi della verità della condizione umana con tutti i suoi chiaroscuri che ha predominato per secoli. Nostalgia? No: cambiamenti che aspirano al meglio, ma forse ha ragione Rod Dreher quando scrive su The Benedict Option (L’opzione benedettina) nel 2017 “Serve un passo indietro?” Il dibattito è aperto. Non ho la risposta.

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